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RASSEGNA STAMPA
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Una minaccia interna
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Storia dell'opposizione ebraica al sionismo
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pp. 286
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€ 19,50
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isbn 88-87009-66-X
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Il libro
Associare gli ebrei allo Stato di Israele è un riflesso quasi automatico. "Stato degli ebrei" e "Stato ebraico" sono diventate espressioni di uso corrente. Tuttavia, tra i sostenitori incondizionati di Israele, ci sono più cristiani che ebrei. La presente opera spiega questo paradosso apparente e mette in evidenza un fenomeno poco conosciuto, tanto agli ebrei quanto ai non ebrei: l’opposizione al sionismo espressa in nome della Torah e della tradizione ebraica. Questa opposizione è tanto più significativa in quanto non può essere in nessun caso definita antisemita, contrariamente ai recenti tentativi di assimilare ogni antisionismo all’antisemitismo.
L’opposizione ebraica all’esistenza stessa dello Stato d’Israele è un fenomeno spesso occultato, addirittura censurato. Attraverso una documentata ricostruzione storica, Rabkin, storico canadese di origine russo-ebraica, riesce a mostrare quanto grave sia la posta in gioco per l’insieme del popolo ebraico, ancor più oggi che lo Stato sionista cerca di imporre la propria egemonia politica e militare sulla regione, configurando una minaccia per gli ebrei ancora più fondamentale dell’ostilità araba e palestinese.
L'autore
Yakov M. Rabkin è professore titolare al Dipartimento di Storia dell’Università di Montreal. È stato Visiting Scholar in numerose università, tra cui Yale, Johns Hopkins, Hebrew, Tel Aviv, Louis-Pasteur. Tra le sue pubblicazioni: Science between the Superpowers, a study of Soviet-American relations in science and technology (1988), The Interaction of Scientific and Jewish Cultures in Modern Times (1995), Diffusion of New Technologies in Post-Communist Europe (1997). È spesso invitato dai media internazionali per commentare la situazione nel mondo ebraico e in Israele.
Indice del volume
Prefazione
di Joseph Agassi
Introduzione
Capitolo primo: Alcuni elementi introduttivi
1. Secolarizzazione e assimilazione
2. La Storia come campo di battaglia
3. Antisionisti e non sionisti
Capitolo secondo: Una nuova identità
1. Dal messianismo al nazionalismo
2. La nascita dell'ebreo laico
3. Una trasformazione incompleta
4. L'ebreo tradizionale, l'ebreo laicizzato, l'israeliano
5. L'ebraico moderno e l'identità laica
Capitolo terzo: La Terra di Israele tra l'esilio e il ritorno
1. Trasgressione ed esilio
2. Prudenza messianica
3. Idea sionista
4. L'impresa sionista
Capitolo quarto: Il ricorso alla forza
1. Pacifismo codificato
2. Gli ebrei di Russia: frustrazione e violenza
3. Fierezza e autodifesa
4. Nazionalismo ambivalente
5. Vittorie di Israele
6. Alle origini del terrorismo
Capitolo quinto: I limiti della collaborazione
1. Resistenza al sionismo in Terra Santa
2. Il rifiuto del sionismo nella diaspora
3. Rapporti con lo Stato
4. Lo Stato e il giudaismo
Capitolo sesto: Il sionismo, la Shoah e lo Stato di Israele
1. Le cause della catastrofe
2. I sionisti di fronte alla Shoah
3. Slancio di rinascita o continua distruzione?
Capitolo settimo: Profezie di distruzione e strategie di sopravvivenza
1. Lo Stato di Israele nella continuità ebraica
2. Il dibattito pubblico e i suoi limiti
3. Promessa o minaccia?
Epilogo
Riferimenti bibliografici
Glossario
Ringraziamenti
Biografie
Un estratto
Lo Stato di Israele è in pericolo. Questa sensazione, spesso espressa dai sionisti più ferventi (come la giornalista Barbara Amiel), sottolinea il paradosso di Israele: quello che veniva presentato come un rifugio, addirittura il rifugio per eccellenza, sarebbe diventato il luogo più precoloso per gli ebrei. Sono sempre più numerosi gli israeliani che si sentono presi in una "trappola sanguinaria". Questa sensazione sembra dunque confermare alcune gravi previsioni degli antisionisti. Fino all’inizio della prima Intifada, la maggior parte degli ebrei di Israele e della diaspora sembrava essersi abituata all’esistenza dello Stato, che allora appariva come una realtà naturale e per alcuni persino eterna. Così, verso la fine del xx secolo la Knesset proclama che "Gerusalemme unita è la capitale eterna di Israele". Da allora un sentimento di fragilità dello Stato non fa che propagarsi. Pur comandando l’esercito più potente della regione, Ariel Sharon sostiene che di fronte all’insurrezione palestinese lo Stato di Israele è in pericolo come nel 1948, all’indomani della sua creazione. Tuttavia, non sembra affatto che lo Satato sia in pericolo, protetto com’è dalle sue forze armate; sono piuttosto i suoi cittadini e gli ebrei della diaspora a sentirsi vulnerabili. Se alcuni affermano che gli interessi dello Stato di Israele non coincidono con quelli degli ebrei in diaspora, altri aggiungono che essi contraddicono quelli degli stessi cittadini israeliani.
L’esperienza quasi quotidiana con il terrorismo suicida spinge l’elettorato israeliano verso la destra nazionalista, che a sua volta intensifica l’approccio militarista. Numerosi sono coloro che criminalizzano i palestinesi, gli arabi, i musulmani. Ma ci sono anche quelli che criminalizzano i coloni ebrei in Cisgiordania e i sostenitori della linea dura. E cresce il numero di quanti esprimono dubbi circa la sopravvivenza di uno Stato di Israele creato in Medio Oriente, in quella "zona pericolosa" di cui spesso si lamentano gli israeliani. Persino per alcuni suoi sostenitori, lo Stato di Israele appare come l’ultimo Stato coloniale, fondato proprio nel momento in cui in tutto il mondo inizia il processo di decolonizzazione.
La società israeliana, che ha resistito a lungo contro l’accerchiamento nemico, controlla con difficoltà la popolazione araba e aumenta sempre di più il numero di ebrei israeliani che approvano la deportazione dei palestinesi nei paesi arabi e l’annessione dei territori occupati nel 1967 - prospettiva che molti ebrei d’Israele e della dispora trovano ripugnante. E ci sono poi coloro che si rendono conto che la conservazione dello Stato così come esso è oggi richiede delle misure che la morale tradizionale giudaica non può più accettare. Questi ebrei, spesso veterani di molte guerre sioniste, sono impauriti, ostaggi di una situazione che non possono più controllare. Cercano una soluzione più pacifica, più conforme al loro sentimento di onestà, e la disperazione li rende, probabilmente per la prima volta, sensibili a quegli argomenti che, da più di un secolo, sottolineano i pericoli che rappresentano per loro il sionismo e lo Stato di Israele.
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