Descrizione
Vivere non è un reato
Lavoro ambulante e diritto alla città
Introduzione e cura di Gennaro Avallone e Daouda Niang
Il commercio ambulante è un lavoro. Non è né un’emergenza di ordine pubblico né un’attività residuale. In Italia è svolto da un poco più di 200 mila persone, di cui circa la metà di cittadinanza straniera. Nonostante la sua rilevanza e l’ampio numero di operatori e consumatori che coinvolge, troppo facilmente chi lo esercita non è riconosciuto come lavoratore/lavoratrice autonomo. E altrettanto facilmente, soprattutto se si tratta di cittadini stranieri o di persone dalla pelle scura, questa attività è denigrata se non criminalizzata e definita con un lessico e azioni che non attengono alle politiche del riconoscimento e della regolamentazione, ma a quelle della pubblica sicurezza: controlli, repressione, sgomberi, allontanamenti, sequestri.
Il lavoro ambulante, in particolare se esercitato da stranieri, chiama in causa il diritto alla città, la sua definizione e la possibilità di esercitarlo. Al tempo stesso, richiama l’attenzione sulla natura delle politiche urbane e sulle loro finalità, sempre più volte a favorire alcune forme di consumo e turismo a svantaggio dell’inclusione e della democrazia.
L’insieme delle conoscenze e delle esperienze di vita che si condensano in questo libro, in parte esito di un percorso più ampio, costituiscono un contributo importante per comprendere le condizioni oggettive e soggettive del lavoro ambulante, oggi particolarmente colpito dalla pandemia in corso. Assumendo, quindi, un punto di vista solitamente ignorato dalle cronache e dai discorsi ufficiali, membri di associazioni senegalesi e ambulanti immigrati, ricercatrici e ricercatori giovani e meno giovani, attivisti e attiviste ne propongono una lettura che si intreccia con un’analisi delle politiche urbane e dei dispositivi di razzismo sociale e istituzionale che governano le società contemporanee, compresa la nostra.
Contributi di Yasmine Accardo, Gennaro Avallone, Martina D’Amato, Ndèye Isseu Ly, Yoan Molinero Gerbeau, Daouda Niang, Pierre Preira, Marianna Ragone, Zakaria Sajir, Tran
Gennaro Avallone è ricercatore in sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università di Salerno. Tra le sue pubblicazioni: Sfruttamento e resistenze (2017) e Liberare le migrazioni. Lo sguardo eretico di Abdelmalek Sayad (2018), entrambi per i nostri tipi.
Daouda Niang è mediatore culturale e presidente dell’Associazione senegalesi di Salerno.
RASSEGNA STAMPA
il manifesto – 24.10.2020
Spazi e conflitti. A proposito di «lavoro ambulante e diritto alla città»
di Francesco Antonelli
Saggi. «Vivere non è reato», a cura di Gennaro Avallone e Daouda Niang edito da ombre corte
Uno dei compiti principali della sociologia critica è dare voce a quei soggetti marginalizzati dalle dinamiche di esclusione della società contemporanea e del capitalismo, in modo da favorire sia la loro presa di coscienza che la loro emersione nello spazio pubblico.
Una tale operazione, inoltre, può favorire la messa in moto di quelle potenzialità di trasformazione ed emancipazione che la marginalità e l’invisibilità sociali portano spesso con loro, a patto che gli «oggetti» dell’indagine sociale ne diventino anche i «protagonisti» attivi. Entrambi questi intenti critici muovono il bel libro curato da Gennaro Avallone e Daouda Niang Vivere non è reato. Lavoro ambulante e diritto alla città (ombre corte, pp.135, euro 12,00).
FRUTTO DI UN PROGETTO di ricerca dell’Università di Salerno che ha messo al centro la discussione e la partecipazione di attivisti e ambulanti alla realizzazione dell’indagine come alla scrittura dei saggi contenuti nel libro, il volume offre, innanzitutto, uno sguardo approfondito e lontano dalle retoriche dominanti sulla città contemporanea e sul rapporto che essa costruisce con il lavoro, la precarietà, l’immigrazione e le dinamiche di marginalizzazione.
Come categoria analitica prima che come realtà effettuale, la città contemporanea si definisce, tra le altre cose, in termini prevalentemente securitari all’interno di un capitalismo della sorveglianza che, oltre i confini della Rete, separa e stigmatizza tutti i soggetti e le forme di economia non immediatamente rientranti nel suo progetto di normalizzazione e addomesticamento: i lavoratori ambulanti, la cui grande maggioranza è formata da immigrati provenienti in particolare dal Senegal e dal Marocco, costituiscono così una delle componenti fondamentali delle «nuove classi pericolose»; da criminalizzare e a cui sottrarre, poco a poco, spazio e legittimità sociale.
Da qui, la forza evocativa della rivendicazione del «diritto alla città» che significa, per questi soggetti e più in generale per noi tutti, mettere in campo delle azioni conoscitive e, al tempo stesso, emancipative, di ricostruzione della cittadinanza nei luoghi concreti del vivere, che i vari saggi contenuti nel libro aiutano bene a mettere a fuoco. Innanzitutto, la de-costruzione dei processi di stigmatizzazione ed etichettamento che passano per espressioni degradanti come «vo’ cumpra» (Zakaria Sajir).
IL RICONOSCIMENTO del lavoro ambulante come un elemento importantissimo dell’economia popolare contemporanea; cioè costruita sulla reciprocità e in grado di raggiungere bisogni ed esigenze dei ceti popolari, rappresentando anche un elemento di resistenza al capitalismo globale (Yoan Molinero Gerbeau). Il prendere consapevolezza che il lavoro ambulante, sebbene segnato anche da informalità, si muove all’interno di un contesto di piena legalità, anche fiscale, nel momento in cui senza la regolarità non è possibile ottenere i permessi di soggiorno (Martina D’Amato; Ndèye Isseu Ly).
Il comprendere non solo che la presenza delle micro-imprese degli ambulanti costituisce un elemento importante dell’economia del Mezzogiorno d’Italia; ma anche essere in grado di leggere nella contrazione progressiva degli spazi pubblici e sociali riservati agli ambulanti e nella loro stigmatizzazione in città come Salerno (Marianna Ragone) e Napoli (Pierre Preira; Yasmine Accardo, Tran), i segni deteriori di incerti processi di gentrificazione e della crisi sociale oggi resa più acuta dalla pandemia in corso.
ALLA NECESSITÀ di elaborare adeguate risposte politiche è dedicato l’ultimo saggio del libro nel quale il lavoro collettivo di ricerca e di ascolto porta ad una richiesta che investe non solo la vita dei lavoratori ambulanti ma centra una questione fondamentale per noi tutti: il diritto ad avere un riconoscimento sociale e dunque pieno diritto di cittadinanza soprattutto all’interno di quegli spazi urbani che, sempre di più, il capitale cerca di riassorbire all’interno delle sue logiche. Dalla città normalizzata e securitaria occorre dunque riscoprire la città come nuovo spazio del conflitto e dell’emancipazione.
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UN ASSAGGIO
Introduzione
di Gennaro Avallone e Daouda Niang
Siamo tutti fratelli. Siamo tutti figli di Dio. Non ci deve essere più discriminazione. Siamo tutti fratelli e amici. Io gioco con i vostri figli. Siamo una cosa uguale. Non c’è differenza tra uomo black e uomo white. Noi siamo venuti qua per dare una mano alla nostra famiglia, che sta in Senegal: se noi falliamo, tutta la nostra famiglia fallisce. Noi veniamo qua per lavorare perché siamo gente comune e dobbiamo guadagnare da vivere come tutti gli altri. Dobbiamo avere tutti noi il nostro lavoro e tutti i nostri diritti”.
1. Lavoro, dignità
“Lavoro, dignità. Lavoro, dignità”. È con questo slogan rilanciato di continuo, in una lunga e animata mattinata, che le lavoratrici ed i lavoratori ambulanti senegalesi e bangladesi della città di Salerno manifestarono l’8 maggio 2017 in un corteo molto partecipato per riaprire una negoziazione con il Comune di Salerno. Un corteo con diversi cartelli ed uno striscione di apertura con la scritta “sopravvivere non è reato. Essere ambulanti nemmeno”, secondo la rivendicazione già proposta dal Sindicato popular de vendedores ambulantes de Barcelona.
È da questo corteo che è nata la spinta fondamentale per approfondire le condizioni e le prospettive del lavoro ambulante svolto dagli immigrati non solo nel contesto locale, ma in ambito regionale e nazionale. Da questa manifestazione è iniziato anche un percorso di scambio e ricerca, formalizzato in una convenzione, firmata nello stesso anno, tra il Dipartimento di scienze politiche, sociali e della comunicazione, poi divenuto Dipartimento di studi politici e sociali, dell’Università di Salerno e l’Associazione senegalesi di Salerno.
Questo percorso, cresciuto anche attraverso la partecipazione ad incontri di studio e convegni nazionali ed internazionali, ha avuto un momento particolarmente importante con l’organizzazione di un seminario nel mese di febbraio 2018, in collaborazione con il Laboratorio Communalia, di cui è responsabile Adalgiso Amendola, dal titolo “Diritto alla città, lavoro ambulante e repressione: analisi e proposte”.
L’obiettivo generale del seminario era quello di elaborare, in modo condiviso, una serie di suggerimenti per liberare il lavoro ambulante degli stranieri dai processi di repressione, marginalizzazione e criminalizzazione che lo stanno interessando, specialmente quando è svolto da persone dalla pelle nera o non bianca o in aree delle città oggetto di propaganda politica o di rilevanti interessi economici privati. Per questo motivo, l’incontro si concentrò in parte sull’analisi della situazione e in parte sull’individuazione di una serie di proposte da rendere pubbliche e inviare anche alle istituzioni locali comunali e di governo, al fine di favorire la costruzione del diritto alla città, verso una città non escludente, alternativo a quello che si è affermato con le retoriche della sicurezza e con le misure di polizia degli allontanamenti (cosiddetti daspo), degli sgomberi e delle multe.
Questo seminario, insieme ad altri incontri e convegni e al proseguimento delle attività di ricerca che si sono tradotte in due pubblicazioni (Avallone e Niang 2020; Molinero Gerbeau e Avallone 2020), ha ispirato l’idea di questo libro, al quale, nel suo cammino, si sono aggregate nuove collaborazioni e anche nuove attenzioni, in particolare quelle dovute agli effetti sul commercio, e sullo specifico dell’ambulantato, delle politiche adottate per contrastare la diffusione del covid-19.
2. In questo libro: storia, parole e contesti del lavoro ambulante
Il testo è scritto, in parte, dall’interno del lavoro ambulante. Tra gli autori e le autrici ci sono persone che hanno svolto o stanno svolgendo questa attività, in particolare Daouda Niang e Tran, ed altre che ne rappresentano gli interessi, soprattutto i responsabili delle associazioni senegalesi di Caserta, Napoli e Salerno, rispettivamente Ndèye Isseu Ly, Pierre Preira e lo stesso Niang. Le analisi prodotte dall’interno si sono intrecciate con quelle dell’attivista e membro della campagna LasciateCIEntrare Yasmine Accardo, delle studentesse e giovani ricercatrici Martina D’Amato e Marianna Ragone, dei ricercatori Gennaro Avallone, Yoan Molinero Gerbeau e Zakaria Sajir.
Questi ultimi tre hanno contribuito, in particolare, alla prima parte del libro, quella dedicata ad inquadrare il rapporto tra lavoro ambulante e diritto alla città, ricostruendone la storia in connessione con il divenire ostile delle città italiane, nel contributo di Avallone; proponendo la categoria di economia popolare per comprendere il modo di funzionare e le ragioni di questo tipo di lavoro, nel testo di Molinero Gerbeau; concentrandosi sulle definizioni, il linguaggio e le parole stigmatizzanti che, nel tempo, si sono imposti per definire l’ambulantato ma, in realtà, gli ambulanti di cittadinanza straniera. Questi tre capitoli sono stati sviluppati in connessione con quelli di Daouda Niang e Martina D’Amato. Il primo spiega i motivi del nesso stringente che esiste tra migrazioni senegalesi e lavoro ambulante e invita a seguire la lezione metodologica di Abdelmalek Sayad (2002), secondo la quale non è possibile comprendere le immigrazioni senza capire le emigrazioni: in altre parole, non si possono comprendere i processi di mobilità umana se non si tengono presenti le connessioni esistenti tra ciò che accade nei luoghi di emigrazione e ciò che succede nelle aree di immigrazione (Avallone 2018a). Martina D’Amato presenta alcuni elementi normativi relativi al lavoro ambulante e si interroga sulle forme concrete della legalità per evidenziarne i limiti e i cambiamenti possibili al fine di consentire di svolgere con maggiore serenità questo tipo di attività commerciale anche agli stranieri.
Gli altri autori e le altre autrici hanno dato forma alla seconda parte del libro, che guarda a tre casi locali, quelli di Caserta, Salerno e Napoli.
Il primo viene analizzato da Ndèye Isseu Ly, che, dopo avere presentato in breve la storia amministrativa altalenante delle politiche adottate verso il lavoro ambulante degli immigrati nel capoluogo casertano, ricorda il ruolo fondamentale che ha avuto in essa Mamadou Sy, ambulante anche egli, passato, poi, a svolgere l’attività di mediatore culturale, presidente della locale associazione dei senegalesi e uomo di pace e diritti. Una figura fondamentale per l’intero Movimento dei migranti e rifugiati di Caserta: un costruttore di relazioni tra culture, religioni, persone, forme dell’agire politico. Mamadou Sy, a cui questo libro è dedicato, ha contribuito a fare la storia dei movimenti antirazzisti in Campania e nel Sud Italia, dando, dagli inizi del nuovo secolo, un indispensabile contributo di analisi, proposta e umanità. […]