Descrizione
Ernesto Jannini
Palestre di vita. Omaggio a Gennaro Vitiello
Prefazione di Stefano De Matteis
“Sono del parere che possano esistere tante particolari concezioni del teatro per quanti uomini di teatro ci sono, cioè per quanti artisti praticano il loro mestiere con la particolare cura di servire la propria arte. Così quest’arte non può sembrarmi governata da leggi fìsse, immutabili, universali e, in qualche modo, magiche. Lo studio dell’arte teatrale permette solo di costruire, con la riflessione e l’esperienza, delle teorie che valgono secondo l’efficacia della pratica. Le teorie sono una guida per la creazione drammatica e oggi non sono solo brechtiane. Ve ne sono di precedenti, forse più significative e determinanti per il Teatro Contemporaneo”. Siamo nel 1966 e le parole di Gennaro Vitiello – magistrale regista, fondatore del Teatro Esse e della Libera Scena Ensemble, direttore artistico del Giugno Vesuviano Popolare, scomparso nel 1985 – risuonano attuali più che mai. In questo suo lavoro Ernesto Jannini dà corpo al racconto appassionato di chi, seppur per un breve periodo, è stato accanto a una delle personalità più vive e originali operanti in Italia tra gli anni Sessanta e Ottanta. Dall’affondo critico dei primi tre spettacoli, vissuti come attore con la Libera Scena Ensemble, emergono l’eccezionale operatività del regista di Torre del Greco e la sua impareggiabile maieutica nei confronti dell’attore. Il libro restituisce, tutta intera, l’atmosfera e il clima culturale della Napoli degli anni Settanta e l’impronta vivida che Vitiello ha lasciato in coloro che lo hanno frequentato e conosciuto. Si parte dai primi incontri con il regista per passare poi ai viaggi compiuti per portare in giro per l’Italia e l’Europa gli spettacoli dell'”Ur-Faust” di Goethe, “La morte di Empedocle sull’Etna” di Hölderlin e “Un matrimonio d’interesse” di Lorca.
Ernesto Jannini (Napoli 1950) ha studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Artista e teorico per alcuni anni è stato attore con la Libera Scena Ensemble di Gennaro Vitiello. Nel 1976 partecipa alla Biennale di Venezia con il gruppo degli Ambulanti. Nel 1990 è nuovamente presente alla Biennale di Venezia con una sala personale. È stato invitato al Festival Texitgestaltung di Linz, alla galleria Flaxman di Londra, alla galleria De Zaal di Delft, al Museum Industrielle Arbeitswet di Steyr, allo Spazio Borsalino di Parigi e di Alessandria, alla Kunsthaus Tacheles di Berlino, all’Istituto di Cultura italiana di Copenaghen, alla galleria La Giarina di Verona e in numerosissimi altri spazi espositivi tra cui il MAGA di Gallarate, Il Castel dell’Ovo di Napoli. Ha vinto il Premio Lissone 2000. Dal 2006 collabora con il Teatro Arsenale e poi col Teatro Pacta nell’ex CRT di Milano. Le sue opere compaiono in musei e collezioni private. Scrive su “Juliet Art Magazine”, “Exibart”, “Artestetica”, “Sdefinizioni”. Ha pubblicato: Esperienze di un ambulante (Laveglia, Salerno 1981); Silos Silenzio. Scritti teorici (Edizioni Studio Noacco, Chieri, 1991); Gabbie Celesti (Lalli Editore, Poggibonsi 1997); Ernesto Jannini, Catalogo antologica al MAGA di Gallarate con scritti di E. Di Mauro, R. Barilli, M. Sciaccaluga (Editore A. Parise, Verona 2004); Equilibridi (Editore Matteo, Dosson, 2007)
RASSEGNA STAMPA
OperaViva – 14 agosto 2018
Un intellettuale europeo. La palestra di Gennaro Vitiello
di Stefano Taccone
«Sono sempre più convinto che ricordare non sia soltanto un dovere verso chi non c’è più, ma che costituisca un’occasione per rimettere in circolo le energie che in alcuni momenti della vita abbiamo avuto la fortuna di condividere con gli altri». Da tale convinzione nasce Palestre di vita. Omaggio a Gennaro Vitiello (Ombre Corte, 2017) di Ernesto Jannini. Studente del Liceo Artistico di Napoli, quando entra in contatto per la prima volta con Gennaro Vitiello, regista teatrale, fondatore del Teatro Esse e quindi della Libera Scena Ensemble, nonché, docente di pittura: «Gennaro iniziò a leggere un canto di Dante e a commentarlo come mai avevo sentito fare. Ciò che mi colpì, oltre al suo particolare timbro di voce che rivelava una grande conoscenza e abilità di recitazione, furono i collegamenti che riusciva a stabilire tra il testo e la nostra vita. Eppure Dante lo studiavamo con passione, la forza attrattiva del Sommo Poeta non ci era estranea; ci mancava, però, quel passaggio essenziale per tramutare il testo in una esperienza, cioè – come sosteneva Nietzsche – tradurre in vita ciò che si è imparato, restituendo la conoscenza alla vita».
Le modalità attraverso le quali Vitiello approccia il testo dantesco sono assai prossime al suo metodo di regista. A tal proposito Jannini riporta opportunamente una dichiarazione del 2013 del celeberrimo attore casertano Toni Servillo: «In una città (Napoli) che ha una tradizione teatrale nobile ma anche sufficiente a se stessa, pregio e limite insieme, che può portare alla ripetizione manieristica di un repertorio, Gennaro ha portato invece l’Europa, mettendo al centro del suo interesse soprattutto Brecht e dentro il teatro napoletano una curiosità per gli altri repertori. E poi Vitiello metteva insieme l’alto e il basso negli spettacoli prima che diventasse di moda». Consapevole dunque della ricchezza, ma anche della zavorra, che una gloriosa tradizione può diventare, così come della preziosità delle sue «vaste conoscenze letterarie», ma anche della necessità di valorizzarla attraverso l’ancoraggio alla «dimensione quotidiana della vita», il regista Vitiello si fa così promotore di un paradigma in cui cultura europea e cultura locale, cultura alta e cultura popolare non fanno a pugni, bensì si sostengono reciprocamente come due scalatori in cordata. Esempio di cultura popolare molto amato da Vitiello è quello degli «straordinari spettacoli del teatro dei pupi», eventi che, ricorda De Matteis nella prefazione, si tengono a Torre del Greco per iniziativa di «Ciro Perna, il capofamiglia di una tribù di pupari», che «aveva un baraccone viaggiante grazie al quale poteva realizzare i suoi spettacoli a puntate». > continua a leggere >
MONITOR – 28 dicembre 2017
Gennaro Vitiello dopo il Sessantotto. Un omaggio al regista de I negri
È uscito di recente il libro di Ernesto Jannini, Palestre di vita. Omaggio a Gennaro Vitiello (ombre corte, Verona 2017), che rievoca l’esperienza dell’autore accanto al regista scomparso nel 1985, figura centrale del teatro di ricerca napoletano prima e dopo il ’68; fondatore, con altri, del Teatro Esse negli anni Sessanta e della Libera Scena Ensemble nei Settanta. Pubblichiamo di seguito la prefazione al libro scritta da Stefano De Matteis.
Questo libro pur non essendo di storia del teatro né di critica d’arte – che a Ernesto Jannini sarebbe venuto facile se non immediato – ha molti pregi. Questi risiedono nella verità che l’autore ci mette dentro. Narra di un’esperienza. È il racconto di una catena di relazioni. E sulla verità che le tiene assieme.
Il lavoro è incentrato sulla capacità e sull’abilità che una persona molto particolare ha avuto, in un periodo molto particolare, di costruire e di intrecciare relazioni intorno all’arte e al teatro. E va specificato che – nella fitta rete di scambi e di intrecci che vengono ripresi, ricordati e raccontati – si tratta essenzialmente di un libro su una relazione in particolare: quella che si può avere con un maestro.
Ma non solo. Perché si tratta di un lavoro che pur essendo scritto in “soggettiva”e ha la voce di un io narrante, è sempre declinato al plurale: Ernesto infatti parlando per sé o di sé, lo fa anche a nome di alcune persone che in quella situazione erano coinvolti. Tanti con lui. Tanti di noi. Perché tra questi c’ero anch’io.
E il maestro è Gennaro Vitiello. > continua a leggere >
UN ASSAGGIO
Prefazione
di Stefano De Matteis
Questo libro pur non essendo di storia del teatro né di critica d’arte – che a Ernesto Jannini sarebbe venuto facile se non immediato – ha molti pregi. Questi risiedono nella verità che l’autore ci mette dentro. Narra di un’esperienza. È il racconto di una catena di relazioni. E sulla verità che le tiene assieme.
Il lavoro è incentrato sulla capacità e sull’abilità che una persona molto particolare ha avuto, in un periodo molto particolare, di costruire e di intrecciare relazioni intorno all’arte e al teatro.
E va specificato che – nella fitta rete di scambi e di intrecci che vengono ripresi, ricordati e raccontati – si tratta essenzialmente di un libro su una relazione in particolare: quella che si può avere con un maestro.
Ma non solo. Perché si tratta di un lavoro che pur essendo scritto in “soggettiva” e ha la voce di un io narrante, è sempre declinato al plurale: Ernesto infatti parlando per sé o di sé, lo fa anche a nome di alcune persone che in quella situazione erano coinvolti. Tanti con lui. Tanti di noi. Perché tra questi c’ero anch’io.
E il maestro è Gennaro Vitiello.
Voglio partire da alcuni antecedenti, che mi permettono di delineare i caratteri tanto “originari” quanto “epocali” che fanno da fondamento. Il clima locale nella Napoli tra la fine degli anni Sessanta e i primi dei Settanta era quello della tradizione: per un verso quella codificata da Eduardo, per un altro quella che si declinava in una molteplicità di forme della rappresentazione popolare.
A questa si aggiungono i lampi e i tuoni, cioè quei segnali di una tempesta che stava per arrivare da fuori: il Living Theatre, le iniziali sperimentazioni di Grotowski, per citare solo quegli elementi più rilevanti e duraturi, e che sostanziano in vario modo il contrasto o la differenziazione almeno da una parte di quella tradizione.
Tutto questo va inserito nel clima politico di un Sessantotto visto però da Napoli e dal Mezzogiorno, le cui tracce letterarie si trovano principalmente nei libri di Fabrizia Ramondino.
Per quel che riguarda invece il clima teatrale di quegli anni disponiamo oggi dell’ottima ricostruzione che ne ha fatto Marta Porzio e a cui rimando (La resistenza teatrale. Il teatro di ricerca a Napoli, Roma, Bulzoni 2011): ma da tutto il grande movimento di quegli anni – al di là della confusione e degli “ammuinatori” occasionali –, voglio partire da un esempio simbolicamente selezionato che credo possa essere indicativo per il lavoro di Vitiello.
Il 1969 si apre con un debutto straordinario: al teatro Esse, dove Gennaro Vitiello realizza il suo lavoro con uno straordinario gruppo di attori, debutta I negri di Jean Genet. Uno spettacolo che, come si sa, può essere rappresentato esclusivamente da una compagnia di attori di colore. Grazie allo scambio epistolare con l’autore, Vitiello riesce ad avere il permesso per realizzarlo con una compagnia di bianchi. Con quali motivazioni? In sintesi: i neri siamo noi, noi intellettuali, noi marginali nella marginalità. Noi esclusi. Perché libertari e contro ogni forma di sottogoverno e di sottocultura. Estranei a ogni corruzione. Noi che come tutti gli oppressi, tentiamo una rivoluzione che liberi – non solo il teatro ovviamente – da ogni forma di repressione fisica, morale, sessuale…
Ma lo scenario da cui, sulle ceneri del teatro Esse, nasce la Libera Scena Ensemble, la nuova formazione teatrale guidata da Vitiello, è completamente diverso. Siamo nei primi anni Settanta, un momento ricco di attività sociali, di strada come di quartiere: dall’Associazione risveglio Napoli (Arn) fondato da Fabrizia Ramondino alla Manza dei Bambini Proletari. Intanto anche il teatro è uscito dalle cattedrali esclusive della borghesia o quelle stesse sono state invase da forze nuove e inedite, culturali e artistiche. […]