RASSEGNA STAMPA
“Le Monde diplomatique – il manifesto” – ottobre 2002
di Guglielmo Ragozzino
Questo libro è pericoloso; e perciò sarebbe un bene che avesse una circolazione marginale, limitata a lettori marginali anch’essi. Raccoglie un certo numero di saggi e descrive il ribaltamento in corso nella società mondiale intorno all’asse della sicurezza. Loïc Wacquant ha cercato spesso di far capire come il tema politico, sociale, economico della sicurezza sia stato costruito e imposto nel corso degli anni ’90 in tutto il mondo occidentale. Ora aggiunge alcuni tasselli, parlando anche del Brasile dove la questione della sicurezza è già lotta di classe, e del fenomeno migratorio nell’Europa felice, risolto da ogni paese a suo modo e dall’Unione nel suo insieme in primo luogo come una questione di ordine pubblico, con soluzioni penali e carcerarie.
Il carcere è il punto di arrivo di tutto; l’autore descrive il Carcere: enorme, finale, culmine di tutte le sicurezze. È un istituto che si trova – neanche occorre dirlo – a Los Angeles, California, dove è continuamente rifornito di materia prima dalla solerte e ben nota al mondo, polizia locale. Intorno un turbinare di cifre, presenze, guadagni, investimenti, salari; fino a dire che tra i più potenti lobbisti al parlamento californiano di Sacramento vi è l’associazione delle guardie carcerarie. Dalle cifre emerge un nuovo business di importanza crescente, quello della sicurezza (che visto da un altro punto di vista è soltanto repressione) che coinvolge proprietà edilizia, coercizione tecnologica, creatività carceraria. Il problema della sicurezza essendo spesso il primo, sempre uno dei primi tra gli argomenti dell’agenda politica e delle aspirazioni-timori delle persone, logicamente sta diventando uno dei principali capitoli di spesa, uno dei massimi settori d’investimento. E così, ormai, la questione della giustizia e della pena è diventata un’altra cosa.
Resta l’ultimo punto, una prospettiva aperta, che Waquant ci addita. Il carcere è il punto fermo per le giovani persone di scarso reddito e/o nate da madri sbagliate (non bianche, cioè). Intorno al carcere una serie di attività di sostegno e di accompagnamento, di protezione e di controllo. E se fosse questo il welfare state addatto ai tempi nuovi che ci attendono?
“JURA GENTIUM”
Centro di filosofia del diritto internazionale e della politica globale
di Lucia Re
In questo volume sono stati raccolti a cura dello stesso Wacquant alcuni saggi sulle politiche penali contemporanee, stesi dall’a. fra il 1998 e il 2001. gli interventi sono molto diversi fra loro, sia per stile, sia per contenuto, ma denunciano tutti il declino dell’ideale riabilitativo caratteristico della penalità liberale novecentesca e l’affermarsi di una nuova ideologia penale antiugualitaria e tendenzialmente razzista. Wacquant scrive da sociologo, alternando il resoconto di indagini svolte sul campo all’analisi dei dati statistici, ma non trascura di considerare la storia della penalità liberale, sia in America, sia in Europa.
Nel Prologo etnografico l’autore rende conto di una sua visita nel penitenziario di Los Angeles (Men Central Jail), che egli definisce come “la prima colonia penale del mondo libero”. MCJ è la più grande prigione al mondo, capace di contenere 7000 detenuti. Niente a MCJ fa pensare a un carcere del ‘primo mondo’: il rumore è assordante, la sporcizia diffusa ovunque e manca del tutto la luce naturale. I detenuti, stipati in sei in celle di 12 metri quadri, sono divisi in base al colore della pelle perché l’unica legge che regna nel carcere è quella della razza. Il penitenziario è situato nel centro di Los Angeles, capitale di uno Stato, la California, che negli ultimi venti anni ha aumentato di 22 volte il budget destinato all’amministrazione penitenziaria (passando da 200 milioni di dollari nel 1975 a 4,3 miliardi nel 1998). La California destina così più soldi alle carceri che all’istruzione. Ogni detenuto costa allo Stato 21.470 dollari l’anno, contro i 7.229 che costerebbe mantenere una famiglia di quattro persone in base al programma più completo di assistenza sociale che esista negli Stati Uniti (l’Aid to Families with Dependant Children). Questi dati provano secondo Wacquant la scelta politica di trasformare il Welfare State americano in uno Stato penale fondato sulla detenzione neutralizzante delle classi popolari nere e latinos (tre quarti dei detenuti di MCJ sono afroamericani e latinoamericani, mentre l’altro quarto è formato in gran parte da asiatici; i banchi – maggioranza nel paese – sono un’assoluta minoranza).
Nel saggio Delitto e castigo da Nixon a Clinton Wacquant traccia la storia delle politiche penali negli USA dal 1967 agli anni Duemila. L’autore sceglie il 1967 come anno di inizio per una storia recente della penalità americana perché in quell’anno, per la prima volta, si constatò una riduzione della popolazione detenuta negli Stati Uniti. Le teorie criminologiche dell’inizio degli anni ’70 e le politiche dei governi federali si orientarono così verso una progressiva sostituzione della detenzione con misure alternative. Tale movimento era dovuto sia alla diminuzione della popolazione detenuta, sia alla convinzione diffusa che il carcere si fosse dimostrato uno strumento inadeguato alla repressione della criminalità. Blumstein e Cohen formularono proprio in quegli anni la loro “teoria omeostatica del livello di incarcerazione nelle società moderne”. Inoltre, gli storici revisionisti (Rothman, Ignatieff, Foucault) preconizzarono il declino del carcere a favore di un controllo sociale diffuso.
Invece, come sottolinea Wacquant, a partire dal 1973 la popolazione detenuta iniziò ad aumentare in modo esponenziale. Lo Stato prese a investire sempre più nella costruzione di nuovi penitenziari e la “lotta al crimine” divenne la priorità di ogni governo e il tema centrale di ogni campagna elettorale. Tutto questo nonostante che il tasso di criminalità decrescesse. Dagli anni ’80, i nuovi carcerati lo sono sempre più per reati non violenti, connessi alla detenzione e allo spaccio di stupefacenti. L’a. riporta dati statistici rigorosi e illuminanti in proposito.
Altro dato che Wacquant non manca di sottolineare è quello della creazione di una industria penitenziaria molto fiorente. Sempre più numerose sono infatti le società private cui lo Stato affida la gestione delle carceri. I loro profitti sono talmente certi che esse sono quotate in borsa e attirano i più importanti investitori degli Stati Uniti.
Due sono per Wacquant le cause principali di questo iperinvestimento nel penale: il declino dell’ideale della riabilitazione e il mutamento degli utilizzi politico-mediatici della criminalità. Qui l’analisi risente molto delle riflessioni di Bourdieu intorno alla “doxa”, al ruolo dei media e degli intellettuali. Wacquant attacca duramente la scuola revisionista che accusa di avere aperto la strada ai falchi della penalità neoliberale.
In Simbiosi mortale. Quando ghetto e prigione si incontrano e si intrecciano l’a. sostiene che il carcere negli Stati Uniti è ormai una istituzione prevalentemente orientata a realizzare la segregazione della popolazione nera e latinoamericana. Il penitenziario e il ghetto formerebbero un’unica gabbia dalla quale all’underclass nera non sarebbe possibile uscire.
Con il quarto saggio “Nemici convenienti”. Stranieri e migranti nelle prigioni d’Europa Wacquant sposta l’analisi dagli Stati Uniti all’Europa, costruendo un parallelo fra la condizione degli afroamericani e quella degli immigrati (in particolare dei cosiddetti “immigrati di seconda generazione”) in Europa. Comune ai due continenti è infatti un dato sconcertante: la maggioranza dei detenuti ha la pelle nera (o colored) a fronte di una maggioranza della popolazione che, negli Stati Uniti e ancor più in Europa, è bianca. Nel mondo occidentale, civile, democratico e liberale riemerge così la razza come criterio fondante della cittadinanza.
Infine, in Una dittatura sui poveri Wacquant analizza la situazione disastrosa delle carceri brasiliane, dove la nuova ideologia penale statunitense si è sovrapposta all’assetto economico e politico tipico di un paese del secondo mondo che solo di recente si è dato una costituzione democratica. Così, prima che si siano create le condizioni per il consolidamento di una cittadinanza democratica, le politiche neo-liberali diffondono la loro visione segregazionista della società, contribuendo a rafforzare la già fortissima tradizione autoritaria e razzista della società brasiliana.
Notevole è la quantità e la qualità dei dati contenuti nel volume circa la situazione delle carceri statunitensi, europee, brasiliane e lo sviluppo delle nuove politiche penali. Esso è inoltre uno strumento indispensabile per guardare al dibattito in corso sulla penalità liberale da un punto di vista non pregiudiziale e non ideologico. Le tesi di Wacquant, caratterizzate da un approccio sociologico, permettono di leggere un elemento delle attuali pratiche di controllo – l’importanza del fattore razziale – che è spesso trascurato da quanti incentrano la loro analisi solo sulle connessioni fra pena e struttura sociale. Wacquant sostiene l’importanza delle trasformazioni avvenute nella sfera della produzione economica, ma sottolinea al contempo la rilevanza di altri fattori: antropologici, culturali e politici. Inoltre, la sua interpretazione delle nuove politiche neoliberali come politiche liberamente scelte dai governi europei e statunitensi, sgombra il campo dal determinismo che sembra ispirare la maggior parte degli studi sulla globalizzazione e suggerisce una strada concreta per la elaborazione di un progetto politico alternativo a quello neoliberale.