Descrizione
Antonella Tiburzi
Un mondo estinto
La comunità ebraica di Brody e il suo destino (1941-1945)
Prefazione di Carlo Saletti
Tra i sei milioni di ebrei assassinati ci sono anche i nove mila abitanti della importante e antica comunità di Brody, che tra il 1941 e il 1944 furono quasi totalmente annientati nelle strade della loro città, e poi nel ghetto, nelle loro abitazioni, nelle loro scuole, nelle sedi delle loro associazioni giovanili, nei campi di lavoro forzato e nei campi di sterminio di Bełżec e Majdanek. Ciò fu possibile anche grazie al fondamentale collaborazionismo degli ultranazionalisti ucraini, animati da un antico e radicato antisemitismo.
Nelle ultime settimane di guerra, i superstiti ebrei organizzarono una resistenza all’interno del ghetto volta ad accelerare la ritirata dell’occupante nazista, ma le Einsatzkommando delle SS risposero compiendo uno dei più grandi massacri della storia della Shoah, che non risparmiò nemmeno i ragazzi e le ragazze che si erano nascosti nei rifugi.
I pochi superstiti di Brody lasciarono l’Europa orientale perché ancora nuovamente vittime dell’antisemitismo del secondo dopoguerra. Tra Israele e gli Stati Uniti costituirono il gruppo degli “Ex residenti di Brody” e diedero vita al progetto Yitkor Sefer shel Brod (Il libro della memoria di Brody), un testo indispensabile non solo per ricostruire i fatti avvenuti tra il settembre 1941 e il luglio 1944, ma anche per cogliere il profondo legame dei sopravvissuti con la loro comunità.
Ripercorrendo minuziosamente le operazioni che portarono alla distruzione della comunità, l’originale lavoro di Antonella Tiburzi descrive la pianificata ferocia dei nazisti e dei loro complici ucraini, facendo contemporaneamente emergere il mondo culturale e intellettuale di quella humanitas che si è estinta con la Shoah.
Antonella Tiburzi è Docente di Didattica della storia presso l’Università di Bolzano. I suoi studi riguardano la storia della Shoah in Italia e in alcune comunità dell’Unione Sovietica, il lavoro forzato nei lager nazisti, la resistenza ebraica e le vittime ebraiche dell’Aktion T4. Si è specializzata nell’insegnamento della Didattica della storia della Shoah presso l’International School of Holocaust studies di Yad Vashem in Israele. Tra le varie pubblicazioni: Kanada Kommando (2004); Non perdonerò mai (2006); I giorni del sole nero. La deportazione da Roma (2007); Perché insegnare la storia della Shoah. Strumenti didattici, in Giuseppe Capriotti (a cura di), Antigiudaismo, antisemitismo, memoria (2009).
UN ASSAGGIO
Prefazione
di Carlo Saletti
Se rispetto va riconosciuto ai luoghi che hanno visto nascere e formarsi uomini d’ingegno – e lo scrittore e giornalista Joseph Roth lo è stato grandemente – Brody è tra questi. Ciononostante, il fatto che Roth vi fosse nato nel settembre 1894 non impedì che l’importante comunità ebraica della città, situata all’estremità orientale della regione nota come Galizia, venisse quasi interamente annientata nel corso dell’occupazione tedesca del territorio sovietico avviata nell’estate del 1941. Non fu mostrato alcun rispetto per Brody da parte di una cultura, quella nazista, che al contrario indicava al mondo a che profondità potesse spingersi il disprezzo e quanto poco tempo fosse richiesto “per sbarazzarsi dei vincoli della civiltà”, come avrebbe osservato Thomas Mann.
Importante centro commerciale della regione di Leopoli, Brody, oggi parte del territorio ucraino, aveva vissuto nei duecento anni precedenti un vertiginoso cambiamento di appartenenza. Polacca dal principio del quindicesimo secolo e sino agli inizi del Settecento, quando era passata sotto il dominio degli Asburgo, la cittadina era tornata a far parte del ricostituito stato polacco con la fine dell’impero austriaco, nei primi anni Venti del Novecento; in seguito, dopo l’aggressione tedesca della Polonia del settembre 1939, era stata assorbita dall’impero comunista, secondo quanto stabilito dagli accordi stretti tra Germania e Unione Sovietica pochi mesi prima; sino a quando, nell’estate del 1941, era piombata in potere delle forze tedesche, che qui erano giunte il primo luglio 1941.
A subire drasticamente le conseguenze di quest’ultima occupazione fu la comunità ebraica locale che, se nei primi anni Venti contava più del 65 per cento dell’intera popolazione (che ammontava a 10.200 abitanti), nel 1939, pur essendo numericamente diminuita, superava comunque il 50 per cento. Il ruolo della componente ebraica nel tessuto economico, sociale e culturale di Brody restava dunque fondamentale, quando risuonarono i passi dei primi soldati tedeschi vittoriosi nelle vie della cittadina.
È da queste prime settimane della terza estate di guerra che prende avvio il libro di Antonella Tiburzi, studiosa della Shoah e della sua didattica. Se nei suoi precedenti studi era stata la sorte delle comunità ebraiche italiane (Roma e Trieste) a essere indagata, qui sono l’occupazione tedesca e le politiche antisemite adottate nel piccolo centro galiziano a essere ricostruite. Il libro si segnala innanzitutto per il tema scelto, quello della Shoah nell’Europa orientale, che tanto interesse ha destato in questi ultimi anni da parte della storiografia internazionale, ma che scarsamente è stato trattato in quella italiana. Antonella Tiburzi colma, in parte, questo vuoto e consegna al lettore uno studio attento, grazie al quale è ricostruita la biografia di una comunità florida nella fase finale della sua esistenza.
Se il globale può riflettersi nel locale, nell’annientamento degli ebrei di Brody si esemplifica la dinamica con cui l’antisemitismo genocida nazista si attuò in parti dell’Europa orientale. La comunità di Brody fu fatta svanire da una pluralità di soggetti criminali utilizzando l’intera gamma delle opzioni, che si erano sperimentate e rese disponibili dopo lo smembramento dello Stato polacco e la sua dissoluzione. Elencando i fatti nella loro spettrale successione, fu inizialmente l’intellettualità ebraica a essere tolta di mezzo in loco, attraverso fucilazioni di massa, poco dopo l’invasione tedesca; a questa primissima ondata di violenza omicida seguirono le prime deportazioni verso il mattatoio di Bełżec, nel Governatorato generale, dove agli inizi del 1942 era entrato in funzione un centro di messa a morte seriale. Chi era stato risparmiato fu confinato in un ghetto, creato nel frattempo, che vide salire del 50 per centola propria popolazione nei sei mesi successivi, quando divenne luogo di raccolta e d’internamento degli ebrei provenienti dai villaggi vicini, provvisoriamente destinati al lavoro obbligato nelle aziende naziste installate nell’area. Entro la fine dell’anno 1942, un’ulteriore vasta deportazione verso Bełżec e le sue camere a gas ridusse considerevolmente ciò che restava della comunità di Brody, il cui annientamento definitivo venne disposto nel maggio dell’anno successivo con lo smantellamento del ghetto e il trasferimento dei suoi abitanti nel campo di concentramento di Majdanek. Brody fu “ripulita” dai suoi ebrei, mentre ancora le nuove strutture omicide di Auschwitz-Birkenau erano sottoposte a rodaggio.
Nel libro, entrano in scena anche gli esecutori di tali politiche criminali. I tedeschi, naturalmente, indicati per nome e cognome. Ma, come ben documentato, non furono solo i nazisti appartenenti alla variegata costellazione dei corpi paramilitari − cui fu demandato, nella sostanza, l’esecuzione di quello che Adolf Himmler, il capo supremo di queste forze, ebbe a chiamare “l’adempimento concreto di un’idea” − a gettare nell’abisso la comunità di Brody, parte di quell’Ostjudentum (ebraismo orientale) che era rimasto impigliato negli ingranaggi della macchina imperiale nazista. Alla purificazione del territorio galiziano dalla presenza ebraica parteciparono elementi della popolazione ucraina locale, che avviarono con l’occupante una dialettica parossistica alimentata da ambo le parti. Se i locali permettevano, soprattutto nelle fasi iniziali della persecuzione, maggiore efficacia nella caccia all’ebreo, i tedeschi favorivano la frattura intercomunitaria, rendendo letale l’antisemitismo – un sentimento complesso, si badi, non immediatamente equiparabile all’odio verso l’ebreo che si poteva registrare in quello stesso periodo nei paesi dell’Europa centrale e occidentale – di cui parte della popolazione era portatrice.
In una dei suoi reportage sulla condizione ebraica, Roth osservava, nel 1927, che l’Ostjudentum non aveva “patria in nessun luogo, ma tombe in ogni cimitero” e che la maggioranza degli ebrei che là abitava aveva “dato all’Occidente almeno quanto questo gli [aveva tolto]”, in alcuni casi anche molto di più. Possiamo immaginare che pensasse a se stesso, ebreo galiziano, che si era trovato a spostarsi per l’Europa colta e cosmopolita della prima metà del secolo, conoscendone le grandi capitali specchio di una modernità che stava per essere spazzata via. Conobbe Vienna, Berlino, infine Parigi, dove sarebbe morto per una polmonite non diagnosticata, il 27 maggio 1939, qualche mese prima che l’estinzione biologica dell’ebraismo orientale assumesse, nella politica imperiale del Terzo Reich, un carattere programmatico e seriale. Prima che a Brody, la preziosa cittadina dove era nato quarantaquattro anni prima, venisse fatto il vuoto.