In nome del decoro

 10.00

Carmen Pisanello

pp. 95
Anno 2017
ISBN 9788869480775

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Descrizione

Carmen Pisanello
In nome del decoro. Dispositivi estetici e politiche securitarie
Prefazione di Giuliano Santoro

L’insieme di pratiche, retoriche e discorsi che chiamiamo “decoro” hanno il fine ultimo di distruggere gli spazi pubblici in nome della (illusoria) difesa di quelli privati. I fautori della fantomatica “lotta al degrado” trasformano le nostre città nei condomini descritti da James G. Ballard e messi in scena da David Cronenberg. Oggi l’allarme securitario è un tutt’uno con lo spostare l’accento sul decoro, sul senso dello spazio pubblico e su chi ha il permesso di attraversarlo. Ormai anche in Europa lo spazio urbano viene sottoposto a rigidi controlli e a sorveglianza, diviso in zone più o meno accessibili, così come viene diviso in campi semantici opposti: da un lato l’ordine, la pulizia, l’uniforme, l’autorizzato, dall’altra il disordine, lo sporco, l’informe, l’abusivo.
Carmen Pisanello analizza l’“immaginario del decoro” muovendo dalla sua rappresentazione mediatica e dalla grande mutazione del dibattito pubblico operata dai media digitali. Parla di linguaggi, ma affronta questioni materialissime e molto concrete. Ponendosi all’intersezione tra differenti discipline, punti di vista e linguaggi, l’autrice opera una scelta di stile, prima che un’opzione metodologica: affronta in chiave analitica alcuni accadimenti recenti. La cronaca incalza l’indagine scientifica, che però non cade nella trappola della semplificazione o della generalizzazione, opponendovi lo sguardo lungo, ma ben piantato sul presente, del metodo genealogico.

Carmen Pisanello si è laureata in Scienze dell’informazione editoriale pubblica e sociale con una tesi sul concetto di decoro fra media e filosofia. Collabora con Osservatorio sulla Repressione e con il gruppo di ricerca S/Murare il Mediterraneo. Ha pubblicato un suo contributo sulla rivista internazionale di sociologia “Les cahiers européens de l’imaginaire”. Nel 2016 ha vinto il premio Building Apulia per Scrittori emergenti under 30.

RASSEGNA STAMPA

Studi sulla questione criminale – 29 marzo 2028

Il tema del rapporto tra sicurezza e decoro è uno dei ragionamenti più volte affrontati nel dibattito intorno alla “Questione criminale”. Nel 2013 usciva per Laterza “Contro il decoro: L’uso politico della pubblica decenza” di Tamar Pitch; questo libro ha avuto il merito di problematizzare un tema – quello del decoro – che da qualche anno aveva conquistato una notevole importanza politica e che finiva sempre più spesso per essere contenuto in ordinanze e leggi che, andando a colpire alcune precise categorie di persone, di fatto le criminalizzava. Ormai nel senso comune gli “indecorosi” sono i poveri, i tossicodipendenti, le prostitute, i migranti, i senza casa. In Contro il Decoro si sottolineava anche la doppia morale attorno a due temi in particolare: la droga e la prostituzione. Temi che riguardano due mondi agli antipodi e che vivono di due narrazioni anch’esse agli opposti: quella “perbene”, glamour dei festini dei potenti e quella “permale”, criminale e sporca, indecorosa appunto, della strada.

Oggi per la sezione Recensioni di Studi Sulla Questione Criminale on-line pubblichiamo la recensione di Pasquale Schiano (Dottorando presso l’Università degli Studi di Bologna) al libro In nome del decoro. Dispositivi estetici e politiche securitarie di Carmen Pisanello (0mbre corte, 2017) che si muove dentro questo solco.

Ringraziamo Pasquale Schiano per questo contributo. Buona lettura!
Carmen Pisanello, In nome del decoro. Dispositivi estetici e politiche securitarie, Verona, Ombre Corte, 2017, pp. 96
di Paquale Schiano

La sterminata varietà di categorie e concetti elaborati con l’intento di descrivere le peculiari forme assunte dal modo di produzione capitalistico nella sua fase attuale, pur prodottasi entro cornici teoriche variegate e spesse volte in conflitto tra loro, sembra presentare alcune tendenze comuni a tutte le sue differenti variegature. Tra queste si può senz’altro notare una particolare insistenza sulle profonde asimmetrie di potere che – dopo un secolo attraversato da conflitti tragici e cruenti, ma anche da profonde speranze di emancipazione – sembrano tornate ad imporsi all’interno di un sociale sempre più polarizzato, su scala tanto locale quanto globale, tra il capitale e la massa proletarizzata dell’umanità, secondo la nota intuizione marxiana contenuta all’interno del primo libro del Capitale. Lungo questa traiettoria, la riflessione criminologica si è incaricata di comprendere quali effetti tali complesse modificazioni degli assetti di potere all’interno del corpo sociale sono andate producendo sulle strutture del sentire collettivo in relazione a questioni tradizionalmente afferenti il suo campo disciplinare, come paura, crimine, penalità e sicurezza. Si tratta, com’è noto, di interrogativi maturati per motivi di ordine teorico, ma anche, e soprattutto, in ragione di esigenze pratiche. Il XXI secolo si apre all’insegna di una recrudescenza del conflitto sociale dal sud al nord del globo, ma anche di inedite forme di conflitto agite da attori non più meramente statuali ed in contesti non più meramente bellici. A partire da questo momento, la mobilitazione sicuritaria lanciata dall’occidente liberal-democratico non si è limitata a moltiplicare il numero delle guerre “umanitarie” in Africa ed in medio-oriente, ma ha imposto un progressivo restringimento dei margini di agibilità democratica di quelle stesse società sul cui ambiguo mandato di protezione fonda la sua dubbia legittimità. L’urgenza della sicurezza si è tradotta in una rapida assimilazione, all’interno del vocabolario della nostra quotidianità di un lessico militaresco che testimonia la definitiva naturalizzazione di un ordine simbolico e discorsivo che ha fatto della paura, del controllo e dell’esclusione, i suoi principali criteri di funzionamento. Un ordine simbolico e discorsivo, appunto, i cui effetti di realtà sono ciò nondimeno assolutamente concreti, materializzandosi tutti i giorni nella la vita di milioni di uomini e donne sotto forma di confini, barriere, respingimenti, daspo e fogli di via. > continua a leggere >


 

GLOBALPROJEGT – 25 marzo 2018

Decoro, biopotere e nuove forme di governamentalità
Ettore Casellato intervista Carmen Pisanello

Nel primo capitolo del tuo libro individui nella retorica della difesa e della sicurezza la soluzione che la classe politica fornisce alla complessità della contemporaneità. Ci puoi spiegare come nasce questa retorica e quale ruolo hanno avuto i social media nella sua costruzione?

Senza dubbio oggi viviamo in un’epoca in cui la politica della rappresentanza vive una crisi ormai permanente, con l’incrinarsi di tutti quei paradigmi che la fondavano: la sovranità dello stato che crolla sotto il peso delle multinazionali, la crisi dei partiti politici e il dissolversi della divisione classica tra conservatori e progressisti. I vecchi paradigmi della governamentalità sono stati divorati dalla finanza globale, mentre gli Stati hanno visto aumentare vertiginosamente il proprio debito sovrano e limitare la propria agibilità di manovra alle richieste delle banche e dei fondi monetari internazionali. Questo ha fatto sì che la ricerca di consenso elettorale si giochi oggi su argomenti che incidono marginalmente sulle condizioni di vita dei cittadini, ma che sono capaci di attirare paura, clamore e consenso, come quello dell’ordine pubblico. È chiaro però che, se il consenso si ottiene sul piano dell’ordine pubblico, la partita diventa una gara su chi va più a destra, su chi propone la città più sicura. Non è un caso, dunque, che oggi il consenso politico si ottenga through crime, ovvero attraverso il crimine o, meglio ancora, attraverso la paura della criminalità di strada. Attorno a questa paura si costruisce un clima di insicurezza, che ha molta presa nel dibattito e nell’opinione pubblica, perché cavalca e si sostituisce a un’insicurezza reale, esistenziale, a quello stato generale di ansia legato alla precarizzazione del lavoro e alla crisi economica. L’operazione è quindi quella di incanalare il disagio diffuso verso un nemico di turno, un folk devil attraverso il quale è possibile giustificare la sospensione dei diritti. Questo stato di emergenza permanente, per il quale c’è sempre un untore di turno da temere, ha appunto come unica costante il sentimento della paura, che attecchisce nel vuoto comunitario e rimbalza nell’etere. > continua a leggere >


 

RADIOCITTA’ FUJIKO

Intervista radiofonica >ascolta >

 


il manifesto – 2 gennaio 2018

Il regime spettacolare e la retorica della partecipazione
di Gennari Avallone

SCAFFALE. Il regime spettacolare e la retorica della partecipazione «In nome del decoro. Dispositivi estetici e politiche securitarie», di Carmen Pisanello per ombre corte

Ciò che accade nello spazio virtuale interessa lo spazio pubblico. Le rappresentazioni e i discorsi che si alimentano attraverso la rete investono il modo di vivere nelle città. E quando questi discorsi sono fatti di parole e immagini che assolutizzano temi come la sicurezza, il decoro, il privato, allora la spettacolarizzazione e l’estetizzazione della povertà, dei micro conflitti, delle zone di spaccio e marginali, del consumo di alcol e droghe, si esaltano, producendo a oltranza un’ansia di partecipazione denigratoria e delatoria contro l’informe e il mostruoso.

SU QUESTA DERIVA si concentra il libro di Carmen Pisanello, In nome del decoro. Dispositivi estetici e politiche securitarie, pubblicato da ombre corte (pp. 90, euro 10), con prefazione di Giuliano Santoro. Ed è proprio nella prefazione che si sottolinea come questo volume guardi al modo in cui l’ideologia del decoro viene alimentata, attraverso pratiche e discorsi che incrementano il potenziale di violenza, rancore, rabbia privata, che, prima o poi, in qualche maniera, troverà espressione.
In questo momento storico, tale potenziale si manifesta in rete, attraverso i media digitali e la forma peculiare di partecipazione che mediante essi si attiva. È la specifica forma della partecipazione pubblica dei giorni nostri, che riproduce sentimenti negativi nei riguardi degli altri in generale ed ostilità verso chi vive gli spazi pubblici e non rientra nelle categorie di comportamenti e status sociali approvati. Questi sentimenti hanno l’effetto di far chiudere le persone nel privato, isolarle, farle barricare, se è possibile dietro cancelli, mura, dispositivi di allarme, villette a schiera o case fortificate e lontane dai centri abitati. Persone sole ed impaurite e, quanto più impaurite, tanto più sole. Per le quali la partecipazione si riduce all’invettiva.
È di tutto questo che si alimenta l’ideologia del decoro. È tutto questo dispositivo comunicativo e simbolico che Carmen Pisanello sottopone a un esame approfondito, in cui si propone un’altalena costante tra fatti di cronaca, movimenti sociali critici, blog, personaggi pubblici e politici che vivono tra web e tv e analisi sociale sviluppata prevalentemente con le categorie degli studi mediologici. > continua a leggere >


 

Per un’altra città – 9 gennaio 2018

In nome del decoro – Più che unarecensione, una glossa
di Gilberto Pierazzuoli

L’articolo 4 del decreto Minniti sulla “sicurezza urbana” n.14/2017 definisce «sicurezza urbana il bene pubblico che afferiscealla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire ancheattraverso interventi di riqualificazione e recupero delle aree odei siti più degradati», «la sicurezza urbana va intesa come ungrande bene pubblico. La vivibilità, il decoro urbano e ilcontrasto alle illegalità sono elementi che riguardano il benepubblico». E, con il DASPO urbano, arriva anche la possibilità diimporre il divieto di frequentazione di determinati pubbliciesercizi e aree urbane ad alcuni soggetti, che si vedono quindiapplicare una misura di restrizione della libertà non a partiredalla costatazione di un reato commesso, ma dalla semplicepotenzialità a commetterlo.In nome della sicurezza, questo e altro. Proprio nella fase nellaquale i reati sono in diminuzione, la percezione di una mancanzadi sicurezza è al proprio auge, pompata da pressoché la totalitàdelle forze politiche dell’arco parlamentare. Decoro e degradosono dunque al centro di questa operazione, di questo dispositivodi controllo e repressione che agisce anche al di là dello spazioche il decreto copre. >continua a leggere >

UN ASSAGGIO

Indice

7 Prefazione
di Giuliano Santoro

11 Capitolo primo: Dialogica transpolitica

1. La rivoluzione mediologica; 2. La politicizzazione del corpo sociale; 3. Il corpo spettacolare del politico

37 Capitolo secondo: Fenomeni anomici

1. (Re)take it easy: uso politico della pubblica decenza; 2. L’uniforme e l’informe; 3. Mis-shapes & Misfits; 4. Sicurezza, ordine, pulizia: trilogia del condominio

73 Capitolo terzo: Analisi mediologica del perbenismo in rete

1. Le immagini riflesse: l’esibizionismo morale nell’era tecnologica; 2. Case study: il blog Romafaschifo; 3. Conclusioni: Cancellare l’imperfezione del mondo?

91 Bibliografia e filmografia


 

Prefazione
di Giuliano Santoro

Le città in cui viviamo fanno schifo? Viene in mente la scena finale di L’uomo invisibile. Al culmine del romanzo capolavoro di Ralph Ellison la rivolta divampa nel quartiere di Harlem, innescata da un abuso di polizia. Durante quel riot che infiamma la metropoli, punto d’arrivo di un negro della provincia degli Stati Uniti del sud, la folla spontaneamente invece di puntare verso le zone borghesi presidiate da portieri in livrea o magari attaccare la cittadella degli affari downtown, mira dritto alle proprie case popolari. Sono abitazioni fatiscenti, infestate da blatte e corrose dal degrado. Il movimento inverso è dalla piazza allo spazio privato, le fiamme divampano nei tuguri eletti a domicilio. Bisogna cominciare da lì: fare tabula rasa delle proprie case per avere la speranza di emanciparsi, avere il coraggio di distruggere il luogo dentro al quale si è costretti, seppure questo rappresenti una piccola certezza dentro a una vita di sfruttamento. È una scena, quella descritta da Ellison, che ci ricorda con solenne e studiata semplicità che ogni rivolta muove anche dal disprezzo di un pezzo delle nostre vite, non dalla loro santificazione.
Il tratto distintivo dell’ideologia del decoro, oggetto di questo libro, percorre esattamente il percorso inverso. Invece di puntare verso i tuguri privati, si vorrebbero distruggere gli spazi comuni. Non sono le nostre vite alienate a farci (almeno un poco) schifo, è la città intesa come luogo della cooperazione sociale a fare schifo. L’insieme di pratiche, retoriche e discorsi che chiamiamo “decoro” hanno il fine ultimo di distruggere gli spazi pubblici in nome della (illusoria) difesa di quelli privati. I fautori della fantomatica «lotta al degrado» trasformano le nostre città nei condomini descritti da James G. Ballard e messi in scena da David Cronenberg, fortini asettici dai quali occorre osservare in cagnesco dallo spioncino, far valere millesimi, proteggere il proprio balconcino dall’acqua che gocciola dai vasi del piano di sopra, tutelarsi dai rumori degli inquilini della porta accanto, garantirsi un posto auto non venga minacciato da pallonate o pericolosi bevitori da marciapiede. In questi residence distopici “tutto è pensato per prevenire e curare qualsiasi difetto della macchina biopolitica”, ma la violenza cova sempre sotto traccia, in attesa che un blackout o un evento imprevisto ne favoriscano l’esplosione incontrollata.
Carmen Pisanello analizza l’immaginario del decoro muovendo dalla sua rappresentazione mediatica e dalla grande mutazione del dibattito pubblico operata dai media digitali. Parla di linguaggi, ma affonda la sua analisi in questioni materialissime e molto concrete. Il suo studio ha il merito di porsi all’intersezione tra differenti discipline, punti di vista e linguaggi. L’autrice opera una scelta di stile, prima che un’opzione metodologica: affronta in chiave analitica alcuni accadimenti recenti. La cronaca incalza l’indagine scientifica. Mentre queste pagine venivano scritte, solo per fare l’esempio più clamoroso, il ministro degli interni Marco Minniti varava un decreto grazie al quale proprio in nome della tutela del decoro si giustificava, per l’ennesima volta in pochi anni, un giro di vite sulle libertà pubbliche e i diritti civili. La commistione tra attualità e ricerca non è semplice da maneggiare, si rischia di cadere nella logica instant oppure all’estremo opposto di ricorrere all’eccessiva concettualizzazione. Queste pagine evitano le due trappole speculari, opponendo alle semplificazioni e alle generalizzazioni lo sguardo lungo ma ben piantato sul presente del metodo genealogico. Grazie al quale scopriamo, ad esempio, che già negli anni Novanta del secolo scorso Mike Davis aveva raccontato praticamente in diretta il modo in cui il governo di Los Angeles avesse, a colpi di politiche securitarie, campagne stampa e precise scelte urbanistiche, favorito la privatizzazione dello spazio pubblico e la creazione di distopiche “enclave razziste”.
Gli scritti di Davis venivano letti nel nostro paese accanto ai romanzi cyberpunk, parevano narrazioni apocalittiche di un pianeta lontano o di una dimensione parallela, rappresentazioni allegoriche e iperboliche. Fino a quando nelle nostre città è arrivata l’emergenza sicurezza, innescata negli stessi anni da alcuni sindaci di centro sinistra. Poco dopo, comparve in prima pagina su Repubblica una lettera di un sedicente “cittadino di sinistra” che si diceva allarmato per le condizioni in cui versavano le nostre città, minacciate da migranti e piccoli criminali. Walter Veltroni era sindaco di Roma, colse la palla al balzo e inaugurò la stagione del Partito democratico imponendo ad un traballante governo Prodi l’ennesimo “decreto sicurezza”. Sergio Cofferati a Bologna e Leonardo Dominici a Firenze dichiararono guerra ai lavavetri e alle piccole forme di accattonaggio. Arrivarono poi le ordinanze contro i “bivacchi”, la guerra all’alcol in piazza, la demonizzazione delle birre bevute per strada da persone che probabilmente non hanno altro posto dove socializzare (si pensi agli studenti universitari). Succedeva scientificamente che ogni volta che il leader della destra Silvio Berlusconi perdesse le elezioni, le sue televisioni mettevano in scena orribili crimini, preferibilmente commessi da migranti. Ciò innalzava la paranoia securitaria, anche se i dati dicevano il contrario: i numeri dei reati erano sensibilmente in discesa. Il passaggio al decoro deriva da quella stagione, ne era la premessa (fu il grimaldello che consentì ad esempio alla Lega di sbarcare in città, dalla pedemontana) e al tempo stesso ne è lo sviluppo. Oggi mantenere l’allarme securitario è un tutt’uno con lo spostare l’accento sul decoro, sul senso dello spazio pubblico e su chi ha il permesso di attraversarlo. Così, da qualche tempo possiamo capire davvero l’urgenza delle analisi di Mike Davis: ormai anche in Europa, come leggerete in queste pagine, “lo spazio urbano viene sottoposto a rigidi controlli e a sorveglianza, diviso in zone più o meno accessibili, così come viene diviso in campi semantici opposti: da una parte l’ordine, la pulizia, l’uniforme, l’autorizzato, dall’altra il disordine, lo sporco, l’informe, l’abusivo”.
Ciò ci consente di raggiungere l’altro incrocio, il secondo punto di vista privilegiato dal quale Carmen Pisanello osserva l’ideologia del decoro: quello che si pone tra rappresentazioni mediatiche e costruzioni sociali. Questo rimanda, a sua volta, ad un altro territorio ibrido ancora più cogente: quello tra spazi digitali e luoghi urbani, tra corpi e macchine, tra virtuale e reale. A proposito di nuovi media: non esiste discorso sul decoro che non evochi e sussuma, in maniera strumentale, la retorica della partecipazione. Spesso e volentieri, la forma paradossale e perversa di “partecipazione” avviene attraverso la rete, è il lato oscuro della cultura convergente di cui essa è portatrice. La spettacolarizzazione e la personalizzazione della politica si dipanano all’ennesima potenza. E il gioco di sponda tra le campagne xenofobe della tv del pomeriggio e l’uso disinvolto del Web 2.0 consente di portare l’attacco agli spazi pubblici, e a chi questi spazi cerca di viverli, non senza conflitti e contraddizioni. Tanto che anomali gruppi di volontari, sorta di minutemen del decoro, si affiancano alle tradizionali istituzioni di tipo disciplinare. Per capire come tutto ciò accada, questo libro si chiude con un case study davvero illuminante: il blog RomaFaSchifo, che da anni indirizza campagne e detta l’agenda alle cronache capitoline, spesso contribuendo con drammatica efficacia a spostare l’allarme pubblica verso poveri, deboli e abitanti dei margini. Se le nostre città fanno schifo, sembrano dirci i solerti tutori del decoro, la colpa è di quelli che stanno peggio di noi, e che minacciano le nostre sicure case europee. È dagli angusti tinelli delle nostre illusioni borghesi, dunque, che attacchiamo le strade e le piazze delle città, nell’illusione di depurarle dai conflitti che da sempre le animano e le fanno crescere.

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