Descrizione
Giuseppe Muraca
L’integrità dell’intellettuale
Scritti su Franco Fortini
Franco Fortini è stato uno dei maggiori intellettuali italiani ed europei della seconda metà del Novecento. Nato a Firenze nel 1917 e morto a Milano nel 1994, nel corso della sua attività ha partecipato ad alcune delle imprese intellettuali più rappresentative della sinistra critica ed eterodossa del suo tempo (basta pensare alle riviste “Il Politecnico”, “Ragionamenti”, “Officina”, “Quaderni piacentini”, alla casa editrice Einaudi ecc.). Polemista, critico letterario (anche se questa definizione gli sta abbastanza stretta), saggista, traduttore e organizzatore culturale, Fortini è stato anche uno dei più importanti poeti della sua generazione (che conta personalità di grande rilievo come Sereni, Luzi, Zanzotto, Pasolini, Roversi, Giudici). Da Foglio di via (1946) a Composita solvantur (1994), i suoi libri di saggistica e di poesia hanno scandito, con calcolata e regolare cadenza, le diverse fasi del secondo dopoguerra, contribuendo in maniera determinante al rinnovamento della cultura italiana e del pensiero marxista.
In questo libro, che raccoglie diversi contributi maturati nel corso degli anni, Giuseppe Muraca attraversa e interroga con passione alcuni dei momenti più significativi del lavoro culturale e letterario di uno dei più grandi scrittore e intellettuali del Novecento.
Giuseppe Muraca è critico letterario e saggista. Ha fondato e diretto la rivista “L’utopia concreta” e ha fatto parte della direzione delle riviste “InOltre” e “Per il ’68” e della redazione del giornale “Ora locale”. Ha pubblicato vari libri, tra cui Utopisti ed eretici nella letteratura italiana contemporanea (Rubbettino 2000), Luciano Bianciardi, uno scrittore fuori dal coro (Centro di Documentazione di Pistoia 2011), e per i nostri tipi: Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici (2018) e Passato prossimo (2019), Il giovane Palazzeschi (2021). Ha collaborato e collabora a numerosi giornali e riviste, tra cui “il manifesto”, “Lotta continua”, “Il Grandevetro” e “Dalla parte del torto”.
RASSEGNA STAMPA
Popoff – 04 MARZO 2022
In libreria L’integrità dell’intellettuale. Scritti su Franco Fortini edito da Ombre corte
di Diego Giachetti
Il Fortini che Giuseppe Muraca propone in questo libro, L’integrità dell’intellettuale. Scritti su Franco Fortini (ombre corte, Verona 2022), è un uomo che ha attraversato la metà del Novecento, con intelligenza, partecipazione, spirito critico e una continua lode al dubbio di brechtiana memoria. Personaggio poliedrico, polemista, critico letterario, saggista, traduttore e organizzatore di cultura, Franco Fortini (1917-1994) ha incontrato tendenze politiche e culturali, si è cimentato nel confronto, senza rimanerne ingabbiato, quasi “divertendosi” a infrangere nelle varie circostanze regole, costumi, valori in un percorso che lo ha portato ad essere considerato uno dei più importanti intellettuali e scrittori di quell’epoca. Nella politica, ma forse e sicuramente di più nella letteratura, ha lasciato una traccia importante, segnata dalla convinzione che cultura e letteratura devono svolgere una funzione pratica, ponendosi in relazione con la società, la storia, con le vicende collettive di uomini e donne nella prospettiva di un cambiamento delle condizioni di disagio, di sfruttamento e di oppressione.
Partendo da questo assunto, Muraca coglie l’aspetto inscindibile di una biografia che non può disgiungere il lavoro culturale e letterario dall’impegno politico, perché sono nati assieme e si sono accompagnati per tutta la vita. Militante socialista dal 1944, nel partito non ha mai ritenuto d’essere un intellettuale organico, se mai, per dirla con le sue parole, un “ospite ingrato”, atteggiamento questo che lo ha posto da subito in conflitto non solo con chi deteneva il potere, ma anche con compagni di politica, costringendolo a pagar la pena dell’isolamento, da cui è uscito rompendo la gabbia e promuovendo nuove relazioni di lavoro, sempre al fine di costruire una società nuova e socialista, nella quale valesse la pena di vivere. Un obiettivo perseguibile e possibile che richiede però una rimessa in discussione del marxismo, senza temere la contraddizione, se essa serve ad aprire la mente, rompere la gabbia di un formale, coerente, noioso e sterile paradigma. Insomma, un invito a praticare l’eresia.
Nel freddo dei dieci inverni
Il giovane Fortini ha cominciato il suo lavoro recependo la ventata di rinnovamento politico, istituzionale, culturale apertasi dopo la fine della guerra e subito conclusasi. Si occupa di politica ma non è un politico di professione. Condivide le speranze raccolte attorno alla rivista «Il Politecnico», fondata da Elio Vittorini nel 1945 nell’intento di edificare una nuova cultura, aggiornata e sprovincializzata, dopo la chiusura del ventennio fascista, aperta al confronto fra il marxismo, la scienza, il cristianesimo, l’esistenzialismo, la psicanalisi, la sociologia, che subito si scontra con l’idealismo, la ripresa dello storicismo crociano con l’aggiunta di zdanovismo e la codificazione del pensiero gramsciano.
I primi segnali della Guerra fredda, la fine del breve governo Parri e poi le elezioni politiche dell’aprile 1948, aprono alla restaurazione politica e sociale. Il Partito comunista si rinchiude in un ideologismo manicheo che contrasta con le aperture del «Politecnico», propulsore di un marxismo critico e antidogmatico. Iniziano quelli che Fortini chiamerà i lunghi inverni della Guerra fredda, segnati dal condizionamento dello stalinismo e del togliattismo nel movimento operaio che stringe la gola al pur indipendente Partito socialista, piegandolo a una posizione subalterna nella coalizione frontista, come ricordò col Senno di poi, lo stesso Franco Fortini: «per i comunisti (e per i dirigenti socialisti assimilati) i socialisti erano compagni finché dicevano di sì ma cominciavano a non esserlo più quando dicevano di no». Ciononostante, il Psi rappresentava ancora un luogo di speranza, dove era possibile criticare la disciplina comunista-staliniana e consentiva una certa apertura e libertà di ricerca.
Con pochi altri, Fortini agisce per difendere spazi di libertà del lavoro culturale e letterario contro le risoluzioni dei Comitati Centrali dei partiti, il diritto all’esercizio della critica e la proposta di contribuire alla ricostruzione di un progetto culturale e di una linea politica alternativi allo stalinismo e al togliattismo. Si colloca nell’area dei marxisti critici, che operano ai margini o dentro il partito e si battono per mantenere vivi filoni di marxismo alternativi alla tendenza nazional-comunista allora dominante. Sono temi in parte ripresi nelle prospettive della nuova sinistra negli anni Sessanta e Settanta, che Muraca sottolinea dedicando un capitolo all’opera di Attilio Mangano sul rapporto tra Franco Fortini e la nascente nuova sinistra.
Nocciolo del suo ragionamento è la proposta di un marxismo rinnovato, eretico, che vuole e deve criticare i dogmi, per cercare continuamente una verità da costruire e non da rivelare al mondo, a cominciare dalla messa in discussione dei luoghi comuni sull’allora socialismo sovietico che gli attira gli anatemi dei comunisti di partito. Critica quel socialismo senza rinnegare la speranza nella rivoluzione comunista. Esorta gli intellettuali alla responsabilità civile e politica del proprio ruolo, a cominciare dal rifiuto della mediazione della direzione burocratica dell’attività culturale, per affermare la validità del rapporto diretto fra loro e i lavoratori, privilegiando l’iniziativa dal basso, il primato e l’autonomia della classe, la democrazia diretta.
La morte di Stalin nel 1953 apre la parentesi della speranza, dopo gli anni della “cruda resistenza”. Fortini chiede una verifica critica dello stalinismo, di aprire quella che chiama “la catena dei perché” e pone due compiti alla rinnovata cultura marxista: infrangere la concezione dogmatica dell’ideologia e abbandonare la cultura statica e provinciale che ha impedito al movimento operaio di aggiornare i suoi strumenti teorici. Breve fu la parentesi della speranza. La repressione della rivoluzione ungherese nel 1956 la chiuse.
Un critico ancor più critico
Dopo il breve vento di rinnovamento soffiato con la destalinizzazione, avviata dal XX Congresso del Partito comunista sovietico del 1956, l’evento ungherese conduce Fortini all’amara conclusione che la corruzione portata dalle pratiche staliniste è stata tale che non si è potuta costituire nessun’altra linea. Si congeda quindi dai dieci lunghi inverni della Guerra fredda e dal Psi, convinto della necessità di costruire un’uscita a sinistra dallo stalinismo, cosa che non vede emergere nel partito, come in parte aveva sperato. Si convince ancor di più della necessità di ripensare criticamente il recente passato, proprio mentre il neocapitalismo sta cambiando il Paese e modifica il ruolo degli intellettuali asservendoli agli interessi della moderna classe dominante e dell’industria culturale. La politica frontista- antifascista è giudicata una formula ormai priva di senso, che nel passato non è riuscita contrastare il dilagare del nazi-fascismo, non ha evitato la Seconda guerra mondiale, né ha consolidato il rinnovamento democratico dopo il fascismo.
All’inizio degli anni Sessanta collabora con le riviste «Quaderni Rossi» e «Quaderni Piacentini», nate quasi contemporaneamente, interagendo con una nuova generazione di intellettuali in formazione che alimenterà l’attività culturale e politica dei “sessantottini” e dei gruppi della nuova sinistra. L’adesione è criticamente entusiasta. Del movimento studentesco del ’68 critica la propensione all’asservimento della cultura e della letteratura al primato della politica. Non concorda con lo slogan del “suicidio dell’intellettuale”, un atto di diniego provocato da un senso di colpa. L’unico suicidio consentito sta nel contribuire alla fine della categoria separata degli intellettuali, per mutare il mondo e se stessi. Rifiutarsi di fare il “mandarino” non è sufficiente per stare con la classe lavoratrice, bisogna sottoporre a critica e a trasformazione le forme e gli spazi della società capitalistica. Utile in tal senso è l’integrazione nel ceppo marxista degli apporti di altre scienze umane e sociali: psicologia, sociologia, antropologia, psicanalisi, strutturalismo.
Nella riformulazione critica del ruolo dell’intellettuale e della cultura trova posto la polemica con Pier Paolo Pasolini alla quale Muraca dedica un lungo capitolo. Si tratta di un dialogo-scontro, caratterizzato da incomprensioni e durezze polemiche, “rancore, amore, narcisismo frustrato, ammirazione, devozione, stima e reciproca competitività e aggressività”, secondo le parole dello stesso Fortini. Pasolini gli appare legato al vecchio Pci togliattiano, estraneo al percorso degli intellettuali neomarxisti, ostile verso i giovani capelloni e gli studenti, come si evince dalla nota poesia Il Pci e i giovani, scritta a caldo dopo gli scontri tra polizia e studenti il 1° marzo 1968 a Valle Giulia a Roma, nella quale l’autore si schiera dalla parte della polizia. Con la fine degli anni Settanta si profila la crisi del marxismo e la sconfitta della sinistra vecchia e nuova. Si apre un nuovo periodo di isolamento politico, durato fino alla morte, percorso con la solita e solida coerenza e ideale continuità: atteggiamento che non è da tutti, direi abbastanza raro. Un po’ più pessimista, ma non arreso, prosegue con ostinazione disincantata, insiste nel dire che l’obiettivo politico resta sempre quello di mutare i rapporti di produzione.
UN ASSAGGIO
Breve premessa
Franco Fortini è stato uno dei più importanti intellettuali e scrittori italiani ed europei della seconda metà del Novecento. Nato a Firenze nel 1917 e morto a Milano nel 1994, nel corso della sua attività ha partecipato ad alcune delle imprese intellettuali più rappresentative del suo tempo (basta pensare alle riviste “Il Politecnico”, “Ragionamenti”, “Officina”, “Quaderni piacentini”, la casa editrice Einaudi, ecc.). Anche se è stato iscritto al Partito socialista dal 1944 al 1957, egli non è stato un intellettuale organico. Se c’è un concetto che in qualche modo può rendere l’idea della sua personalità è quello dell’“ospite ingrato”. Per riprendere un’affermazione contenuta nella Prefazione alla seconda edizione dei Dieci inverni, nella sua opera si può individuare un “movimento costante: quello del separare e del dividere”. Nel corso della sua vita Fortini non ha mai ceduto al compromesso e alla conciliazione, non ha mai collaborato al potere costituito. Questo atteggiamento lo ha posto in continuo conflitto non soltanto con il sistema dominante, ma anche con i suoi “vicini”, un atteggiamento che lo ha spesso condannato all’emarginazione e all’isolamento. Resta proverbiale la sua polemica con Pasolini, una sorta di alter ego con cui è nato un profondo contrasto politico durato un ventennio. Al di là del significato e del valore delle sue varie opere, c’è un motivo conduttore che le ispira, le attraversa e le collega: la riflessione sul ruolo degli intellettuali e dello scrittore nella società del Novecento e il loro impegno per la costruzione di una nuova società, di una società socialista. Per molti la sua colpa è stata quella di essere stato un marxista critico ed eterodosso e un comunista eretico; ma per me deriva proprio da questo aspetto la sua singolarità e la sua esemplarità. E persino negli ultimi anni, quando ormai la storia aveva preso una direzione diversa da quella sperata, egli si è mantenuto fedele, con grande coerenza e integrità morale, a questa scelta radicale.
Gli articoli e le note qui raccolti sono stati scritti nell’ultimo trentennio: i più vecchi (Cultura, letteratura e impegno politico nei Dieci inverni, Fortini e Pasolini e Il poeta di nome Fortini) sono stati rivisti e in parte modificati.