Descrizione
Figure del lavoro contemporaneo
Un’inchiesta sui nuovi regimi della produzione
a cura di Caterina Benvegnù, Francesco E. Iannuzzi
Negli ultimi anni il lavoro è tornato con forza al centro del dibattito. I contributi raccolti in questo volume intendono indagarne le mutazioni intercorse negli ultimi anni proponendo un approccio alternativo a quelli che oggi sembrano orientare maggiormente la ricerca, spesso legata all’analisi della precarietà o delle figure più innovative del mercato del lavoro. Le ricerche presentate costituiscono una serie di fotografie volte a restituire uno spaccato del mondo del lavoro contemporaneo. Facchini, portuali, lavoratrici del sesso, operai del circuito elettrodomestico, del comparto moda e delle imprese recuperate, migranti impiegati nel settore agricolo nel Sud Italia o, ancora, lavoratori di piattaforme digitali quali Amazon Mechanical Turk: i casi di studio proposti sono molteplici come le figure che popolano l’attività lavorativa. Dalle istantanee proposte emerge un quadro composito, in cui diversità e frammentazione appaiono come la cifra principale dell’attuale universo del lavoro. Tuttavia, la crescente integrazione dei processi economici all’interno di catene del valore nelle quali convivono regimi lavorativi estremamente diversi, aumenta allo stesso tempo l’interconnessione tra la molteplicità delle figure del lavoro. Questo doppio movimento, composto da frammentazione e interconnessione, incoraggia quindi uno sguardo attento ai processi economici e sociali dispersi nello spazio globale, ma anche a moltiplicare le ricerche sul campo per cogliere l’operare concreto della diversità su scala locale. Postfazione di Devi Sacchetto.
Carlotta Benvegnù, dopo aver conseguito una laurea in Sociologia a l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, sta portando a termine un dottorato in co-tutela presso l’Università degli Studi di Padova e l’Université Paris 8 Saint-Denis, dove è membro del centro di ricerca Cresppa-CSU.
Francesco E. Iannuzzi è dottorando di ricerca in Scienze Sociali presso l’Università di Padova. Laureato all’Università della Calabria in Discipline Economiche e Sociali, ha successivamente svolto un master di secondo livello in studi sulle migrazioni. È membro del gruppo di ricerca Slanting Gaze on Social Control, Labour, Racism and Migrations (Slang) dell’Università di Padova.
RASSEGNA STAMPA
OverLeft – Lunedì 21 Maggio 2018
Tracce di resistenza e opposizione nel lavoro contemporaneo
di Paolo Rabissi
Che ne è della classe operaia? Che ne è di quel soggetto economico-politico che negli anni sessanta e settanta sembrava in grado di inceppare indefinitamente i meccanismi di riproduzione del capitale con forme organizzative, quasi interamente autonome da partiti e sindacati, di comando sul lavoro? In altre parole come si configura oggi il lavoro?
Il libro in analisi è una buona occasione per fare il punto. Raccoglie infatti un nutrito numero di esperienze diverse che compongono un quadro utile per orientarsi. A patto ovviamente di dare per scontate certe specificità comuni alle varie situazioni: prima di tutto il processo di frammentazione e dispersione di lavoratori e lavoratrici in luoghi di produzione sparsi sul pianeta e poi la implacabile flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro. A ciò si possono anche legare la dissoluzione della contrattazione collettiva, uno dei momenti di forza nell’epoca fordista sopra rammentata, e il declino dei sindacati con il loro fallimento nel tentativo di gestire una precarizzazione limitata alle fasce marginali del mercato del lavoro col fine di salvaguardare gli occupati stabili.
Presupposto di metodo di tutti i saggi del libro sta l’inchiesta sul campo, che è di matrice operaista (dai Quaderni Rossi in avanti fino a Primo Maggio). Essa viene considerata imprescindibile per la comprensione di processi sociali e soprattutto per l’approfondimento dei modi con cui le soggettività interrogate rispondono e resistono alle condizioni più pesanti del lavoro, con forme specifiche di resistenza e rifiuto che scavalcano spesso le forme sindacali tradizionali. E vale la pena sottolineare che nei/lle ricercatori/trici è definitivamente acquisita la convinzione che interrogare a fondo le soggettività, rilevando nella composizione della manodopera differenze e attributi sociali quali genere, origine etnica, nazionalità, cultura e stili di vita, nonché, come vedremo oltre, l’analisi simultanea della sfera della produzione e quella della riproduzione, permette di uscire da schemi interpretativi resi obsoleti dalle trasformazioni del lavoro avvenute negli ultimi decenni, permette di cogliere aspetti nascosti.
Questo tipo d’inchiesta dunque aiuta a mettere in evidenza le forme di resistenza e opposizione ai sistemi di controllo e subordinazione che non si manifestano in maniera esplicita e organizzata: il che permette di superare le visioni eccessivamente demoralizzanti sull’insufficienza di risposte organizzate da parte dei lavoratori/trici e di scivolare in letture, altrimenti eccessivamente miserabiliste, sulla precarietà del lavoro in generale o sulla condizione dei migranti. Ma permette anche di rendersi conto che il capitalismo stesso si muove dentro processi di integrazione di quelle differenze nella composizione del lavoro, il che significa dover ammettere che il capitale non si muove esclusivamente dentro la logica del basso costo del lavoro ma anche fra elementi extra-economici mobilitati in processi di estrazione di valore e in sistemi di disciplinamento del lavoro… continua a leggere >
il manifesto – Cultura – 30.05.2018
I mille volti della precarietà che abitano il contemporaneo
In un volume per ombre corte inchieste sui nuovi regimi della produzione
di Eleonora Cappuccilli
Solo muovendosi tra i diversi piani del labirinto della precarietà fino a raggiungerne gli angoli più remoti è possibile gettare luce sull’eterogeneità del lavoro contemporaneo, in cui la novità delle trasformazioni tecnologiche vorrebbe nascondere una realtà fatta di gerarchie e frammentazione. Questo è il dato che emerge dai saggi contenuti in Figure del lavoro contemporaneo. Un’inchiesta sui nuovi regimi della produzione (ombre corte) curato da Carlotta Benvegnù e Francesco E. Iannuzzi, con la postfazione di Devi Sacchetto.
IL LIBRO PRESENTA un’utile raccolta di indagini volte a smascherare i meccanismi di intensificazione del comando capitalistico e il conflitto che incontra, a evidenziare la connessione delle esperienze di vita e lavoro con le diverse condizioni politiche e legislative e a mettere a nudo le contraddizioni tra retorica e realtà dei nuovi regimi di produzione.
Un posto di rilievo è dedicato al lavoro migrante, che rende visibili le trasformazioni in atto nella produzione e riproduzione sociale in virtù non solo della sua natura oggettiva – mobile, precaria, legata alle sue condizioni politiche – ma anche delle sue potenzialità soggettive.
A PARTIRE DAL LAVORO migrante si può cogliere la connessione delle figure del lavoro sia all’interno di reti di produzione globali sia nei percorsi di lotta attraverso i confini. Grazie a questo doppio livello, le categorie scientifiche utilizzate e le ipotesi politiche avanzate vengono messe alla prova della loro capacità di cogliere la materialità dei rapporti e dei conflitti sociali.
Così, ad esempio, nella riflessione sul lavoro digitale fatta da Elinor Wahal, la «dipendenza da lavoro» che le discipline sociologiche rintracciano nel caso dei crowd-workers – che passano davanti al pc anche 17 ore al giorno – esemplifica l’insufficienza di categorie che leggano i nuovi regimi di produzione secondo una prospettiva individualizzante e una concezione unitaria del tempo di lavoro – che non tiene conto, cioè, del prolungamento e spezzettamento della giornata lavorativa –, e non invece a partire dal ricatto e dall’insubordinazione nel regime del salario. Inseguire pezzi sconnessi di salario compiendo microtask a ripetizione, più che il sintomo di una dipendenza patologica connaturata al lavoro digitale, sembra essere la maledizione che agisce su un intero mondo in cui la precarietà è condizione normale e istituzionalizzata.
Alla luce di questa tensione tra categorie sociologiche ed etnografiche e la realtà del lavoro contemporaneo si comprende l’affermazione della necessità di osservare da vicino gli ingranaggi e i protagonisti della storia del capitalismo, abbandonando l’illusione che vi sia uno sviluppo logico e progressivo da rintracciare nel susseguirsi delle trasformazioni produttive.
SENZA CEDERE allo «scintillio delle nuove tecnologie» (Sacchetto), il libro discute la novità della fase attuale a partire dalla riflessione sulle continuità e discontinuità, dalla lettura complessiva del lavoro e dell’ambiente politico in cui si inserisce. È in questo quadro che va collocata l’alternanza di casualizzazione e decasualizzazione nei porti (Andrea Bottalico), oppure il deskilling nelle fabbriche della Electrolux (Fiorella Longobardi).
Infine, non è un caso che, scorrendo i saggi, il sindacato emerga nella realtà della crisi a cui si è da lungo tempo condannato. Dalle pagine del libro traspare l’insufficienza di un approccio vertenziale e di una strategia che ruoti esclusivamente intorno al sindacato, strumento di mediazione inadatto alla composizione di classe attuale – frantumata e rarefatta. Anche nella storia dei sindacati delle sex workers in Italia e Germania, ricostruita da Mareen Heying, a imporsi all’attenzione non sono i successi delle strategie sindacali ma le soggettività in lotta contro un quadro normativo e istituzionale che non ha mai smesso di provare a restringere lo spazio di azione delle lavoratrici in questione. Di fronte alla natura mobile e informale del lavoro, le domande aperte e le sfide che sorgono dalle esperienze di precarietà e conflitto raccontate nel libro forniscono un punto di partenza prezioso per comprendere e trasformare lo stato di cose presente.
La versione integrale di questa recensione è pubblicata su connessioniprecarie.org
UN ASSAGGIO
Introduzione
L’eterogeneità del lavoro contemporaneo
di Carlotta Benvegnù e Francesco E. Iannuzzi
Le ricerche presentate in questo volume compongono una serie di fotografie, d’istantanee, volte a restituire uno spaccato del mondo del lavoro odierno. Facchini, portuali, lavoratrici del sesso, operai del circuito elettrodomestico, del comparto moda e delle imprese recuperate, migranti impiegati nel settore agricolo nel Sud Italia o, ancora, lavoratori di piattaforme digitali quali Amazon Mechanical Turk: i casi studio qui proposti sono molteplici come le figure del lavoro contemporaneo.
In un contesto in cui la crisi si è ormai fatta forma di governo del lavoro, poiché ne ha accelerato il processo di mercificazione estendendolo a nuovi e diversi ambiti dell’esistenza, la questione lavorativa è tornata al centro del dibattito politico e accademico. La sociologia italiana ha finora prodotto una serie di studi e analisi che, attraverso lenti e metodi diversi, provano a rendere conto delle trasformazioni in atto dei regimi del lavoro. Significative sono, ad esempio, le ricerche che hanno analizzato fenomeni quali i processi di precarizzazione e di progressiva flessibilizzazione del lavoro e il loro impatto sulla vita professionale e privata, l’estensione del lavoro autonomo (Bologna e Fumagalli 1997; Banfi e Bologna 2011) e di varie forme di lavoro gratuito (Armano e Murgia 2016) e, infine, il ruolo assunto dalle nuove tecnologie digitali all’interno di quello che viene anche definito il “capitalismo delle piattaforme” o Gig Economy.
Al contempo, sono emerse anche analisi di ampio respiro, volte ad aggiornare la “cassetta degli attrezzi” e a trovare gli strumenti adeguati per comprendere le metamorfosi – qualitative quanto quantitative – del lavoro contemporaneo. Attraverso l’elaborazione di apparati teorici e nuovi strumenti concettuali, queste analisi puntano a cogliere le principali implicazioni della condizione odierna dei lavoratori e delle lavoratici, nonché forma e funzionamento dei nuovi dispositivi di messa al lavoro (Bascetta 2014; Chicchi et al. 2016). Ad esempio, alcuni contributi hanno messo in luce come la sfumatura della frontiera tra lavoro e non lavoro, e di conseguenza quella tra sfera produttiva e riproduttiva, mettendo a valore sempre maggiori ambiti dell’esistenza (Morini 2010) abbia portato ad una generale estensione e riconfigurazione della giornata lavorativa. Altri contributi si sono focalizzati invece sul ruolo assunto dai confini nel moltiplicare e intensificare il processo lavorativo (Mezzadra e Neilson 2013), o hanno posto l’accento sulla centralità assunta da una nuova composizione di classe, ed in particolare dal lavoro migrante, all’interno delle reti produttive transnazionali (Chignola e Sacchetto 2017).
Se da un lato sono state prodotte quindi ricche analisi teoriche intorno alle metamorfosi dei regimi lavorativi – con le quali la ricerca empirica dovrebbe mantenere un dialogo costante – dall’altro le ricerche sul campo appaiono focalizzarsi molto spesso sui punti considerati tecnologicamente più avanzati del mercato del lavoro e della produzione, come dimostrato ad esempio dal proliferare di studi sui lavoratori della conoscenza o – in tempi più recenti – sull’industria 4.0.
Tuttavia, troppo spesso, le trasformazioni del capitalismo sono state lette sulla base di un modello storico lineare che si sviluppa per fasi caratterizzate da forme organizzative e del lavoro che sembrano costituire una rottura rispetto ad un passato di cui non conservano memoria. Non si tratta qui di negare il susseguirsi di trasformazioni produttive e sociali che danno vita a nuove figure del lavoro, ma piuttosto di considerare che la storia del capitalismo non è caratterizzata da sostituzioni repentine e definitive quanto da una sequenza di complesse integrazioni e assemblaggi di forme eterogenee di lavoro e tecnologie. Si tratta, in altre parole, di prendere atto di come le stesse trasformazioni abbiano generato forme ibride di organizzazione e regolazione del lavoro tali da rendere difficile l’individuazione di figure che possano assurgere al ruolo di “soggetto archetipico” dei processi produttivi e di accumulazione. Siamo infatti convinti che l’affannosa ricerca di un tale soggetto ci possa far correre oggi il rischio sia di includere (o escludere) forzatamente soggettività e figure ampiamente diversificate che con difficoltà si riconoscono in un destino comune, sia di rafforzare e riprodurre prospettive di natura etnocentrica che finiscono per creare gerarchie tra i soggetti stessi del lavoro. In alcune località e in alcuni settori produttivi, le innovazioni tanto di prodotto quanto di processo si sono infatti ampiamente amalgamate ad anteriori forme di organizzazione del lavoro, generando rapporti produttivi ibridi e multiformi, mentre, allo stesso tempo, precedenti modi di regolare i rapporti di lavoro sono stati rivitalizzati grazie alle nuove modalità di controllo e disciplina dei lavoratori. Si pensi, ad esempio, alla logica del cottimo applicata ai “lavoratori del click” da Amazon Mechanical Turk, o alla diffusione del caporalato in nuove aree e/o settori come si è potuto osservare in tempi recenti nel comparto del trasporto nel nord Italia. I saggi qui presentanti sono esemplificativi di questo amalgamarsi delle molteplici storie di cui si nutre il capitalismo contemporaneo.
Questo volume cerca quindi di mettere in luce l’eterogeneità, o meglio, le complesse e variegate stratificazioni e intersezioni tra diversi regimi del lavoro, che uniscono figure “tradizionali” a soggetti “ipermoderni”, in un unico paradigma che li assembla all’interno di filiere lavorative e produttive. In effetti, gli approcci di ricerca volti ad interrogare la struttura reticolare e globale del capitalismo contemporaneo hanno mostrato come l’integrazione di parti del processo produttivo disperse globalmente, connettono non solo imprese e contesti differenti – ciascuno a partire dalle sue specificità economiche, sociali e di regolazione politica e istituzionale – ma anche specifiche composizioni di forza lavoro, caratterizzate, a loro volta, da forme eterogenee di segmentazione sociale. Nella continua scomposizione e ricomposizione dei luoghi di valorizzazione, le strutture produttive globali, sia quando assumono la forma di rete sia quando sono iconograficamente rappresentate da catene del valore, paiono essere molto sensibili alle peculiarità dei contesti locali che attraversano e alle diversità sociali che caratterizzano la forza lavoro (Tsing 2009). Il legame tra composizione del lavoro e luoghi di valorizzazione è quindi di fondamentale importanza poiché è a partire dai singoli spazi e dalla loro storia sociale che possiamo comprendere le dinamiche d’intersezione dei sistemi di potere e di oppressione, tra le quali la razzializzazione e la genderizzazione, che sono al centro dei regimi disciplinari del lavoro.