Descrizione
Essere passati. Tracce di vita di ricoverati nel manicomio di Mantova nell’Ottocento
a cura di Isabella Schiappadori
I contributi raccolti in questo volume si confrontano, da diverse prospettive – attraverso il lavoro storiografico, l’osservazione clinica, sociologica e filosofica –, con le tracce di vita lasciate consapevolmente o inconsciamente nelle cartelle cliniche dei pazienti ricoverati nella Sezione Maniaci dell’Ospedale civile di Mantova nel periodo 1808-1919, oggi conservate presso l’Archivio di Stato della stessa città.
Leggere questi documenti, per loro natura particolarmente poveri, incerti e non di rado contraddittori, pone non pochi problemi storiografici e interpretativi, al centro dei quali sta la domanda di quanto sia possibile, a partire da essi, dire qualcosa di vero degli uomini e delle donne ricoverati, della loro sofferenza soggettiva, delle loro storie di vita, del rapporto con medici e infermieri, della correttezza delle diagnosi, dell’umanità o della bestialità dei trattamenti. È questa in effetti la preoccupazione che pervade e orienta l’insieme dei lavori che qui si misurano con i materiali d’archivio, riguardanti i pazienti psichiatrici “passati” attraverso l’istituzione manicomiale. La lettura vorrebbe coglierne aspetti del vissuto, ricostruendolo attraverso un lavoro ermeneutico reso possibile dalle tracce lasciate dai documenti che li riguardano. Il tutto, però, senza trascurare di leggere e connettere queste vicende individuali, relazionali e istituzionali, con quelle storiche che hanno riguardato la comunità mantovana dell’epoca.
Isabella Schiappadori, psicoterapeuta di formazione psicoanalitica, ha lavorato come psicologo clinico in istituzioni psichiatriche, nella attività professionale privata si è occupata della terapia di bambini e di adulti. È tra i soci fondatori del Centro Studi Psicodinamici della Personalità (Cissp), fondato a Venezia da Salomon Resnik. Dal 2013 è docente di Fondamenti di Psicoterapia Psicoanalitica Individuale presso la Scuola di Specializzazione di Padova, associata Coirag.
UN ASSAGGIO
Indice
7 Note per la lettura
di Isabella Schiappadori
11 L’archivio della psichiatria
di Monica Ghidoni
43 I molteplici aspetti della lettura delle cartelle cliniche
di Luciano Fornari e Isabella Schiappadori
86 Tre casi. Osservazioni in ascolto
di Luciano Fornari e Isabella Schiappadori
128 Il duro Ottocento della provincia mantovana
di Eugenio Camerlenghi
137 Postfazione. Storie indiziarie
di Annarosa Buttarelli
141 Le autrici e gli autori
Note per la lettura
di Isabella Schiappadori
L’idea di questo libro nasce dalla collaborazione di diverse esperienze culturali, accomunate dall’interesse per il mondo dell’uomo e per la storia che costituisce la manifestazione narrativa delle sue trasformazioni nel tempo. Gli autori si riconoscono nello scopo di orientare l’apporto delle proprie esperienze di lavoro e di riflessione alla ricerca di senso intorno a un settore della storia umana, che ha a che fare con la sofferenza mentale e i modi e criteri di assistenza praticati nella seconda metà dell’Ottocento nella provincia di Mantova.
È condivisa la percezione di un nucleo denso di problematicità di fronte alla complessità del mondo psichico, soprattutto quando è investito e sommerso dalle forme del dolore, della turbolenza o della violenza, del vissuto di vuoto e di assenza, allo spalancarsi di esperienze interiori come la solitudine e l’impotenza.
Il criterio di ricerca adottato è stato quello di confrontarsi con le tracce lasciate consapevolmente o inconsciamente nei documenti disponibili, relativi alle cartelle cliniche dei ricoverati dal 1808 al 1919 nella Sezione maniaci, che era collocata nell’Ospedale civile di Mantova, allora situato all’interno della città.
Le cartelle cliniche erano state “salvate” e spostate nel nuovo Ospedale civile “Carlo Poma”. Successivamente, nella seconda metà del Novecento, l’Archivio di Stato della città le ricevette in custodia.
Per questo gli autori, nell’intraprendere lo studio dei “materiali”, hanno ritenuto di individuare un inizio o una presa di forza comune, proprio nell’Archivio di Stato, frequentato e indagato nei documenti ritrovati, secondo approcci diversi, appartenenti alla formazione culturale di ciascuno. Ci sembra che le varie “letture” abbiano valorizzato il complesso documentario considerato in partenza, mettendo in risalto le possibilità interpretative, messe in essere a seconda del filtro mentale, speculativo e creativo adottato, e rendendo feconda la collaborazione plurale.
Se l’archivio è la risposta concreta al bisogno di conservare aspetti del corso della storia di una comunità e di offrire testimonianze del passare del tempo, che non sia solo polverizzazione della sua “carne”, dentro i suoi fascicoli troviamo depositi di documenti sulle vicende e le vite che si sono succedute nei secoli, dall’inizio della sua organizzazione. Tuttavia, il luogo nel quale agli eventi è conferito il carattere dell’ufficialità presenta anche vuoti, iterazioni e contraddizioni che suscitano conferme, ma anche dubbi e opportunità per introdurre la formulazione di altre diverse ipotesi.
La lettura delle cartelle cliniche riguarda le vicende di coloro che per periodi della loro vita, prolungati o interrotti, sono “passati” attraverso la sofferenza e la custodia dell’istituzione.
Il documento d’archivio, tale è la cartella conservata, sottomette la complessità della loro storia a un procedimento di compressione, in cui i dettagli sono stati trascurati, in quanto ritenuti privi di importanza o di significato. Tuttavia questo non ha impedito che rimanessero tracce del loro passaggio e della loro condizione esistenziale, che i medici hanno tradotto in scrittura, nel ruolo di curanti, testimoni e osservatori della loro presenza umana e della loro sofferenza, diagnosticata secondo le categorie previste dalla nosografia del tempo.
Sapere che l’uomo è portatore della sua sofferenza non equivale a conoscere quali siano i modi del suo soffrire e quali alterazioni o distruzioni della psiche siano prodotte dalla sofferenza mentale. La mancanza della voce e delle sue intonazioni nelle trame, frammentarie e opache, della relazione medico-paziente, ci priva della conoscenza dei significati che essa è in grado di veicolare, oltre le parole formulate e registrate. Sappiamo che essa costituirebbe un impulso speciale a pensare e a comprendere per la mente in ascolto.
Nella stesura delle varie parti del libro le consultazioni dell’archivio sono state considerate secondo una duplice funzione: hanno permesso di interrogarsi, elaborare e interpretare il fatto (dato) scelto e hanno sollecitato la necessità e l’opportunità di condividere e di confrontare le considerazioni attinte dal materiale.
Questo ha contribuito, nel corso del lavoro, a tentare la figurazione di un tempo, come parte della storia della comunità mantovana, nella quale potesse essere posto in connessione il tempo vissuto e il tempo storico che ha fatto da sfondo, tacito e lontano, alle vicende dei ricoverati nell’istituzione psichiatrica.
È stato inevitabile e, alla fine, indispensabile tenere viva la consapevolezza che ogni conoscenza, ogni procedere del pensiero si fondano su un congetturare continuo (non possiamo dimenticare il freudiano erraten) che invita a familiarizzare con dubbi, ripensamenti, nuove ipotesi, più che con certezze e definizioni inalterabili. Ritornare sui propri passi può costituire l’occasione per scoprire nuovi sviluppi del ricercare e permettere la composizione delle contrapposizioni in forme di pensiero fondate sull’inclusività.
Così per un felice paradosso, ogni ostacolo, ogni lacuna, possono rivelarsi suscettibili di nuova trasformazione e rappresentare un percorso in cui sono sempre state presenti sia la consapevolezza, pur feconda, del limite da superare sia l’idea della mancanza per la quale tentare un’integrazione.
I percorsi del pensiero, che cerca e “cura” i suoi oggetti, non presentano la caratteristica della linearità, si articolano, invece, secondo la linea curva e la ramificazione che facilitano la possibilità di inclusione.