Descrizione
Nancy Fraser
Il vecchio muore e il nuovo non può nascere.
Dal neoliberismo progressista a Trump e oltre
Ovunque nel mondo si assiste a un diffuso rifiuto della politica tradizionale, mentre la fede nel neoliberismo si sta irreparabilmente incrinando. La crisi globale – politica, ecologica, economica e sociale –, di cui l’elezione di Trump è l’espressione più spettacolare ma non la causa, ha sgretolato la convinzione secondo cui il capitalismo neoliberista produce vantaggi per la maggioranza degli individui. Fraser indaga come questa convinzione si sia formata nel corso degli ultimi decenni del xx secolo bilanciando due principi fondamentali: il riconoscimento (i diritti) e la distribuzione (i redditi). Quando questi hanno cominciato a logorarsi sono emerse nuove politiche populiste, a sinistra e a destra. Ciò, sostiene Fraser, è sintomo della più ampia crisi dell’egemonia neoliberista, in un momento in cui, come diceva Gramsci, “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”.
Nelle due interviste con Bhaskar Sunkara e Tatiana Llaguno, Fraser sostiene che esiste la possibilità di includere un populismo progressista in una forza sociale emancipatrice, che sia tale da rivendicare una nuova egemonia di fronte alla catastrofe prodotta delle diverse varianti del neoliberismo.
Nancy Fraser, filosofa e teorica femminista statunitense, insegna alla New School for Social Research di New York. Tra i suoi numerosi lavori sono stati tradotti in italiano La giustizia incompiuta (2011), Il danno e la beffa (2012), La bilancia della giustizia (2012), Femminismo per il 99% (con Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya, 2019) e, per i nostri tipi, Fortune del femminismo. Dal capitalismo regolato dallo stato alla crisi neoliberista (2014).
UN ASSAGGIO
Il vecchio muore e il nuovo non può nascere
Chiunque parli di “crisi”, oggi, rischia di essere liquidato come un parolaio, data la banalizzazione che il termine ha subito attraverso il suo uso continuo e superficiale. Ma c’è un senso preciso in cui noi oggi stiamo effettivamente affrontando una crisi. Se la caratterizziamo con precisione e identifichiamo le sue dinamiche distintive, possiamo determinare meglio cos’è necessario per risolverla. Su queste basi, inoltre, potremmo intravedere un sentiero che ci guidi oltre l’attuale impasse, attraverso il riallineamento politico e verso la trasformazione della società.
A prima vista, la crisi attuale sembra essere politica. La sua espressione più spettacolare è proprio qui, negli Stati Uniti: Donald Trump – la sua elezione, la sua presidenza e i conflitti che la circondano. Ma non mancano casi analoghi altrove: il disastro della Brexit nel Regno Unito; la crisi di legittimità dell’Unione Europea e la disintegrazione dei partiti socialdemocratici e di centro-destra che l’hanno sostenuta; le crescenti fortune dei partiti razzisti e anti-immigrati in tutta l’Europa settentrionale e centro-orientale; e l’esplosione di forze autoritarie, alcune qualificabili come proto-fasciste, in America Latina, in Asia e nel Pacifico. La nostra crisi politica, se è questo che è, non è solo americana, ma globale.
A rendere plausibile questa affermazione è il fatto che, nonostante le loro differenze, tutti questi fenomeni condividono un tratto comune. Tutti implicano un drammatico indebolimento, se non un vero e proprio crollo, dell’autorità delle classi politiche costituite e dei partiti. È come se masse di persone in tutto il mondo avessero smesso di credere nel senso comune dominante che ha sostenuto l’autorità politica negli ultimi decenni. È come se avessero perso la fiducia nella buona fede delle élite e fossero alla ricerca di nuove ideologie, nuove organizzazioni, nuove leadership. Date le dimensioni del crollo, è improbabile che si tratti di una coincidenza. Assumiamo, quindi, che siamo di fronte a una crisi politica globale.
Per quanto grande possa sembrare, essa è solo una parte della storia. I fenomeni appena evocati costituiscono la componente specificamente politica di una crisi più ampia e sfaccettata, che ha anche altri aspetti – economici, ecologici e sociali – che, considerati insieme, formano una crisi generale. Lungi dall’essere meramente settoriale, la crisi politica non può essere compresa in maniera isolata rispetto alle situazioni di blocco a cui risponde in altre istituzioni, apparentemente non politiche. Negli Stati Uniti, queste situazioni di blocco includono la metastasi della finanza, la proliferazione dei lavori precari sottopagati nel settore dei servizi, l’esplosione del debito dei consumatori per l’acquisto di merci a basso costo prodotte altrove, l’aumento congiunto delle emissioni di anidride carbonica, delle condizioni meteorologiche estreme e del negazionismo climatico; l’incarcerazione di massa su basi razziali e la violenza sistemica della polizia e lo stress crescente nella vita familiare e di comunità dovuto all’aumento dell’orario di lavoro e alla diminuzione del sostegno sociale. Insieme, queste forze hanno continuato a disintegrare il nostro ordine sociale per un bel po’ di tempo senza produrre un terremoto politico. Ora, comunque, le condizioni sono cambiate. Nell’attuale diffuso rifiuto della solita politica, una crisi di sistema oggettiva ha trovato la sua voce politica soggettiva. La componente politica della nostra crisi generale è una crisi di egemonia.
Donald Trump è il simbolo di questa crisi egemonica. Ma non possiamo capire la sua ascesa se non chiariamo le condizioni che l’hanno resa possibile. Ciò significa identificare la visione del mondo che il trumpismo ha spodestato e mappare il processo attraverso cui si è sfaldata. Le idee indispensabili a questo scopo vengono da Antonio Gramsci. “Egemonia” è il suo termine per identificare il processo mediante il quale una classe dominante rende naturale il suo dominio installando i presupposti della propria visione del mondo come senso comune della società nel suo complesso. Il suo corrispondente organizzativo è il “blocco egemonico”: una coalizione di diverse forze sociali che la classe dominante assembla e attraverso cui afferma la propria leadership. Se sperano di mettere in discussione questi assetti, le classi dominate devono costruire un nuovo senso comune più persuasivo, o “controegemonia”, e una nuova alleanza politica più potente, o “blocco controegemonico”.