Descrizione
Christine Delphy
Per una teoria generale dello sfruttamento. Forme contemporanee di estorsione del lavoro
Traduzione, postfazione e cura di Deborah Ardilli
Le nostre società si reggono in gran parte su due pilastri interconnessi: il modo di produzione capitalista e il modo di produzione patriarcale (o domestico). L’estorsione del lavoro, salariato o no, ne è un fondamento. Se l’uno va a vantaggio dei capitalisti, l’altro opera a beneficio degli uomini. Il lavoro domestico è sia una palese manifestazione della disuguaglianza di genere sia una sfida per le strategie dell’uguaglianza, poiché l’azione militante vi trova spesso il suo limite. In effetti, l’“ineguale divisione” dei compiti domestici – un ossimoro che indica l’assenza di condivisione – non sembra obbligata, ma il risultato di accordi amichevoli tra due adulti liberi. Tuttavia, non appena due persone di sesso diverso formano una coppia e vivono insieme, la quantità di lavori domestici svolti dall’uomo diminuisce mentre aumenta quella della donna. E il lavoro gratuito è lo sfruttamento economico più radicale.
Vedendo lo sfruttamento solo dove c’è un plusvalore, la teoria marxista, che si voleva di liberazione, ha prodotto concetti che non solo non rendono adeguatamente conto dello sfruttamento salariale, ma sottovalutano anche altri tipi di sfruttamento, sia esso lo sfruttamento domestico, la schiavitù o il servaggio. Il modo di produzione capitalista, nella misura in cui serve il modo di produzione patriarcale, non è puramente capitalista, ma anche patriarcale. Da qui, per l’autrice, la necessità di rivisitare la teoria marxista mediante una teoria generale dello sfruttamento.
Christine Delphy (1941) è una sociologa francese. Ha partecipato dal 1968 al Mouvement de libération des femmes francese. Tra le fondatrici, insieme a Simone de Beauvoir, della rivista “Questions féministes” (oggi “Nouvelles Questions féministes”). Tra le sue numerose pubblicazioni: L’ennemi principal (in due volumi, 1998 e 2001); Classer, dominer (2008); Un universalisme si particulier (2010).
RASSEGNA STAMPA
Carmilla – 18 Ottobre 2020
Un femminismo materialista è possibile
di Marcella Farioli
Christine Delphy, Per una teoria generale dello sfruttamento. Forme contemporanee di estorsione del lavoro (traduzione e postfazione a cura di Deborah Ardilli), Ombre Corte, Verona 2020, pp. 155, € 13 (tr. di Pour une théorie générale de l’exploitation, Syllepse, Paris 2015).
Va considerata un evento la prima traduzione integrale in italiano di un’opera della sociologa Christine Delphy, una delle più originali pensatrici del femminismo francese, protagonista del Mouvement de libération des femmes e nel 1977 fondatrice, insieme a Nicole-Claude Mathieu, della rivista “Questions féministes”; un evento poiché Delphy, ampiamente tradotta nei paesi anglosassoni, è stata finora oggetto, in Italia, di una vera e propria rimozione.
Questa cancellazione non stupisce. Da un lato, il femminismo francese fin dagli anni ’80 è stato identificato tout court col pensiero della differenza sessuale, con il gruppo Psychanalyse et politique e con feudi accademici ben difesi da intellettuali come Cixous e Kristeva; questa cristallizzazione – validata anche dalle femministe anglo-americane – di un «French Feminism» privo della sua costola materialista, si è poi perpetuata sia nell’accademia sia nei settori militanti per un meccanismo spontaneo di riproduzione dell’identico. D’altro canto, come osserva Deborah Ardilli, autrice della postfazione del volume, questa cancellazione del femminismo materialista, che ne ha decretato l’assenza dall’editoria italiana, ha anche altre e più profonde ragioni: «più che di marginalizzazione, termine che potrebbe erroneamente indurre a pensare all’esito di un processo di selezione naturale sul mercato delle idee, meglio sarebbe parlare di resistenza attiva al paradigma materialista e, a cascata, alla possibilità di riconoscergli un’elasticità sufficiente a farlo migrare verso ambiti diversi da quello per cui era stato originariamente concepito da Marx » (p. 107). > continua a leggere >
IL MANIFESTO – 24.07.2020
Le forme del dominio da smascherare
di Francesca Maffioli
Femminismo. «Per una teoria generale dello sfruttamento», di Christine Delphy. Per ombre corte il volume della sociologa francese sul lavoro domestico come base materiale dell’oppressione delle donne.
Il suo contributo teorico e in termini di militanza agli studi femministi, all’economia politica e alla sociologia del lavoro la rende una delle figure chiave del femminismo internazionale. Christine Delphy, attualmente ricercatrice e direttrice di ricerca onoraria al Cnrs, è attiva dagli anni Settanta nel Mouvement de Libération des femmes, nel ’69 entra nel gruppo non misto Féminisme, Marxisme, Action. È tra le fondatrici della rivista «Questions féministes» a cui aderiranno anche Monique Wittig e Colette Guillaumin e di cui Simone de Beauvoir divenne direttrice di pubblicazione. La rivista, che in quegli anni divenne luogo di dibattito per una rivoluzione epistemologica del pensiero femminista non solo francese, si costituì come portavoce del femminismo radicale e di quello che da allora venne chiamato «femminismo materialista» (categoria forgiata proprio da Delphy nel ’75).
OMBRE CORTE ha pubblicato Per una teoria generale dello sfruttamento. Forme contemporanee di estorsione del lavoro (pp. 155, euro 13), uno degli ultimi studi di Christine Delphy. L’originale francese del 2015 ha visto l’ottima traduzione e cura di Deborah Ardilli cui si deve anche la necessaria postfazione al testo nonché il profilo bio-bibliografico della sociologa e femminista francese. La prefazione, a opera delle studiose quebecchesi Mélissa Blais e Isabelle Courcy, ci suggerisce la scelta editoriale dell’originaria coedizione franco-canadese Éditions Syllepse e M Éditeur, ma soprattutto ci permette di leggere il pensiero di Delphy tramite voci che, pur francofone, restano di una ricchezza altra rispetto al panorama francese. Le due studiose, percorrendo i temi affrontati nel testo, si soffermano su una questione che Delphy tratta in maniera molto ampia: il ripensamento dei lasciti marxisti nelle analisi delle forme di sfruttamento e il conseguente occultamento delle altre forme di dominio.
Nel testo Christine Delphy riesce a dare una forma inedita all’elaborazione di una teoria generale dello sfruttamento. Riesce a farlo partendo dall’analisi delle modalità di produzione del lavoro domestico. Gli interrogativi di base sono i seguenti: perché, nonostante la maggioranza delle donne lavori, la quasi totalità del lavoro familiare continua a essere effettuato dalle donne? Perché anche quando la partecipazione dei due sessi al lavoro retribuito tende all’uguaglianza, all’interno della famiglia essa resta dissimmetrica?
LA SOCIOLOGA risponde che il lavoro domestico è stato e resta il luogo di sfruttamento e la base materiale dell’oppressione delle donne ed è il mezzo di sfruttamento patriarcale per eccellenza, ancor prima di essere capitalista. La «distribuzione asimmetrica» delle attività domestiche espletate dalle donne è inerente allo status della famiglia eterosessuale.
Partendo da una lettura materialista dei rapporti sociali Delphy sottolinea la necessità di soffermarsi sull’insieme dei rapporti di appropriazione del lavoro, considerando come l’estorsione del lavoro e il ricorso al lavoro gratuito derivino da forme che in Occidente si pensano legate al periodo coloniale o tutt’al più ai lasciti dello schiavismo – modalità estorsiva considerata (a torto) lontana.
Delphy pesa il carattere multiplo delle forme di sfruttamento che gravano sul lavoro domestico delle donne e ravvisa come lo sfruttamento capitalista sia così lesivo proprio perché combinato con i sistemi contemporanei di schiavitù, di memoria feudale. A differenza dello sfruttamento capitalista tuttavia queste ultime ma primarie forme di sfruttamento rimarrebbero invisibili anche nelle analisi economiche, negli ambiti della ricerca universitaria di settore e dell’opinione pubblica: «Si è imposta una doxa che identifica totalmente diversi termini: economia, sfruttamento, capitalismo e classe. Qui l’economia viene intesa nel senso dei classici: si tratta dell’economia di mercato. Lo sfruttamento è economico e, poiché l’economia coincide con il mercato, lo sfruttamento non può che passare attraverso il mercato. I meccanismi di questo sfruttamento sono quelli del capitalismo, che non hanno più niente a che vedere con quelli dei modi di produzione «anteriori», feudalesimo e schiavismo».
In L’ennemi principal 1. Économie politique du patriarcat (Syllepse, 1998), pur riconoscendo l’embricatura di diversi sistemi di sfruttamento nell’oppressione delle donne, Dephy non si serve del concetto di intersezionalità (elaborato da Kimberlé Crenshaw qualche anno prima) come probabilmente ci aspetteremmo, perché secondo la studiosa tale concetto non nominerebbe lo sfruttamento. Come spiega Ardilli nella postfazione «una teoria generale dello sfruttamento sarà invece più portata a sottolineare come il rapporto di appropriazione costitutivo delle classi di sesso sia trasversale e immanente alle stratificazioni di “razza” e di classe (nel senso tradizionale del termine) che caratterizzano una formazione sociale».
SOSTENENDO che la dimensione di classe abbia assorbito le dimensioni di genere e razza Delphy critica anche l’interpretazione della teoria del plusvalore secondo la convinzione che il lavoro domestico femminile – per antonomasia gratuito – non sia«un prodotto esclusivo del capitalismo, né un vantaggio solo per il capitalismo».
Nel 2002 Delphy intitolava un suo articolo: «Le travail domestique ne se partage pas, il se supprime» e spiegava che nel modo di produzione domestico il lavoro (in quanto prestazione gratuita) non possa essere condiviso né ripartito – trattandosi di una forma di sfruttamento tra le parti coabitanti.
Anche in quest’ultimo lavoro ritorna in maniera definitiva sulla questione: «Nel quadro concettuale del modo di produzione domestico, pertanto, è inesatto parlare di ‘divisione dei compiti’ per quanto riguarda il lavoro familiare: di fatto soltanto il lavoro gratuito, cioè il lavoro effettuato gratuitamente per qualcun altro, è lavoro domestico nel senso rigoroso del termine. Il lavoro gratuito è lo sfruttamento economico più radicale. Non possiamo augurarci di ripartire equamente una forma di sfruttamento. L’unica cosa che possiamo augurarci è di fare in modo che nessuno lavori gratuitamente per qualcun altro».
UN ASSAGGIO
Postfazione. L’eresia materialista di Christine Delphy
di Deborah Ardilli
1. Degli scritti confluiti nel volume che avete sotto gli occhi, apparsi in lingua originale su rivista nei primi anni Duemila e tradotti qui per la prima volta in italiano, bisogna dire per prima cosa che non hanno perso nulla dello smalto, dell’irriverenza e del rigore che, ormai da mezzo secolo, caratterizzano gli interventi di Christine Delphy. Se le circostanze che hanno propiziato la pubblicazione di questi saggi rimandano a una precisa costellazione storica e geografica, il modo in cui Delphy si inserisce nel dibattito aperto da una parte della sinistra marxista francese, al volgere del millennio, documenta la continuità di un pensiero che, per profondità e ampiezza di gittata, trascende la dimensione puramente occasionale, così come deborda dal quadro ristretto dei confini nazionali.
Quella che prende corpo in Per una teoria generale dello sfruttamento è una riflessione che obbedisce anzitutto alla necessità di non lasciare rifluire le acquisizioni proprie della rivoluzione epistemologica avviata in Francia, nei primi anni Settanta del Novecento, dal femminismo radicale e materialista. Non lasciare rifluire tali acquisizioni comporta intraprendere due passi: mettersi nelle condizioni di farle interagire criticamente con posizioni rivali e trovare il modo di tradurle in prassi politica. Nel leggere questi scritti, irti di punte polemiche – ora esplicite, ora più implicite – occorre pertanto tener presente la varietà di interlocutori a cui l’autrice allude, e a cui indirizza il proprio messaggio. Come vedremo più dettagliatamente, molte delle posizioni contestate in queste pagine sono le stesse sottoposte a critica nella produzione precedente di Delphy, e appartengono sia all’ortodossia marxista, sia alle componenti maggioritarie del movimento femminista. È a quest’ultimo in particolare, messo a dura prova dall’oggettiva difficoltà di avanzare sul terreno della sovversione dei rapporti di forza patriarcali, ma forse ancor di più dalla riluttanza a interrogare le ragioni di questa impasse, che Delphy si rivolge. E ancora una volta bisogna precisare che, fatte le debite differenze, il ragionamento svolto per la Francia non è così remoto, o culturalmente alieno, da non trovare rispondenze significative anche nel caso italiano.
È precisamente a quest’altezza che mi pare vada situata la principale ragione di interesse di Per un teoria generale dello sfruttamento: ben lontano dal proporsi come un esercizio di critica dell’economia politica fine a se stesso, soddisfatto del proprio virtuosismo dimostrativo, quello messo in campo dalla femminista francese è lo sforzo, generoso e intelligente, di saldare lo scavo analitico al rilancio dell’esercizio della ragione strategica. Restituire dignità all’esercizio della ragione strategica altro non vuol dire, oggi, che sollecitare il femminismo a non lasciarsi divorare da guerre identitarie, combattute su terreni di retroguardia ben recintati dal dominante, per riappassionarsi invece al problema di annodare i mezzi al fine. E se il fine è la distruzione del patriarcato, metterlo in relazione a mezzi adeguati significherà imparare a navigare in cattive acque evitando sia meccanismi di delega in bianco a una politica responsabile della sua perpetuazione, sia l’esaltazione di uno spontaneismo che alla delega si trova costretto, proprio malgrado, a causa dell’impotenza a indirizzare il cambiamento.