Descrizione
Bruno Maida
Il mestiere della memoria
Storia dell’Associazione nazionale ex deportati politici, 1945-2010
Sorta pochi mesi dopo il rimpatrio dai Lager nazisti, l’Associazione nazionale ex deportati politici (Aned) diede la possibilità a tanti di loro di tornare alla vita, anche attraverso la condivisione fisica di quell’esperienza. Furono, infatti, le sezioni dell’Associazione a offrire gli spazi entro i quali la loro memoria si sarebbe definita, tra il dolore della parola e il dovere della testimonianza. Lottando tenacemente contro la diffusa tentazione a rimuovere il passato recente, nell’Italia della ricostruzione essi dovettero porsi alcuni interrogativi sui meccanismi e sulle gerarchie della trasmissione culturale, sulla funzione della testimonianza intergenerazionale, sulla capacità di realizzare una memoria per il futuro la cui efficacia potesse essere misurata non solo nella sua dimensione pubblica e immediata, ma nella possibilità di stratificarsi e di sedimentarsi nella società e nella cultura del paese. Grazie a questo, l’Aned è stata e rimane un importante strumento di pedagogia democratica e costituzionale.
Quella qui narrata e ricostruita per la prima volta, è la storia di questa associazione, delle donne e degli uomini che la costituirono, e per i quali può valere la definizione – come Primo Levi ha scritto di se stesso – di “persone normali di buona memoria”.
Bruno Maida è ricercatore di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino. Ha pubblicato tra l’altro: Non si è mai ex deportati. Una biografia di Lidia Beccaria Rolfi (Utet, 2008) e La Shoah dei bambini. La persecuzione dell’infanzia ebraica in Italia 1938-1945 (Einaudi, 2013).
UN ASSAGGIO
Indice
7 Introduzione
L’uovo del serpente. Il “manifesto” di Binding e Hoche
di Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti
La liberalizzazione della soppressione della vita senza valore La sua estensione e la sua forma
di Karl Binding e Alfred Hoche
47 Nota di traduzione
49 Esposizione giuridica
di Karl Binding
I. L’odierna natura giuridica del suicidio. La cosiddetta partecipazione a esso; II. La semplice eutanasia operata entro giusti limiti non esige alcuna autorizzazione; III. Proposte per una più ampia liberalizzazione; IV. Estensione delle ragioni di trattamento preferenziale del delitto di omicidio al fine di liberalizzare l’uccisione di un terzo?; V. La decisione sulla liberalizzazione; VI. Riflessione sull’autorizzazione probabilmente erronea
77 Osservazioni mediche
di Alfred Hoche
91 Bibliografia scelta
Introduzione
L’uovo del serpente. Il “manifesto” di Binding e Hoche
di Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti
I.
Nel 1920, anno di pubblicazione del saggio di Karl Binding e Al fred Hoche Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens, qui tradotto, Hitler enuncia i venticinque punti che compongono il programma politico del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (NSDAP). Al punto quattro si stabilisce che “Cittadino dello Stato può essere solo chi appartiene alla comunità popolare (Volksgenosse)” e, inoltre, che “cittadino può essere solo chi è di sangue tedesco”. Con esso si fissa un primo perimetro, segnalando il confine tra la purezza dell’appartenenza al ceppo etnico nazionale e l’estraneità allo stesso che farà, in seguito, designare ebrei, zingari, persone di colore come suoi potenziali fattori inquinanti, come elementi che, rischiando di compromettere l’equilibrio biologico e politico della nazione, vanno opportunamente isolati e rimossi. Ma l’integrazione della comunità perseguita da questo programma viene ulteriormente garantita attraverso indicazioni successive e altrettanto eloquenti. Al punto dieci, infatti, si legge che:
Il primo dovere di ogni cittadino dello Stato deve essere quello di creare con le membra o con lo spirito. L’attività di ogni singolo non deve urtare gli interessi della comunità, ma deve esercitarsi nell’ambito dell’attività generale ed essere utile a tutti.
Infine, al punto ventuno viene sottolineato che: “Lo Stato deve preoccuparsi di elevare la salute fisica del popolo […], promuovendo l’irrobustimento fisico mediante l’obbligo, stabilito per legge, di curare la ginnastica e lo sport […]”. In sostanza, lo Stato nazista viene concepito come unità etnicamente omogenea di individui forti e in buona salute che, con le loro energie e il loro lavoro, concorrano a incrementare la forza dell’intera comunità, della quale appaiono quali semplici rotelle rispetto a un più ampio e articolato ingranaggio. Quanto valore sia riconosciuto alla vita individuale all’interno di siffatta configurazione ideale è abbastanza chiaro. Essa non è niente più che uno strumento al servizio di quel macro-organismo che la mistica della purezza razziale verrà designando come “comunità popolare” (Volksgemeinschaft) o “comunità di sangue” (Blutgemeinschaft).
Ma analizzando a ritroso le premesse teoriche al saggio di Binding e Hoche sulla soppressione delle “vite indegne di essere vissute” è possibile osservare come taluni dei motivi che compongono sin dagli albori la trama ideologica del nazismo – e che nel corso degli anni trenta e quaranta si imporranno come cultura egemone nello spazio pubblico e si tradurranno in scelte regolative di profilassi e sterilizzazione del “corpo” della nazione – si fossero affacciati già nella riflessione di medici, giuristi, scienziati sociali tra fine Ottocento e inizio Novecento.