Descrizione
Enzo Traverso
I nuovi volti del fascismo
Conversazione con Régis Meyran
Traduzione dal francese di Gianfranco Morosato
Fascismo: cosa vuol dire questa parola all’inizio del xxi secolo? La nostra memoria storica corre al passato, agli anni fra le due guerre mondiali, e vede un paesaggio fosco fatto di violenza, dittature, razzismo, genocidi. Questo ricordo riaffiora spontaneamente di fronte all’ascesa delle destre radicali, al proliferare del populismo, della xenofobia, e anche all’insorgere spaventoso del terrorismo, spesso definito “fascismo islamico”. Al di là di alcune analogie superficiali, tuttavia, questo insieme di fenomeni presenta altrettante se non maggiori differenze con il fascismo storico. Ad alimentare la confusione contribuisce inoltre il fatto che la paura del terrore jihadista è una delle cause del successo delle destre populiste, antislamiche e razziste, da Marine Le Pen a Donald Trump.
In una lunga conversazione con Régis Meyran, Enzo Traverso passa in rassegna questi fenomeni, dimostrando che lo sguardo dello storico può aiutarci a decifrare gli enigmi del presente. Suggerisce la nozione di “postfascismo”, non più fascismo ma neppure qualcosa di completamente nuovo e diverso, per definire un insieme di esperienze transitorie, eterogenee, ancora mobili, in bilico tra un passato concluso ma ancora vivo nella nostra memoria e un futuro assolutamente incerto.
Enzo Traverso ha insegnato Scienze politiche all’Università di Picardie, ad Amiens e oggi è professore alla Cornell University, Ithaca (NY). Tra le sue sue ultime pubblicazioni, tradotte anche in diverse lingue: A ferro e fuoco. La guerra civile europea, 1914-1945 (il Mulino, 2007), Il secolo armato. Interpretare le violenze del Novecento (Feltrinelli, 2012), La fine della modernità ebraica. Dalla critica al potere (Feltrinelli, 2013), Malinconia di sinistra. Una tradizione nascosta (Feltrinelli, 2016) e, per i nostri tipi: Cosmopoli. Figure dell’esilio ebraico-tedesco (2004). Il passato: istruzioni per l’uso. Storia, memoria, politica (2006), Che fine hanno fatto gli intellettuali? (2014), Totalitarismo. Storia di un dibattito (2015).
RASSEGNA STAMPA
Alfabeta2 – 7 gennaio 2018
Fascismo, postfascismo
di Matteo Moca
La parola ingombrante “fascismo”, continua ciclicamente a entrare nel dibattito pubblico, soprattutto in questi anni dove la destra estrema si affaccia in maniera continua e pericolosa sul palcoscenico politico internazionale. Eppure si tratta di una semplificazione eccessiva, di cui chiunque abbia una certa conoscenza di un determinato tipo di letteratura storica intuirà una totale inefficacia. Si tratta infatti di fenomeni che non hanno ancora trovato una loro stabilità e che quindi sfuggono a qualsiasi etichetta, ancor di più a quella di fascismo, che designa invece un oggetto assai chiaro.
Contribuisce a rischiarare questo sbilanciamento del linguaggio, il nuovo libro di Enzo Traverso, I nuovi volti del fascismo, edito da Ombre Corte. Anche in questa occasione, così come per Che fine hanno fatto gli intellettuali?, il libro è in realtà una conversazione con Régis Meyran che ha posto a Traverso delle domande molto ampie che permettono di tratteggiare con una certa precisione l’essenza di questi fenomeni. La domanda da cui parte questo libro, prezioso per una aderenza all’argomento accompagnata da un’agilità di lettura invidiabile, è come tentare di inscrivere questi partiti nella storia e come differenziarli dal fascismo del XX secolo, constatato il fatto che «di fronte a nuovi scenari sconosciuti, disponiamo solo di un vecchio vocabolario ereditato dal secolo scorso» in cui «le parole sono logore, ma non ne abbiamo ancora create di nuove». I vari capitoli trattano molti dei fattori che contribuiscono ad alimentare la confusione intorno a questo problema, dal terrore jihadista alle destre populiste e razziste, concentrandosi su Marine Le Pen, il Front National e Donald Trump. > continua a leggere >
Crmilla – 14 marzo 2018
Dal fascismo al postfascismo e ritorno
di Fabio Ciabatti
Il fascismo può tornare? La domanda non appare retorica dopo la tentata strage di Macerata e la diffusa accondiscendenza, se non aperta approvazione, con cui è stata accolta. Senza considerare le 152 aggressioni fasciste in Italia dal 2014 a oggi, registrate da Infoantifa.1 È senz’altro interessante, a questo proposito, prendere in considerazione le tesi espresse dallo storico Enzo Traverso nel suo libro intervista I nuovi volti del fascismo. Precisiamo subito che la posizione dell’autore è interlocutoria rispetto alla domanda posta all’inizio. Traverso sostiene che il fenomeno politico oggi prevalente non è tanto un rigurgito di neofascismo, che pure c’è, quanto una realtà più sfuggente, ambigua, suscettibile di esiti diversi, che è meglio definire postfascismo. Il punto di osservazione privilegiato è la Francia, dove lo storico insegna, con il Fonte Nazionale di Marine Le Pen come oggetto di analisi principale. Ma non mancano numerosi riferimenti al caso italiano, in particolare a due partiti come Fratelli d’Italia e la Lega.
Secondo l’autore, le formazioni postfasciste vengono per lo più da una tradizione fascista in senso proprio, ma da questa si sono emancipate. Altri partiti, come la Lega, hanno origini storico-culturali diverse, ma il loro posizionamento politico attuale è analogo. Autoritarismo, gerarchia, ordine, xenofobia, identitarismo, nazionalismo, sessismo, plebiscitarismo, potere carismatico sono senz’altro elementi che il postfascismo eredita dai suoi progenitori novecenteschi. Manca però qualcosa al postfascismo rispetto al suo precedente storico, potremmo dire seguendo il ragionamento di Traverso. Di fronte alla crisi si propone come difensore dei “piccoli bianchi”. E fin qui nulla di nuovo. Ma in questa difesa esso assume un’attitudine meramente reattiva, in senso proprio reazionaria.
Al contrario, ci ricorda Traverso, i fascismi storici si rappresentano come rivoluzionari, portatori di un’utopia. I valori ripresi dalla tradizione conservatrice e reazionaria vengono articolati all’interno di un’accettazione entusiasta della modernità, in particolare della scienza e della tecnica. Mussolini e Hitler inventano un nuovo stile politico, la loro propaganda si ispira alle avanguardie artistiche europee ed è finalizzata, tra l’altro, alla mobilitazione delle masse. La loro ideologia si configura addirittura come religione politica perché cerca di sostituire quella tradizionale proponendo un proprio sistema di valori, simboli e rituali. Il fascismo storico, in altri termini, vuole creare un nuovo ordine. Si oppone frontalmente al liberalismo, considerato decadente, così come al comunismo. Propone una terza via. >continua a leggere >
Jacobin Italia – 10 febbraio 2019
Cosa significa fascismo nel Ventunesimo secolo?
Intervista a Enzo Traverso
Il postfascismo è un fenomeno globale non omogeneo, privo della dimensione sovversiva dei suoi antenati: non vuole sopprimere il parlamentarismo ma cerca di distruggere la democrazia dall’interno. Un’intervista a Enzo Traverso
La lista dei paesi che sono caduti nell’ombra dell’estrema destra si sta allungando: Francia, Italia, Ungheria, Polonia, Austria e adesso anche Spagna e Germania, un tempo su posizioni politiche differenti. Il trionfo di Bolsonaro in Brasile e la presidenza di Trump negli Stati Uniti ha aperto un dibattito su scala planetaria su quello che una volta sembrava un fenomeno soltanto europeo.
Il dibattito torna inevitabilmente sulla questione del fascismo. Come spiegare quei movimenti di estrema destra che evocano la memoria del fascismo ma emergono in un contesto storico radicalmente diverso e parlano un linguaggio differente dal “sangue e suolo” del XX secolo? In I nuovi volti del fascismo (Ombre Corte, 2017) lo storico Enzo Traverso punta la sua attenzione su questo bersaglio in movimento. Il risultato è riassumibile nella formula di “postfascismo”, ossia il tentativo di formulare una risposta che spieghi le continuità e le discontinuità storiche tra il fascismo classico e una destra radicale che in qualche modo al fascismo assomiglia.
Nicolas Allen e Martin Cortés in un intervista con Traverso discutono di come la destra radicale si stia reiventando e come la sinistra, da parte sua, debba reinventare se stessa per non rimanere indietro.
Il dibattito contemporaneo sul fascismo e il populismo spesso rimane impantanato nella semantica. In I nuovi volti del fascismo adotti un approccio differente. Sei più interessato a come queste parole sono usate nel discorso pubblico e a quel che possono rivelarci a proposito degli “usi pubblici della storia”. Ci puoi dire qualcosa, genericamente, sulle fonti di ispirazione del tuo libro?
Le interpretazioni del passato non possono separarsi dal loro uso pubblico nel presente. Sono interessato a concettualizzare il fascismo, ma questo sforzo non è solo storiografico e non è politicamente “neutrale”. Per esempio, distinguo tra fascismo e populismo: il primo porta alla distruzione della democrazia; il secondo è uno stile politico che può prendere direzioni differenti, a volte opposte, ma che di solito rimane interno alla cornice democratica.
Non sono certo su come analizzare la nozione di fascismo oggi. Spesso è abusata. In genere, la minaccia di un ritorno del fascismo è stata una preoccupazione della sinistra. Oggi questa minaccia è diventata un refrain delle élite minacciate dal populismo di destra e dal postfascismo (penso a Madeleine Albright e a Robert Kagan negli Stati Uniti o a Matteo Renzi in Italia).
Ma il tipo di fronte unico “antifascista” che le élite tradizionali propongono nasconde le loro stesse responsabilità nell’aver creato le condizioni che permettono alla nuova destra radicale di emergere e diffondersi dall’Europa dell’est a quella occidentale, dagli Stati Uniti al Brasile.
L’ispirazione generale del mio libro è racchiusa in una domanda: che cosa significa fascismo nel Ventunesimo secolo? Possiamo considerare l’ascesa della nuova destra su scala globale come un ritorno del fascismo classico degli anni Trenta del Novecento, o è piuttosto un fenomeno nuovo? Come definirlo e come contrastarlo?
Sulla base del titolo della tua opera si potrebbe pensare che il soggetto sia il neofascismo. Invece sostieni che la deriva destroide delle politiche europee sia un fenomeno “postfascista”, collegato ma al tempo stesso distante dal fascismo classico. Potresti brevemente spiegarci perché questa differenza è importante?
Il neofascismo – i movimenti che rivendicano l’affiliazione al fascismo classico – è un fenomeno marginale. Alla base del successo della nuova destra radicale c’è il fatto di ritrarre sé stessi come qualcosa di nuovo, sia nel caso in cui non abbiano origini fasciste (Trump, Salvini), sia nei casi in cui abbiano rotto in maniera decisiva con il proprio passato (Marine Le Pen, che ha bandito suo padre dal Fronte Nazionale). > continua a leggere >
il manifesto – 23.02.2018
L’ansia di controllo sul corpo estraneo
di Marco Bascetta
TEMPI PRESENTI. «I nuovi volti del fascismo» dello storico Enzo Traverso, per ombre corte. Il postfascismo non ha alcun progetto di società futura, nessun inedito sistema sociale da proporre. Liberato dalla funzione anticomunista, si permette posture antiliberiste, antiborghesi e filo operaie
Fascismo e antifascismo sono tornati prepotentemente in un dibattito pubblico infestato di equivoci, di retorica e di sfacciate strumentalizzazioni dei fatti di cronaca. Destra e sinistra si accusano reciprocamente di prendere di mira un bersaglio da tempo defunto, il fascismo o il comunismo (il cui spettro comincia però ad andare davvero in soffitta) con lo scopo di negare ogni legittimità all’avversario politico. E, in effetti, se consideriamo uno dei fattori determinanti della diffusione dei fascismi negli anni Venti e Trenta del Novecento la contrapposizione alla rivoluzione bolscevica e ai movimenti che vi si ispiravano, la partita, in questo inizio del XXI secolo, appare chiusa da un pezzo.
FASCISMO E COMUNISMO finirebbero, insomma, per equivalere a categorie storico-politiche come giacobinismo o sanfedismo che, sottratte al loro contesto cronologico, si limiterebbero a designare un atteggiamento mentale, un lontano sfondo ideologico, un modo di percepire la realtà circostante e di reagire alle contraddizioni che la attraversano. «La parola ‘fascismo’, a ben riflettere – scrive lo storico Enzo Traverso – si rivela più come un ostacolo che come un elemento chiarificatore della discussione» (I nuovi volti del fascismo, ombre corte, pp.140. euro 13). Come anche il termine populismo si applica infatti a un gran numero di fenomeni assai eterogenei, dalle destre radicali europee fino al cosiddetto islamo-fascismo di Daesh, definizione più emotiva che utile a inquadrare il fenomeno.
Per sottrarsi a questa confusione tra vecchio e nuovo Traverso sceglie di ricorrere al termine «postfascismo» con il quale si intende designare una discendenza dal fascismo classico che se ne è tuttavia emancipata introducendo elementi estranei a quella tradizione, senza ancora, tuttavia, cristallizzarsi in una forma politica ben definita. L’esempio cui fa più estesamente ricorso è quello del Front National che Marine Le Pen ha appunto emancipato dal puro fascismo paterno per traghettarlo verso una nuova identità politica della destra ancora in costruzione. Un analogo processo di emancipazione dalla «classicità» dell’anticapitalismo comunista e socialista lo si può del resto osservare anche a sinistra in movimenti sociali (Occupy Wall Street, Indignados, Nuit debout) e formazioni politiche (Podemos, Syriza, Linke).
Qui finisce però ogni analogia, a dispetto del tentativo dell’establishment liberista di omogenizzare tutto nel calderone del «populismo». Questi accostamenti sono favoriti dal fatto che un postfascismo liberato dalla funzione anticomunista del suo progenitore, può ben permettersi posture antiliberiste, antiborghesi e filo operaie, nonché proporsi come restauratore di un’autentica democrazia garantita dalla sovranità nazionale contro le élites transnazionali. La stessa miscela che alimenta le correnti politiche cosiddette «rosso-brune». La distanza dai fascismi del Novecento non può non accompagnarsi, tuttavia, con una qualche operazione di revisionismo storico, magari non estrema alla David Irving, ma comunque dedita a certificare errori e meriti, a spacchettare l’esperienza fascista onde poterne reimpiegare questo o quell’aspetto. Non sono rare le esternazioni di politici della destra che si propongono di salvare il fascismo dai suoi errori, occultando, per esempio, la coerenza tra l’entrata in guerra e la forma mentis stessa del fascismo.
IL FULCRO DELL’IDEOLOGIA postfascista (condiviso però in forme più urbane e moderate anche da formazioni di centro-sinistra) è il nazionalismo riproposto nella forma dell’identità nazionale. «In fondo – avverte Traverso – ciò che interessa la destra quando parla di identità, è in realtà l’identificazione, cioè le politiche di controllo sociale adottate fin dal XIX secolo in Europa: controllo dei flussi di popolazione e delle migrazioni interne, schedatura degli stranieri, dei criminali, dei sovversivi». Temi securitari in buona parte condivisi dalle sinistre di governo europee, che virano immancabilmente verso soluzioni autoritarie. Basti pensare alle misure volute dal presidente socialista Hollande in Francia.
QUEST’ANSIA DI CONTROLLO è sostanzialmente orientata a un disegno di conservazione. Il postfascismo non ha infatti, a differenza del suo antenato novecentesco, alcun progetto di società futura, nessun inedito sistema sociale da proporre. Il suo discorso è giocato tutto sulla difensiva, sulla salvaguardia di un già noto, di una tradizione che si vuole insidiata dalla globalizzazione, dai flussi migratori, dalle influenze culturali «aliene». >contina a leggere >
UN ASSAGGIO
Indice
9 Prefazione – di Régis Meyran
11 Dal fascismo al postfascismo?
Le nuove estreme destre si sono emancipate dalla matrice storica che le ha viste nascere, ovvero dai fascismi del xx secolo. Intrisi di un contenuto ideologico fluttuante, i partiti che Traverso definisce “postfascisti” non si presentano più come sovversivi, giocano la carta della normalità istituzionale per cercare di trasformare il sistema dall’interno. L’Europa ultraliberale alimenta la crescita dei nazionalismi e dei populismi, e molti dei suoi governi adottano politiche autoritarie e xenofobe, rispondendo al terrorismo con misure liberticide e definendo l’immigrazione un “problema” e una minaccia nei confronti delle “identità nazionali”. Ma soprattutto, queste tendenze sono complementari alla crisi dei partiti politici tradizionali. Il postfascismo è il sintomo di un sistema politico in crisi, i cui margini di manovra si rivelano sempre più limitati.
50 Politiche identitarie
In Francia, il discorso “repubblicano” che i partiti tradizionali oppongono ai partiti postfascisti (lo scontro fra l’establishment e il Front national durante le elezioni presidenziali) riveste la Repubblica di un’aura mistica, rifiutando di riconoscerne il passato coloniale e gettando un velo di silenzio sui ghetti etnico-sociali che essa riserva agli immigrati. Questa politica “identitaria” si ritrova in una visione della laicità che esclude i musulmani dalla comunità nazionale. Più in generale, l’islamofobia non è che l’espressione contemporanea della storica coesistenza di Repubblica e colonialismo. Tutti questi elementi spiegano i limiti dell’opposizione al Front national, dal momento che ne riproducono molte idee e proposte.
78 Antisemitismo e islamofobia
Oggi l’islamofobia struttura i nazionalismi europei, come avveniva per l’antisemitismo nella prima metà del xx secolo. Così come nella Germania della fine dell’Ottocento gli ebrei erano considerati un elemento estraneo nella nazione, oggi i musulmani sono descritti come invasori che minacciano l’identità francese. L’antisemitismo sembra scomparire. La nuova giudeofobia e le violenze che l’accompagnano non hanno alcun rapporto con la tradizione nazionalista ma sono soprattutto legate al conflitto israelo-palesinese. L’islamofobia di matrice coloniale fa delle popolazioni immigrate arabe e africane il proprio bersaglio. Presente sin dal xix secolo, essa conosce una crescita senza precedenti dopo gli anni Ottanta. Invece di una convergenza di lotte tra le minoranze discriminate del presente e del passato, oggi in Francia si assiste a una regressione culturale e politica in cui appaiono intellettuali ebrei islamofobi e una nuova generazione giudeofoba di origine araba e africana.
101 Islamismo radicale o “islamo-fascismo”?
Daesh alla luce della storia del fascismo
Per il suo nazionalismo radicale, la sua violenza estrema e la sua ostilità nei confronti della democrazia, per il fatto di essere nato in un paese devastato dalla guerra, Daesh ha dei punti in comune con i fascismi. Ma se ne distingue per il fatto di interpretare una religione tradizionale in modo integralista e di essere nato in paesi che non hanno mai conosciuto la democrazia. Esso attrae a sé giovani da ogni parte del mondo, spesso in mancanza di un polo di attrazione radicale a sinistra. In Francia, il risveglio di una sinistra anticoloniale sarebbe l’antidoto più efficace contro il diffondersi del jihadismo. Forma molto particolare di “distruzione della politica”, Daesh è una risposta regressiva alla crisi del mondo arabo e, in Europa, a un ordine neoliberale estremamente violento, nel quale l’individualismo e la competizione sono imposti dalla logica del mercato a tutti i livelli della nostra esistenza.
125 Conclusione
Immaginario politico ed emergere del postfascismo
I postfascismi e Daesh sono apparsi in un contesto generale caratterizzato dalla scomparsa di un orizzonte di attesa, dall’eclisse delle utopie e dalla loro perdita di credibilità, come se portassero sistematicamente al totalitarismo, e con l’ideologia del mercato come sola possibile fonte di libertà. Le destre radicali e l’islamismo costituiscono quindi dei surrogati delle utopie scomparse del xx secolo.