Descrizione
Edusrdo Viveiros de Castro
Metafisiche cannibali
Elementi di antropologia post-strutturale
Prefazione di Mario Galzigna – Postfazione di Roberto Beneduce
La prospettiva tracciata da Viveiros de Castro, i cui contributi sono da anni al centro del rinnovamento concettuale dell’antropologia, si fonda su un’opzione antinarcisistica, capace di infrangere la sovranità del soggetto analizzante (l’antropologo) e il suo presunto primato sull’oggetto analizzato (le società amerindiane). Non è un caso, infatti, che Metafisiche cannibali sia concepito come la presentazione di un altro suo libro, ancora non scritto, intitolato L’anti-Narciso, tutto giocato proprio su questa rottura della relazione dicotomica tra soggetto e oggetto, laddove l’altro, tradizionalmente considerato oggetto dell’indagine, diviene invece fonte preziosa di concettualizzazioni, di epistemologie, di punti di vista indispensabili alla sua (e alla nostra) comprensione. Di qui la domanda-chiave, che orienta tutta la ricerca: qual è il debito concettuale dell’antropologia nei confronti dei popoli che studia? Rispondere a questa domanda, pensare l’antropologia come esercizio di infinita traduzione e di “equivocità controllata”, significa partire da un assunto fondamentale: le concezioni e le pratiche che caratterizzano la ricerca antropologica provengono sia dai mondi del “soggetto” sia dai mondi dell’“oggetto”, affermandosi tra i due una “alleanza sempre equivoca ma spesso feconda”, capace di spiazzare ogni approccio di tipo dualistico.
Questo radicale spostamento di prospettiva – sostenuto da una feconda ibridazione che collega l’antropologia strutturale di Lévi-Strauss alla filosofia “rizomatica” di Deleuze e Guattari – definisce la nuova missione dell’antropologia: quella di essere “una teoria-pratica di una decolonizzazione permanente del pensiero”, che restituisce al sapere dell’Altro il posto a lungo negatogli nell’orizzonte della conoscenza. È a partire da questa impostazione che nasce una originalissima rilettura dello strutturalismo, della “semiofagia” e delle popolazioni amerindiane, o dello sciamanesimo come attraversamento delle barriere ontologiche.
Eduardo Viveiros de Castro è professore di antropologia al Museo Nazionale di Rio de Janeiro, dopo aver insegnato a Cambridge, Chicago e Parigi. Il suo lavoro sul multinaturalismo o prospettivismo amerindiano e sull’ontologia della predazione ne ha fatto un maestro dell’antropologia contemporanea. Autore di numerosi lavori tradotti in varie lingue, nella nostra è recentemente apparso Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine (scritto con Deborah Danowski) e per i nostri tipi, L’intempestivo, ancora Pierre Clastres di fronte allo Stato (2021).
RASSEGNA STAMPA
Philosophy Kitchen – Settembre 2017
Metafisiche cannibali – Alcune riflessione a partire da Viveiros de Castro
di Filippo Zambonini
È finalmente disponibile nella traduzione italiana l’opera che ha portato alla ribalta della scena intellettuale e accademica mondiale l’antropologo brasiliano Eduardo Viveiros De Castro: Metafisiche cannibali. Elementi di antropologia post-strutturale. Il volume, recentemente pubblicato da Ombre Corte, è impreziosito da una prefazione di Mario Galzigna (a cui va riconosciuto, tra l’altro, il merito di aver tenacemente insistito affinché anche in Italia potessimo fruire di questa entusiasmante lettura) e da una lunga ed esaustiva postfazione dell’antropologo Roberto Beneduce. > continua a leggere >
Doppiozero – 30 giugno 2014
Le metafisiche cannibali di Eduardo Viveiros De Castro
di Pietro Barbetta
Eduardo Viveiros De Castro l’antropologo, in Italia, fuori dagli addetti ai lavori, è poco o per nulla conosciuto. Si tratta di uno dei pensatori più prolifici per l’antropologia, ma, come accade ad altri autori di grande rilievo, i suoi meriti vanno ben oltre gli studi antropologici. Per questa ragione mi permetto di scriverne, sperando di non urtare troppo la sensibilità disciplinare degli antropologi d’accademia.
C’è un libro mai scritto che si mostra come un’ombra attraverso le pagine della sua opera, un libro che Viveiros De Castro ci mostra come un progetto mai realizzato, l’Anti-Narciso, continuazione, riproposizione, derivazione dell’AntiEdipo, ripensamento e ripresa, in chiave antropologica, di quell’intreccio di pensiero tra psicoanalisi, filosofia e letteratura che è l’opera di Gilles Deleuze e Felix Guattari.
Brasiliano di origine, ha insegnato per anni in Europa, sopratutto a Cambridge in Inghilterra, per rientrare da alcuni anni a Rio de Janeiro, dove insegna al Museu Nacional. Scrittore prolifico, le sue opere si trovano in Portoghese, Francese, Inglese, Spagnolo e altre lingue; due tra le più importanti sono Métaphisiques Cannibales, Puf, 2009 e A incostância da alma selvagem, per Cosac Naify di San Paolo, volume di cinquecento pagine, del quale si è tradotto in inglese il terzo capitolo nel 2011. Il titolo originale di quel capitolo è: “O mármore e a murta: sobre a incostância da alma selvagem”, il marmo e il mirto, un tipo d’infiorescenza. > continua a leggere >
Fahrenheit archivio 2017
Fahrenheit – Metafisiche cannibali – ore 16.00 del 13/09/2107
Con Mario Galzigna e Roberto beneduce
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S&F_n. 19_2018
Redensione di Delio Salottolo > vai alla pagina >
il manifesto – 19.08.2017
Decolonizzare il pensiero per restituire il sapere dell’Altro
di Alberto Giovanni Biuso
Tutto qui appare diverso rispetto a come siamo abituati a pensare. Categorie, concetti e modi di essere si mostrano in una prospettiva completamente differente, attraversamento di una soglia del mondo. Questo è Metafisiche cannibali. Elementi di antropologia post-strutturale, di Eduardo Viveiros de Castro (ombre corte, pp. 237, euro 20, prefazione di Mario Galzigna – che cura la traduzione dal francese insieme a Laura Liberale – e postfazione di Roberto Beneduce). Una decolonizzazione dei presupposti dell’antropologia mediante i concetti di etnocentrismo, prospettivismo, multinaturalismo, divenire.
Ritenere che soltanto i popoli occidentali siano etnocentrici è un evidente errore che le ricerche sul campo smentiscono a ogni passo. L’etnocentrisimo, scrive con cartesiana ironia Viveiros de Castro, «è come il buon senso: è la cosa meglio distribuita al mondo» in quanto base dell’identità di ogni gruppo.
Il cannibalismo è una forma radicale di tale identità, ovvero non si spiega con esigenze alimentari o con l’idea di incorporare le virtù della persona divorata ma come espressione di un prospettivismo profondo che parte dalla corporeità e in essa rimane per intero confitto. Si tratta di una forma radicale di autodeterminazione del sé attraverso la metabolizzazione del punto di vista corporeo del nemico. Il Sé come un Altro, di cui parla Ricoeur, sta a fondamento del cannibalismo, il cui obiettivo consiste nel «mangiarlo realmente per costruire il Sé in quanto altro». In tal modo l’antropofagia diventa antropologia.
LO SNODO è un prospettivismo radicale, una ontologia della molteplicità e della differenza, per la quale non c’è un punto di vista sulle cose ma le cose stesse sono dei punti di vista. Non si tratta della banale e consueta pluralità di rappresentazioni dello stesso mondo ma – al contrario – del fatto che «tutti gli esseri vedono (rappresentano) il mondo allo stesso modo: ciò che cambia è il mondo che essi vedono». Entriamo così in una realtà del tutto differente da quella che conosciamo, in cui non c’è distinzione gerarchica tra umani, altri animali, vegetali, pietre, oggetti. Tutte queste strutture costituiscono dei centri di intenzionalità perché un’intenzione è sempre una relazione con l’alterità. Tutti gli animali e ogni altra componente del cosmo sono persone in quanto nella relazione possono sempre inglobare, divorare, trasformarsi, divenire.
ALL’OPPOSTO dell’evoluzionismo europeo, la differenziazione non parte dalla comune animalità ma si origina dalla comune umanità. E pertanto dove la nostra posizione tende a essere multiculturalista, quella dei popoli amazzonici è multinaturalista. Lo sciamano attraversa i confini ontologici, non semplicemente raggiungendo una conoscenza dell’alterità ma trasformandosi nell’alterità.
L’antropologia diventa post-strutturale perché l’immobilità delle strutture è stata fecondata dalla temporalità degli eventi, innervata dalla «circolazione infinita di prospettive: scambio di scambio, metamorfosi di metamorfosi, punto di vista su punto di vista, ovvero: divenire. Doppio movimento, quindi, per una doppia eredità che dipende innanzitutto da un’alleanza mostruosa, dalle nozze contro natura: Lévi-Strauss con Deleuze».
METAFISICHE CANNIBALI si presenta come testo-abbozzo di un altro libro, che avrebbe dovuto intitolarsi L’anti-Narciso; chiaro ed esplicito riferimento all’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari, ritenuto – come altri loro testi – fondamentale in ambito anche antropologico.
L’antropologia di Viveiros de Castro appare ed è una pratica «della decolonizzazione permanente del pensiero», la più radicale che si possa pensare proprio perché fa della prospettiva una metamorfosi ontologica e non soltanto una rappresentazione epistemologica; perché rifiuta l’idea sottilmente ma potentemente colonialista secondo la quale l’altro è sempre un’invenzione dell’Occidente, trasfigurando così «i sedicenti altri in finzioni dell’immaginazione occidentale che non hanno voce in capitolo»; perché capovolge la dialettica della dualità come unità a favore della dualità come molteplicità; perché fa della Differenza antropologica e ontologica una radicale forma di resistenza nei confronti della «Ragione-forza che ha consolidato la macchina planetaria dell’Impero, nelle cui viscere si realizza l’accoppiamento mistico del Capitale con la Terra (la mondializzazione)»
L’antropologia diventa essa stessa un esercizio sciamanico, se è vero che «il segno di una intelligenza sciamanica di prim’ordine è la capacità di vedere simultaneamente secondo due prospettive incompatibili». Le metafisiche cannibali hanno divorato l’antropologia e ne hanno in questo modo moltiplicato la potenza di comprensione e spiegazione, facendola diventare una pratica di identità dei concetti e di differenza del mondo.
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La Stampa – 17 giugno 2017
Gli indios annegavano gli spagnoli per capire se fossero degli dei
di Gianfranco Marrone
Le ricerche dello studioso brasiliano sui popoli amazzonici: il rapporto tra natura e cultura nel pensiero “primitivo”
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Alfabeta2- il 5 Maggio 2019
Eduardo Viveiros de Castro, l’ontologia selvaggia
di Emanuele Dattilo
Il mondo, tutti lo sappiamo, non esiste. Piuttosto esistono molti mondi, che si intersecano, si sovrappongono, si escludono a vicenda. Non gli uomini sono in conflitto o in armonia tra di loro, ma i mondi, ed è dalla comunicazione o dalla relazione tra questi mondi (quello dei vivi e quello dei morti, ad esempio) che ha origine tutto ciò che chiamiamo cultura, ma forse anche ciò che chiamiamo natura. Non ci ha insegnato uno dei più grandi zoologi del secolo scorso, Jakob von Uexküll, che la differenza (ammesso che ci sia) tra me e la zecca è, innanzitutto, una differenza tra il suo mondo e il mio? Ma dove va situata questa differenza: in noi stessi, nel modo di percepire, nel linguaggio, o proprio nel mondo sensibile in cui viviamo? È il nostro punto di vista che forma un mondo o è piuttosto il mondo a generare un nostro punto di vista?
In Prospettivismo cosmologico in Amazzonia e altrove, Eduardo Viveiros de Castro, formula una risposta originale a queste domande. Le cinque lezioni qui raccolte, tenute nel 1998 a Oxford, rappresentano l’atto di nascita della cosiddetta «svolta ontologica» in antropologia, la corrente di studi – pari per importanza forse solo allo strutturalismo – di cui Viveiros de Castro è considerato il fondatore (sempre per Quodlibet è uscito, insieme a Prospettivismo cosmologico, anche Metamorfosi, una raccolta di saggi di studiosi internazionali – che include due saggi dello stesso Viveiros de Castro – dove viene fatto il punto delle ricerche più avanzate su questi temi). I libri precedenti usciti in Italia (Metafisiche cannibali, ombre corte 2017, o Esiste un mondo a venire?, uscito da nottetempo pure nel 2017), rappresentano alcuni tra gli studi importanti svolti da Viveiros de Castro negli ultimi anni, e ne illustrano il pensiero, che però trova in queste lezioni una esposizione teorica particolarmente chiara e accessibile. Il discorso di Viveiros de Castro non riguarda solo l’antropologia, ma interessa anche tutte le scienze umane. Se anche è formulato entro un ambito ristretto, quello degli studi amerindi, è un discorso che gioverebbe a essere fatto anche – soprattutto – in filosofia. > continua a leggere >
UN ASSAGGIO
Indice
7 Prefazione. Divorare l’altro
di Mario Galzigna
23 Ringraziamenti
Parte prima: L’anti-Narciso
27 Capitolo primo. Un sorprendente ritorno delle cose
36 Capitolo secondo. Prospettivismo
51 Capitolo terzo. Multinaturalismo
62 Capitolo quarto. Immagini del pensiero selvaggio
Parte seconda: Capitalismo e schizofrenia da un punto di vista antropologico
81 Capitolo quinto. Un curioso intreccio
91 Capitolo sesto. L’anti-sociologia delle molteplicità
105 Capitolo settimo. Tutto è produzione: la filiazione intensiva
Parte terza: L’alleanza demoniaca
121 Capitolo ottavo. Metafisica della predazione
132 Capitolo nono. Sciamanesimo trasversale
140 Capitolo decimo. La produzione non è tutto: i divenire
152 Capitolo undicesimo. Le condizioni intensive del sistema
Quarta parte: Il cogito cannibale
163 Capitolo dodicesimo. Il nemico nel concetto
173 Capitolo tredicesimo. I divenire dello strutturalismo
195 Postfazione: Metamorfosi. Le sfide di un’antropologia dei possibili
di Roberto Beneduce
227 Bibliografia
Prefazione
Divorare l’altro
di Mario Galzigna
Per introdurre Metafisiche cannibali voglio partire dall’ultimo paragrafo che conclude il libro:
Doppio movimento […] per una doppia eredità che dipende innanzitutto da un’alleanza mostruosa, dalle nozze contro natura: Lévi-Strauss con Deleuze. Questi nomi propri sono delle intensità, attraverso le quali passa, nella riserva virtuale in cui l’abbiamo lasciato, in cui l’abbiamo posto, L’anti-Narciso (infra, 191).
Lévi-Strauss con Deleuze, dunque: cioè l’essere che si coniuga con il divenire, e perciò la struttura che si apre a un registro analitico capace di comprenderla nella la sua genesi, nei suoi movimenti evolutivi, nelle sue trasformazioni. Terreno fecondo, favorevole alla realizzazione creativa di sintesi disgiuntive, oltre i consueti adagi, troppo spesso sterili, del pensiero dialettico. Struttura e storia, dunque, non più contrastanti, come accadeva nell’àmbito di uno “strutturalismo senza genesi”, già denunciato criticamente da Piaget. Lo strutturalismo à la Viveiros de Castro è capace di mettere in gioco i propri dinamismi interni, sotto il segno di un primato degli eventi – aleatori, imprevedibili – che lo espongono alle vicissitudini del tempo e delle sue scansioni diacroniche. Uno di questi eventi imprevedibili è stato, per l’Occidente, la scoperta dell’altro, conseguente a quella che Todorov, in un libro decisivo, ha definito La conquista dell’America.
La scoperta dell’altro è stata, al tempo stesso, un evento storico imprevedibile, ma anche una matrice fondativa del nostro presente; cioè l’apertura di un orizzonte entro il quale si decidono sia gli assetti e il futuro delle scienze umane sia le configurazioni attuali e possibili delle nostre identità: il loro essere e i molteplici modi del loro divenire; leurs devenirs, come avrebbero detto Deleuze e Guattari in Mille piani: un’opera filosofica utilizzata spesso da Viveiros de Castro dentro la prospettiva di una rifondazione dell’antropologia. Tale rifondazione poggia su un’opzione antinarcisistica, capace di infrangere la sovranità del soggetto analizzante (il filosofo-antropologo) e il suo presunto primato sull’oggetto analizzato (le società amerindiane): fino al punto da concepire Metafisiche cannibali come libretto di presentazione di un altro libro; un altro libro a venire, cioè non ancora scritto, intitolato L’anti-Narciso, tutto giocato, per l’appunto, su questa rottura tra soggetto e oggetto, laddove l’altro, che tradizionalmente viene considerato oggetto dell’indagine, diviene invece fonte preziosa di concettualizzazioni, di epistemologie, di punti di vista indispensabili alla sua comprensione. Di qui la domanda-chiave, che orienta tutta la ricerca: qual è il debito concettuale dell’antropologia nei confronti dei popoli che essa studia? Rispondere a questa domanda significa partire da un assunto fondamentale: concezioni e pratiche che caratterizzano la ricerca antropologica provengono sia dai mondi del “soggetto” sia dai mondi dell’“oggetto”; tra i due livelli si afferma una “alleanza sempre equivoca ma spesso feconda”, capace di spiazzare ogni approccio di tipo dualistico. Questo radicale spostamento di prospettiva definisce la nuova missione dell’antropologia: quella, cioè, di rappresentare la teoria e la pratica di una decolonizzazione permanente del pensiero. È la stessa relazione dialettica tra il medesimo e l’altro – tradizionalmente portata a vedere noi stessi dietro la maschera dell’altro – a venire ribaltata, assegnando all’alterità una sua fisionomia specifica, irriducibile alle configurazioni del medesimo. Possiamo affermare, con Patrice Maniglier, filosofo molto vicino a Viveiros de Castro, che una vera antropologia “ci restituisce un’immagine di noi stessi nella quale non ci riconosciamo”. Occorre distanziarsi da se stessi, se déprendre de soi même, come scriveva Foucault nella sua introduzione a L’uso dei piaceri: operazione antinarcisistica capace di individuare – è il caso di Viveiros de Castro – “la forza motrice” della disciplina antropologica negli stili di pensiero che caratterizzano i collettivi studiati. È L’anti-Narciso. Un’opera non ancòra scritta, ma insieme un movimento di pensiero già prefigurato in questo incipit del libro, oltre che nel percorso di altri autori, convocati da Viveiros de Castro entro la congiuntura teorica di una vera e propria antropologia rovesciata (reverse anthropology); tra di essi Roy Wagner, Marilyn Strathern (a cavallo tra antropologia e femminismo), Bruno Latour e, last but not least, Claude Lévi-Strauss: padre ed artefice dello strutturalismo antropologico, riletto ora in chiave post strutturalista e definito, persino, fondatore del post-strutturalismo. Il grande decano dell’antropologia scriveva infatti, nel 2000, in un passaggio valorizzato da Viveiros de Castro: la filosofia – che ci piaccia o che ci preoccupi – “torna ad avere un ruolo di primo piano. Non più la nostra filosofia – di cui la mia generazione aveva chiesto ai popoli esotici di aiutarla a disfarsene – ma, con un sorprendente ritorno delle cose, la loro filosofia” (infra, 32); cioè la filosofia degli indiani sud-americani che diventa, sorprendentemente, non più e non solo una realtà da conoscere e da esplorare, ma anche e soprattutto un nostro strumento, che ci serve a conoscere il mondo, l’altro e noi stessi.
In questo complesso intreccio tra due filosofie, la filosofia “nostra” e la “loro”, è necessario tener presenti – come ha fatto Roy Wagner in un libro fondamentale (The invention of culture, 1981) attentamente utilizzato da Viveiros de Castro – le funzioni semiotiche inverse che l’Occidente e le culture amerindiane attribuiscono al corpo e all’anima. Metafisiche cannibali mette in scena questa inversione dell’ordine logico entro il quale si dispongono i due termini: il corpo e l’anima. Se nell’ontologia europea il corpo, in quanto natura, appartiene alla dimensione dell’innato e dello spontaneo, mentre l’anima, in quanto cultura, appartiene alla dimensione del costruito, del modificabile, nei mondi indigeni l’anima si manifesta, al contrario, come stabile, come permanente, come “manifestazione – per dirla con Roy Wagner – dell’ordine convenzionale implicito in ogni cosa”, offrendo al soggetto la possibilità di fare corpo, di “fare dei corpi”. Diversamente, nei mondi europei l’anima si manifesta come dimensione mobile e mutevole e offre di conseguenza al soggetto la possibilità di modificarla, di trasformarla: la possibilità di fare anima, di “fare delle anime”.