Descrizione
Gilberto Pierazzuoli
Il soggetto collaborativo
Per una critica del capitalismo digitale
Prefazione di Claudio Kulesko
Come scrive Cladio Kulesko nella sua prefazione, il lavoro di Pierazzuoli ripercorre le tracce delle nuove metafisiche digitali, individuandone costanti, nodi e articolazioni, definendo e descrivendo i riti e le liturgie della neoteologia tecnoscientifica. Attraverso un confronto serrato e costante tra le pratiche concrete del capitalismo digitale e alcune delle più recenti filosofie (quali il realismo speculativo, la teoria cyborg, le nuove ontologie, le metafisiche cannibali, l’accelerazionismo e la teoria queer), assistiamo a una vera e propria “messa sotto stress” della teoria, capace di rilevare limiti, vincoli e punti di forza. Quel che più conta, tuttavia, è che al centro di questo vortice vi siano le vicissitudini della materia, gli eventi e i processi generati dalle loro concatenazioni: la storia e le storie – piccole o grandi che siano, storie vere e storie inventate. All’interno della matassa elaborata dall’autore, il lettore non mancherà certo di scoprire trame, dettagli, sincronie e ricorrenze – come in una sorta di piccola simulazione, per uno o più giocatori.
Dipanandosi lungo l’asse che collega il modo di produzione capitalista all’universo digitale, il lavoro restituisce una mappa interpretativa generata dall’intersezione di questi due dispositivi che esprimono tutta la potenza prometeica di condizionare le azioni di un soggetto atomizzato lasciando intravedere però una via di fuga verso quel soggetto collaborativo che la tecnologia digitale sembra permettere.
Gilberto Pierazzuoli si è laureato in Lettere presso il Dipartimento di storia dell’arte dell’Università di Firenze e ha insegnato Italiano e Storia in un Liceo artistico. Tra le sue pubblicazioni: Mangiare donna. Il cibo e la subordinazione femminile nella storia (Jouvence, 2016), Gioco, giocattoli, robot e macchine umane (Robin Edizioni, 2016) e, per i nostri tipi, Il lavoro è una cosa “seria”. Apologia della festa (2020). Fa parte della redazione di “La Città Invisibile”, magazine del laboratorio politico «perUnaltracittà».
RASSEGNA STAMPA
Per un’altra città – 5 maggio 2022
Recensione di Cristina Cavicchini e Matilde Rafanelli
Non possiamo più considerare l’algoritmo come qualcosa di “altro da noi”; se finora siamo riusciti a definirlo vagamente come tecnica computazionale alla base dell’IA, mirata alla riproduzione dei comportamenti umani, oggi dobbiamo fare i conti con un altro tipo di realtà. L’algoritmo è diventato tangibile, invadente. Ce ne siamo resi conto da quando espressioni come data mining, machine learning, lavoro digitale, data privacy sono entrati a far parte del nostro linguaggio quotidiano. Già nel 2017 Nick Srnicek si chiedeva dove ci avrebbe portati la nuova tecnologia, e a quali conseguenze sarebbe andata in contro la società del capitalismo digitale. L’era di trasformazione era vista come qualcosa di potenzialmente positivo, ma viziata dal capitalismo. Si parlava di condivisione, flessibilità, imprenditorialità, liberazione dei lavoratori dalle costrizioni e dalle gerarchie, interconnessione e on-demand per i consumatori. O, almeno, questo era quello che ci si aspettava in una visione ottimistica, perché tutto ciò nasceva dentro una logica di generazione di profitti ed ampliamento della concorrenza tipica del capitalismo.
A causa di un lungo declino della redditività del settore manifatturiero, il capitalismo ha iniziato a occuparsi dei dati come un mezzo per mantenere crescita economica e vitalità in presenza di un settore produttivo altrimenti pigro. I dati, cioè, hanno assunto un ruolo sempre più centrale per le aziende.
Nel libro Il soggetto collaborativo – Per una critica del capitalismo digitale, Gilberto Pierazzuoli sottolinea proprio questo potere estrattivo delle piattaforme, ponendo l’accento sul disagio a cui sono poi costretti gli utenti, secondo il principio per cui niente è e sarà mai gratuito in una società orientata al profitto. In preda o all’entusiasmo da “infatuazione digitale” o all’indifferenza, siamo rimasti distratti mentre Google e Facebook si appropriavano di enormi quantità di informazioni tramite la personalizzazione delle ricerche, captcha, cookie, news feed. >>> continua a leggere >>>
UN ASSAGGIO
Indice
7 Prefazione
di Claudio Kulesko
13 Introduzione
17 Capitolo primo. La società di controllo
Dieci; Il capitalismo della sorveglianza; Il potere delle grandi piattaforme; E se l’Intelligenza Artificiale non fosse intelligente ma semplicemente stronza?; Quando la matematica è un’opinione e per di più sbagliata; Un oscuro operare: cosa sognano le macchine capitaliste; I limiti dell’obbedienza; L’amore ai tempi del Coronavirus; Prendersi cura; Al tempo della pandemia; La smart city è una città ostile
62 Capitolo secondo. Modi di produzione digitale
La guerra dei mondi è lotta di classe; Da sorvegliare e punire a sorvegliare, profilare e valutare; Infatuazioni digitali; La rabbia digitale; Individui e soggetti collettivi, folle scatenate e privacy; La rete e il Realismo Capitalista; Modi di produzione e soggetti postumani; Come la rete fomenta il complottismo; Capro espiatorio senza capro né coda; Modi di produzione, lavoro e politiche populiste;
112 Capitolo terzo. Dispositivi digitali
La macchina patriarcale; La post-verità e la fine del logos; Modelli di sviluppo. La macchina del capitale, oggi; Robotica emozionale; La Biblioteca di Babele e l’orgasmo femminile; Delirio computazionale e normalizzazione digitale; Spaesamento, economia circolare e innovazione; I sogni elettrici del Capitalismo Digitale; La vita in diretta
156 Capitolo quarto. Il Pharmakon digitale
Ode alla macchina; L’attualità di Erewhon, luogo distopico dove le macchine sono proibite; Giochi di prestigio: il lavoro che scompare alla vista; Il lavoro che scompare, i trucchi semantici; Kafka, un romanzo dei Wu Ming, la disputa tra Bogdanov e Lenin, gli entanglement quantistici e i dati, tanti dati; Organizzazione e altri formalismi; Intelligenze collaborative
198 Capitolo Quinto. Accelerazioni digitali
Il Capitalismo Digitale ha bisogno di accelerazioni, frenate o di un cambio di direzione?; Smorzare le accelerazioni, abolire le differenze; Denaro e fede; Pianificazione cyborg; Il capitalismo è un algoritmo; La religione capitalista; Socialismo digitale; Il capitalismo di Marx è morto?
247 Bibliografia
Prefazione
di Claudio Kulesko
Biology is superficial
Intelligence is artificial
Grimes, We appreciate power (2020)
Così proclama uno dei più recenti brani di Claire Elise Boucher, in arte Grimes, performer, produttrice e cantante canadese, nonché compagna del noto imprenditore sud africano Elon Musk – cofondatore di Paypal, cto di SpaceX, fondatore e ceo di Tesla e Neuralink, utente Twitter e molto altro ancora. Inaspettatamente, il brano in questione – poco più, dal punto di vista musicale, che una semplice cavalcata elettro-pop – è incentrato, sul versante estetico, poetico e narratologico, su un recupero forte della nozione di tempo lineare. Un’operazione che Grimes svolge a partire da alcuni tipici topoi scifi, quelli dell’intelligenza artificiale e della “teoria della simulazione”. In questo micro-essai sonico, dai toni decisamente minacciosi, Grimes espone la sua personale teoria storico-naturale, imperniata sul passaggio “destinale” dall’intelligenza (o, meglio, dalla stupidità) a base carbonio, all’intelligenza (o, meglio, alla super-intelligenza) a base silicio, lungo una parabola teleologico-deterministica che va dai primi ominidi ai supercomputer autocoscienti del futuro.
Per comprendere meglio il punto in questione, proviamo a prendere in esame un esempio particolare. Nel video della canzone (una sorta di frammento di space opera, ricco di citazioni tratte da classici anime/manga cyberpunk quali Ghost in the shell e Akira), per la precisione al minuto 03:15, Grimes spara in testa ad Hana – una delle ballerine e performer del suo corpo di ballo – dando inizio a un breakdown strumentale. Una manciata di secondi prima, il testo aveva proclamato: “Baby, plug in, upload your mind/ Come on, you’re not even alive/ If you’re not backed up on a drive”. Subito dopo l’intermezzo, Hana, la ballerina appena uccisa, subisce un rewind, tornando alla posizione di partenza, del tutto illesa. È a questo punto che il ritornello può tornare a invocare la capitolazione umana dinanzi al potere della macchina, condensata in un interrogativo ossessivamente ripetuto: “What will it take to make you capitulate?”.
A questo punto, è bene tenere a mente che solo quel che è già stato deciso, ossia solo il “già-fatto”, può essere riavvolto – o, per dirla con Dick e Burroughs, solo ciò che è stato “preregistrato”. Solo a partire da tale presupposto onto-metafisico si può comprendere come We appreciate power sia, a tutti gli effetti, una delle opere d’arte più importanti e rappresentative dei primi decenni del xxi secolo, capace di sintetizzare – all’interno di un contenitore esteticamente fruibile e persino molto gradevole – l’ideologia dominante, i tentativi di egemonia culturale da parte degli imprenditori della Silicon Valley, i più ardenti desideri degli abitanti delle tecnocrazie globali e persino le idee fondamentali di una manciata di recenti scuole filosofiche e neuroscientifiche.
Ci troviamo al cospetto di una nuova forma di teleologismo ma, anche, di una neo-teologia tecnoscientista, nella quale la macchina “registratrice” va a sostituirsi all’Uomo sul trono del dominio cosmico – trono a sua volta usurpato dall’umanità a un Dio defunto tra i bombardamenti a tappeto, le camere a gas e le esplosioni atomiche del cosiddetto “secolo breve”.
Tale credo, sinceramente e appassionatamente religioso, può essere grosso modo scomposto in due principi basilari, che andremo a denominare “teoria forte della simulazione” e “Basilisco di Roko”, entrambi ben rappresentati nel video e nelle lyric di Grimes. Si tratta, a tutti gli effetti, di due ipotesi “ai confini della realtà”, poco più che scherzi teoretici, nella migliore tradizione del paradosso filosofico. Tali scherzi, tuttavia, hanno acquisito, negli ultimi anni, un notevole e durevole portato teorico, influenzando un gran numero di opere pop e formulazioni filosofiche.
La prima delle nostre istanze, la “teoria forte della simulazione” – elaborata da un influente ingegnere robotico americano, Hans Moravec – stabilisce un principio cosmologico ricavato ad absurdum, esemplificabile nel modo seguente:
1) La tendenza al miglioramento e all’economicizzazione di processori e circuiti appare crescente, costante e ben calcolabile (fu lo stesso Moravec a calcolare tale andamento tendenziale, negli anni Novanta). Dagli anni Cinquanta in poi, inoltre, l’avanzamento tecnologico ci ha consentito di espandere la nostra capacità simulativa al di là di ogni limite immaginato prima d’ora.
2) Se tale tendenza dovesse effettivamente restare costante, l’apparizione di una o più intelligenze artificiali forti (ossia autocoscienti) non dovrebbe essere che una questione di tempo. Al contempo, si renderebbe accessibile la possibilità di costruire un’avanzata simulazione del nostro pianeta o, persino, dell’intero universo.
3) L’intelligenza artificiale e la singolarità tecnologica, a questo punto, si presenterebbero come eventi deterministici, già presenti (o virtualmente attivi, in qualità di attrattori), sulla linea temporale. Lo stesso si potrebbe dire della suddetta “simulazione cosmologica”.
4) Pertanto, data la giusta potenza di calcolo, la singolarità tecnologica comporterebbe la possibilità di ricreare l’universo da zero, riproducendo ogni singolo ente ed evento all’interno di una simulazione digitale.
Corollario-4b) Il nostro universo attuale sembrerebbe obbedire al cosiddetto “principio antropico”, secondo il quale l’universo sarebbe costruito a misura della vita e, in particolare, dell’essere umano. L’improbabilità statistica della comparsa della vita e dell’autocoscienza costituirebbe una dimostrazione lampante di tale corollario.
5) Se la singolarità è inevitabile e l’universo è effettivamente costruito a “misura umana”, allora vi è un range di probabilità, che va da un’elevata probabilità all’assoluta certezza, che questo stesso universo che abitiamo sia già una simulazione, prodotta da una o più intelligenze artificiali forti. Una sorta di “zoo umano”, detto in parole semplici, all’interno del quale l’umanità non fa che vivere e rivivere la propria storia in versione autoriferita.