Descrizione
L’insorto del corpo
Il tono, l’azione, la poesia. Saggi su Antonin Artaud
a cura di Alfonso Amendola, Francesco Demitry, Viviana Vacca
Prefazione di Ubaldo Fadini
L’eredità di Antonin Artaud è incommensurabile: centinaia di appunti, decine di riflessioni sull’arte e sulla pratica teatrale e alcune tra le opere più importanti del secolo scorso come Il teatro e il suo doppio. A settant’anni dalla sua scomparsa, i saggi contenuti nel volume si raccordano intorno all’atto estremo di sovversione intellettuale, fisica, gestuale dell’autore francese, indagandone le potenzialità concettuali e le pratiche – il “CsO”, la follia artistica, il “suicidio sociale” – negli aspetti di virtuale attualizzazione. Sullo sfondo si coglie un vivo interesse per quanto riguarda le implicazioni politiche del pensiero artaudiano che possono sostenere in maniera crescente la soddisfazione di un desiderio sempre pieno di vita e di apertura nei territori problematici e contraddittori della contemporaneità.
Contributi di Libera A. Aiello, Alfonso Amendola, Piero Carreras, Rosella Corda, Vincenzo Del Gaudio, Francesco Demitry, Francesco Di Maio, Alessandra Di Matteo, Francesca Izzi, Maria D’Ugo, Camille Dumoulié, Raffaele Ferro, Claudio Kulesko, Daniela Liguori, Nicolas Martino, Valentina Mascia, Mariangela Milone, Mario Tirino, Ianus Pravo, Antonio Rezza, Viviana Vacca
Alfonso Amendola è professore di Sociologia degli audiovisivi sperimentali presso l’Università degli Studi di Salerno.
Francesco Demitry è laureato al Dams di Bologna con una tesi su Carmelo Bene, si sta laureando alla magistrale di Scienze filosofiche di Roma Tre.
Viviana Vacca è laureata in filosofia, attualmente docente al Liceo Artistico di Oristano
RASSEGNA STAMPA
OperaViva Magazine
Bruciando dall’interno
Peppe Allegri
Come molti adolescenti che negli anni Ottanta del Novecento europeo risultavano scarsamente educati alla disciplina scolastica, ebbi la fortuna di conoscere l’arte, la poesia, la letteratura grazie alla musica che circolava tra passaparola, fanzine, cassette e negozietti di dischi. Fu così in particolare con Antonin Artaud, per me inizialmente soltanto >
Artaud materialista / L’insorto del corpo come macchina d guerra
Giso Amendola
Attorno alla materialità dei corpi si articola la ricerca dell’Artaud insorto, del suo «assalto selvaggio (e, al contempo, lucidissimo) verso qualsiasi pratica espressiva»: così subito l’introduzione dei curatori dà il senso del furore, della conflittualità continua, che segnano il tono dei saggi che danno vita a questo «teatro» messo insieme,
Padroni della lingua. Antonin Artaud e Gaston Ferdière a Rodez
Antonio Rezza
Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto da L’insorto del corpo. Il tono, l’azione, la poesia. Saggi su Antonin Artaud (ombre corte, 2018). Come più volte dichiarato ho quasi tutti i libri di Artaud ma non ne ho mai letto uno. Dei libri belli bisogna avere il coraggio di fidarsi, >…
I miei amici non sono ancora venuti / Artaud e l’interruzione
Ubaldo Fadini
Il 24 maggio esce in libreria per ombre corte «L’insorto del corpo. Il tono l’azione, la poesia. Saggi su Antonin Artaud», a cura di Alfonso Amendola, Francesco Demitry, Viviana Vacca. Anticipiamo qui un estratto dalla Prefazione di Ubaldo Fadini. Prima di tutto viene la materia, ciò che si esprime anche nella >…
UN ASSAGGIO
Introduzione
di Alfonso Amendola, Francesco Demitry,Viviana Vacca
Qui suis-je?
D’où je viens?
Je suis Antonin Artaud
et que je le dise
comme je sais le dire
immédiatement
vous verrez mon corps actuel
voler en éclats
et se ramasser
sous dix mille aspects
notoires
un corps neuf
où vous ne pourrez
plus jamais
m’oublier.
Il furore Antonin Artaud è un assalto selvaggio (e, al contempo, lucidissimo) verso qualsiasi pratica espressiva, nel desiderio di ripensare in blocco i processi creativi e comunicativi. Nel tempo gli saranno necessari: il peyotl, Lewis Carroll, la catastrofe dell’io, il “bardo-poeta” che si sostituisce a dio, l’intero annichilimento dell’universo, la percezione del divenire, la lotta contro la forma più dura del giudizio, quella psichiatrica, lo sviluppo del sistema della crudeltà, scontri fra potenze, conflittualità continua. Tutto per mirare alla Nouvelle révélation de l’Être. Non appagamento dell’essere, ma rivolta. Come si evince dalla lettura del saggio di Nicolas Martino, parlare di Artaud non può che essere un atto radicalmente politico, una rivolta costante. Non è un caso che fin da subito richiama e intreccia con Artaud il movimento del ’77 e il ruolo che ha avuto Alice di Lewis Carroll in quel momento, la creazione di un linguaggio minore capace di scardinarne le identità e i confini, la lotta contro i ruoli direttivi e rappresentativi, la messa in discussione della rappresentanza e della rappresentazione, il tentativo di Hobbes di ridurre la differenza all’uno, per poterla governare, la domanda “Chi sono io?” – ripetuta più volte da Artaud – che mette in evidenza sia un certo dispositivo di controllo – i manicomi – sia la necessità di normalizzare ciò che non è normato, nominando nuove patologie: la schizofrenia. E come liberare il corpo dagli automatismi, dagli organi – i nemici del corpo – tramite i quali dio ci organizza e restituirlo alla sua vera libertà? Facendoci Corpi senza Organi. Fondamentale diventa allora mostrare il forte legame tra Artaud e Carmelo Bene, schierati per il divenire e contro la Storia. Chiude così Nicolas: “Sulla superficie dell’essere, con Antonin Artaud e Carmelo Bene, non c’è più nulla da rappresentare e nessuno più che rappresenti”. Artaud è spasmodica ricerca delirante e pienissima che ci porta in un deserto dove la sete di sangue ci brucia, tra il baratro e il nulla. La sua scrittura genesiaca è continua riflessione sugli statuti della rappresentazione, il suo linguaggio fatto di parole-soffio, poesia, teatro e peste assieme. Così André Breton ricorda il giovane Antonin nella commemorazione funebre: “Era da poco che Antonin Artaud si era unito a noi, ma nessuno più spontaneamente di lui aveva messo al servizio della causa surrealista tutti i propri mezzi, e questi mezzi erano grandi […]. Forse era in conflitto con la vita assai più di tutti noi. Molto bello, come era allora, quando si spostava, portava con sé un paesaggio da romanzo nero, tutto trafitto da lampi. Era posseduto da una specie di furore che non risparmiava, per così dire, nessuna delle istituzioni umane, ma che poteva talora risolversi in una risata in cui passava tutta la sfida della giovinezza”. Un furore che lo spingerà verso il cinema, il teatro, le arti, la radiofonia, la filosofia, il pensiero, l’ateismo, la bellezza, il dolore, la solitudine, l’allegoria, la follia… cardini che vogliamo sempre ritrovare negli slanci creativi (e teorici) del nostro tempo presente e nello straziante destino di chi ha voluto ripensare il mondo, ingaggiando una dura battaglia contro il capitalismo, i manicomi, la borghesia, il linguaggio, la famiglia. Una sezione del libro pubblica i due fondamentali contributi di Camille Dumoulié, studioso raffinato e interprete unico dell’evento Artaud. I due saggi inediti per l’Italia – di cui uno Artaud, la peste in lingua francese e il secondo Trop longtemps… per la prima volta in traduzione italiana – hanno il merito di ricostruire in un corpo a corpo serrato con la lingua e la scrittura artaudiane le possibilità di vita: attorno a quella di Artaud – così attesa, strappata alla disperazione e alle organizzazioni della rappresentazione – si snoda la vita dei testi stessi in produzione continua di “concatenamenti collettivi d’enunciazione”. Dumoulié sottolinea con rigore i limiti mortiferi della critica intesa come interpretazione – lo stesso intento, in fondo, di Pour en finir avec le jugement de dieu, “spezzare il linguaggio per raggiungere la vita” – e declina il ritornello del CsO – corpo senza organi del testo – in quanto anti-produzione nevrotica (Alliez), ripetizione di forze, dispositivo di violenza anti-identitaria. In tal senso il corpo senza organi viene replicato con il suo potenziale eversivo nei corpi all’opera artaudiani, nelle parole nuove di una lingua che si fa carne nel bel mezzo del testo e con il testo come altrettante armi contro l’avvelenamento denunciato come identico al sistema stesso. Il tema costante della sua produzione è il corpo, un corpo-senza-organi pour en finir avec le jugement de dieu, per fuggire dal corpo-organizzato. Nel saggio di Claudio Kulesko, Artaud, la peste è l’informe del titolo, endemico rivoltarsi contro lo stesso corpo senza organi in quanto concetto limite. Le opere e la vita di Artaud sono allora in dialogo con il desiderio di esercitare la vita – il desiderio dell’inerzia come dimenticanza del corpo stesso – come estrema possibilità di pensiero. Una dimensione di corpo che ha a che fare con il teatro balinese e che nel tempo sarà dentro le pieghe composite di artisti dell’avanguardia che uniscono alle fatali pratiche della contemporaneità il pensiero carnale di Artaud come grandiosa (e sempre attuale, immanente) matrice di riferimento: a cominciare dal Living Theatre e poi le performance di Mauro dal Fior e Laura Facci, il teatro tra body art e sperimentazione video della Societas Raffaello Sanzio, i video militanti di Giacomo Verde, i video di Kazou Ohno e ancora Lydia Lunch, Psychic TV, gli Ultrash, la Fura del Baus e tantissimi altri sperimentatori che gravitano nell’ambito della creatività visiva più avanzata che in diverse occasioni hanno lavorato e lavorano (attraverso opere, citazioni, riferimenti, scritture, rimandi) nel segno di un autore potente e solitario il cui nome – Antonin Artaud! – va pronunciato a voce alta. Sul tema del teatro lavorano Vincenzo Del Gaudio, Valentina Mascia e Daniela Liguori. Mentre il cinema è il discorso di Mario Tirino.