Revolution

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Pietro Vertova

pp. 115
Anno 2019
ISBN 9788869481352

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Descrizione

Pietro Vertova
Revolution
Un Mondo diverso è possibile

Ha senso parlare di “rivoluzione”, oggi? Sì, se sappiamo produrre e articolare un pensiero in grado di definirla e prospettarne la praticabilità. Questo l’ambizioso obiettivo con il quale si cimenta l’autore a partire da una “revisione critica” della definizione di “rivoluzione” variamente proposta in ambito marxista. In particolare, Vertova individua il nocciolo della rivoluzione in una politica che mira a una costante riduzione del “saggio di sfruttamento”, inteso come rapporto tra profitti e salari. Poiché la propensione al consumo dei salari è maggiore della propensione al consumo dei profitti, tale riduzione, nella prospettiva keynesiana – per cui è la domanda che determina l’offerta –, implica un rafforzamento della crescita economica.
A partire da questo nocciolo teorico e politico, il saggio si sofferma sull’imperialismo e la guerra, come forma di conservazione delle rendite di posizione, e su una serie di questioni di stretta attualità quali l’immigrazione, il riscaldamento globale e la costruzione dell’Unione europea.

Pietro Vertova è ricercatore in economia pubblica presso l’Università di Bergamo. Suoi contributi scientifici sono apparsi in alcune importati riviste di economia, tra cui il “Journal of Political Economy”. All’attività accademica intreccia quella di impegno sociale nell’ambito del commercio equo e solidale e dei social forum (all’inizio degli anni 2000 è stato portavoce di

Rassegna stampa

UN ASSAGGIO

Introduzione

In questo libro ci concentriamo sul “sistema”, un sistema che si pone dentro il modo di produzione capitalistico: è il sistema che potremmo chiamare “di sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. Come ogni sistema, è caratterizzato dal fatto che le sue parti si integrano, anche se non necessariamente in maniera intenzionale: non c’è un piano unitario consapevole attuato mediante e in funzione del sistema stesso, ma sicuramente ci sono degli interessi molto forti in gioco perché tale sistema possa prosperare. Non si tratta di un sistema complesso in senso tecnico (cioè tale che la quantità e la varietà degli elementi in gioco sia così ampia da non poterla di fatto analizzare se non con modelli complicatissimi), ma di un sistema relativamente semplice pur nell’estrema durezza delle sue conseguenze. Esso nasce e si sviluppa dentro il capitalismo (definibile nei termini di “modo di produzione D-M-D’, cioè quel meccanismo che muove l’economia tramite l’anticipo della somma di denaro per avere più denaro in seguito, con la merce che è soltanto l’intermezzo di questo processo), ma non vi è nulla di deterministico tra il modo di produzione capitalistico e l’esistenza del sistema, che può essere ribaltato nelle logiche e nelle pratiche dentro il capitalismo. Su questo occorre essere rigorosi: parlare di “anticapitalismo”, di lotta “contro il capitalismo”, non ha senso se si intende prospettare una possibilità reale di porsi “fuori dal sistema”. Il capitalismo è solo un “modo di produzione”, ed è più avanzato di quello feudale (caratterizzato da uno schema opposto, ossia M-D-M’, in cui il denaro era un semplice intermezzo tra il possesso della merce e quello di un’altra merce). Su questo tema, caonsapevole di essere “nano sulle spalle di gigante”, entrerò un po’ in “polemica” con Karl Marx, pur conservando la centralità della sua analisi nel discorso. Sottolineerò il fatto Karl Marx non riuscì o non volle distinguere in modo esplicito tra “modo di produzione” e “sistema” perchè condizionato dal finalismo/determinismo di Hege. Troppi studiosi, a mio modo di vedere, hanno esagerato la discontinuità tra Marx ed Hegel. Basta però leggere la filosofia della storia di Hegel e il Manifesto del Partito comunista di Marx per avere almeno il sospetto che Marx fosse, almeno per quanto riguarda la concezione della storia, decisamente hegeliano, e questo anche nel Capitale. Questo concetto risulterà chiaro nel primo capitolo del libro. Nel secondo capitolo, completamente marxista, analizzerò da un lato il “modo di produzione capitalistico”, entrando nel dettaglio delle sue caratteristiche; dall’altro, invece, parlerò di “sistema” allorquando Marx introduce e declina il concetto di “esercito industriale di riserva”, inteso da Marx come un vero e proprio esercito di disoccupati che garantisce la prosperità del sistema medesimo. Nel terzo capitolo della prima parte del libro primo mi addentrerò invece nella teoria keynesiana della “domanda effettiva”, laddove, per Keynes, è la domanda che genera la sua offerta e non viceversa, come invece altri economisti classici e neoclassici hanno ripetuto nel tempo. Posso così, nel quarto capitolo, delineare il “nocciolo della rivoluzione” nei termini di una politica di costante riduzione del saggio di sfruttamento, inteso come rapporto tra profitti e salari: poiché la propensione al consumo dei salari è maggiore della propensione al consumo dei profitti, tale riduzione, nella prospettiva keynesiana che sia la domanda a determinare l’offerta, implica un rafforzamento della crescita economica. Ma siccome questo significa che anche i profitti, in termini aggregati, aumentano, chi si opporrà ad una politica di questo tipo? Sono i padroni, coloro che hanno delle rendite di posizione sul mercato, che cioè fanno profitti senza sopportare alcun rischio: poichè gli allargamenti della domanda effettiva e la contrazione dell’esercito di riserva mettono in discussione le rendite di posizione, essi si porranno contro questo processo. Nel libro distinguo dal punto di vista sociologico tra i “padroni” e gli “imprenditori”, i secondi essendo agenti economici che sopportano il rischio di impresa, mentre i primi no.

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