Ecologia del possibile

 10.00

Gianluca De Fazio

pp. 113
Anno 2021 (marzo)
ISBN 9788869481888

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Descrizione

Gianluca de Fazio
Ecologia del possibile
Razionalità, esistenza, amicizia
Prefazione di Ubaldo Fadini

L’incontro tra filosofia ed ecologia è, al giorno d’oggi, una sfida teorica di primo piano. Contro una interpretazione naturalistica e un riduzionismo ambientalista del pensiero ecologico, per lo più dominante nel discorso attuale, il testo affronta il portato critico e metodologico dell’ecologia filosofica nella sua formulazione ecosofica, attraversandone gli aspetti etici e istituzionali. A partire dal posizionamento teorico di matrice francese e dall’assunto per il quale l’ecologia si definisce come scienza delle relazioni, il saggio dialoga con alcuni dei dibattiti più recenti – lo statuto dell’essere vivente, il dualismo natura-cultura, le implicazioni ontologiche dell’etnografia contemporanea – facendo emergere il portato etico (e politico) della questione ecologica attraverso problematiche classiche della filosofia, come il tema dell’amicizia, dei processi istituzionali e il nodo cruciale della soggettività. I tragitti descritti nel libro hanno l’obiettivo di porre il concetto di possibile al centro di un’etica ecologica, un’etica, cioè, basata sulla capacità dell’essere vivente di istituire e valorizzare delle relazioni al fine di aumentare le potenzialità esistenziali individuali e collettive.

Gianluca De Fazio è dottore di ricerca in Filosofia. Collabora con la cattedra di Filosofia della Storia dell’Università di Bologna e svolge attività di ricerca presso il centro Officine Filosofiche. Nel 2016 ha fondato, con Paulo Fernando Lévano, il gruppo di ricerca e didattica in ecosofia ubi minor. Studioso del pensiero di Merleau-Ponty e Deleuze, si occupa di storia della filosofia, ecologia filosofica e teoria della soggettività.

Rassegna stampa

Frammenti Rivista – 7 maggio 2021

La crisi ecologica e ambientale che stiamo attraversando si prospetta come il problema più urgente da affrontare non solo da un punto di vista pratico, ma anche teorico. Mettendo da parte qualsiasi nichilistica professione di fede verso la morte della filosofia, è necessario invece impegnarsi in un lavoro di elaborazione concettuale che permetta di pensare, entro nuove categorie, ciò che i modelli filosofici più classici ci impediscono di pensare. È necessario, in altri termini, produrre un sapere all’altezza dei nostri tempi. Alcuni hanno chiamato questo sapere “ecologia”. Gianluca De Fazio ha mosso nel suo libro “Ecologia del possibile. Razionalità, esistenza, amicizia” alcuni passi in direzione di questo nuovo paradigma.

Qui il video della presentazione >>>

In questa nuova puntata di Palomar, l’autore dialoga con Mattia Brambilla e Giovanni Fava.


 

OperaViva – 22 GIUGNO 2021

Un’ecologia del possibile. Contro il riduzionismo ambientalista

di Giuseppe Molica

Possiamo ammettere, ad oggi, che chiunque di noi sa, credendoci o meno, che è in corso una catastrofe ambientale. Tale catastrofe, analizzata puntualmente, ci mette comunque di fronte ad una impossibilità ad agire; la catastrofe è per definizione un «esito doloroso o luttuoso», e come tale viene concepita come un evento che mette fine alla situazione in atto. Calati in un tale paradigma proviamo così a schierarci ancora per la vita a-venire, quella post-catastrofica, dove pochi eroi, fortunati, sopravvissuti, dovranno aver a che fare con un ambiente, quello terrestre, proprio dopo l’evento funesto, quello che avrà provato ad espellere l’essere umano dal consesso vitale.

Per nostra fortuna però il pianeta, o quella che cent’anni fa avremmo chiamato natura, non funziona per negazione, funzione delegata alla pura logica umana, troppo umana, come Platone già ben descriveva; e la traiettoria di pensiero che ci porta a pensarci ancora come importanti alla vita (in fondo, l’umano si arroga il diritto di essere l’unico essere capace di riconoscerla) non è l’unica capace di pensare un futuro già presente, e più che concentrarci sulla costruzione di futuri – rubati o spariti che siano – possiamo ricordarci di essere ancora capaci di agire nel presente, e pensare è una delle categorie dell’agire.

Rifiutare il pensiero illuminista-progressista in toto, che ancora ci porta a tracciarci come tutti presenti e tutti verso lo stesso tempo, non significa però abbracciare la via reazionaria del tentativo di rallentamento, con tentativi di politiche ecologiche incapaci di affrontare il problema, enorme e catastrofico, che stiamo vivendo; esistono infatti ancora altre vie di pensiero, innumerevoli, ciascuna per ciascun pensante, se si vuole per di più sposare anche una posizione materialista, capace di esplodere il paradigma senza però renderlo atomico.

L’Ecologia del possibile (prefazione di Ubaldo Fadini, ombre corte, 2021) di cui ci parla Gianluca De Fazio è, in effetti, un tentativo di tracciare strategie attraverso le linee, vitali e di pensiero, già esplose: l’autore ci presenta sette mappe di pensiero, ciascuna delle quali non pretende di esaurire il reale, quanto piuttosto richiede di essere incrociata alle altre, sia che siano presenti in questo volume, che quelle già tracciate, qualunque sia stato il loro intento. Perché proprio abbandonando il piano inesplicabile dell’intenzione possiamo capire la funzionalità delle mappe, e i continui riferimenti a Merlau-Ponty e De Castro che attraversano i saggi servono da indici per riscontrarne l’ontologia fenomenologica e antropologica, in cui l’azione è necessariamente politica, e in cui emerge sempre più lucidamente come non è in atto una guerra fra l’essere umano e il suo catastrofico destino, quanto fra il destino di pochi e il destino di chiunque.

La catastrofe inevitabile sempre stata inscritta nel destino che l’essere umano si è tracciato da solo nel momento in cui ha concepito la propria identità, sempre in atto per chi ha precluso la possibilità di ritracciarlo. Un’ecologia politica propone all’umano proprio di ripensare tale identità, ripensarla a cominciare dalla propria posizione e compiere uno scarto laterale, forzare Kant a non avere giudizi sintetici a priori, e trovare altri tempi e altri spazi.

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Codice Rosso
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il manifesto – 11.06.2021
L’intuizione del pensiero filosofico all’ascolto del vivente

SAGGI. «Ecologie del possibile», un libro di Gianluca De Fazio edito da ombre corte
di Giovanna Ferrara

Con grande lungimiranza, tutto, nel libro di Gianluca De Fazio, Ecologie del possibile. Razionalità, esistenza, amicizia, prefazione di Ubaldo Fadini (ombre corte, pp. 113, euro 10), parte da una ridefinizione dell’Altro, del suo posto in relazione a un noi sotto recinzione. Il tema è epocale: le macerie della inerzia delle passioni germogliative, cominciando dall’amicizia, sono ovunque e ci soffocano. Ci mancano le parole e le idee, perché sentiamo assordanti il piagnisteo dell’assenza di vie di fuga. Le premesse, qui, sono nitide: senza amici non si può fare ecosofia; l’ecologia filosofica non si muove se non a partire dalla tutela di una finalità senza scopo che spetta a ogni atto di creazione; la creazione è sempre abitare un margine di gioco.

IN QUESTO LAVORO, agile ma profondo, si mette al bando l’idea che la corretta allocazione della relazione noi/mondo, noi/natura, noi/altro sia un processo banale e non la sfida, enorme, di decostruzione di posture e ricostruzione di pratiche che ci appare. Il libro scandaglia quel che di fecondo c’è sempre nelle intuizioni del duo della filosofia splendente, Deleuze-Guattari, riapre gli occhi alla indicibile dolcezza di Merleau-Ponty, riporta sulle spiagge di questa passeggiata le sontuose fughe nell’indetto di Wittgenstein e tratta con la letteratura scientifica, che, tra antropologia ed ecosofia, interroga il presente.

SNOBBA L’APOCALISSE, che presta il suo fianco mortifero agli inoperosi del possibile, e ci restituisce, con grande garbo, la memoria della trama affettiva delle istituzioni, che sono sempre architettura costruite «con intelligenza, con stupidità», e con immaginazione, che viene ricondotta ad essere la parte che lega l’anelito razionale e quello istintuale. Nessun campo è il male di per sé, semplicemente perché nessun campo è slegato. Questa interdipendenza viene affermata indomitamente da più lati e ci allontana dai pericolosi dualismi. Sono quelli che mascherano l’impossibilità di pensare se non per opposizioni, che vedono tutto in termini di rivalità, che fanno della rivalità la lingua delle cose. Io o l’altro significa, ci dice De Fazio, disertare il «chiasma» che abbiamo ereditato dallo sguardo Merleau-Ponty sulla inestricabile e ambivalente natura delle cose.

Che non attraversa solo il fuori, ma che divide prima di tutto noi stessi, che rimaniamo divisi, o, per dirla meglio, rimaniamo chiasticamente divisi e uniti a noi e chiasticamente divisi e uniti al mondo. «Il fuori – scrive – è ciò che conduce alla disperazione, al terrore, allo straniamento. Questa tristezza, per riprendere un gergo spinoziano, ha come contraltare una concezione paternalistica del dentro, dell’interiorità. Il corrispettivo dello straniamento è una concezione missionaria della relazione con il fuori. Il fuori è qualcosa che deve essere salvato».

C’È, IN QUESTO PASSAGGIO del libro di De Fazio, una dichiarazione importante. Si tratta della mai scontata messa in guardia dal terrorismo della morale. Un tranello potenzialmente offensivo e facilmente azionabile quando si parla di uomo e natura al tempo della pandemia annunciata e ignorata dalle ragioni del capitale. Ripercorrendo Umanismo e terrore di Merleau-Ponty, De Fazio ci ricorda che «l’umanismo diviene terroristico nel momento in cui non vi è più spazio per la contingenza e l’ambiguità, quando l’umano è stato predeterminato a priori ed è giudicato a partire dalle categorie del pensiero invece che compreso nella sua situazione. Un umanismo senza margini di gioco è un umanismo del terrore che ha cessato di essere forza trasformatrice per diventare una politica morale dell’adeguamento a un dover essere che è stato deciso in partenza».

È certo che nell’avventura del possibile non ci andremo leggeri se ci andremo oppressi nel cuore e nella mente, se vedremo nel cielo stellato non qualcosa di cui godere ma qualcosa di cui patire. È certo, come ci avverte con acume De Fazio, che l’avventura come sfondo va sottratta all’uso monopolistico che ne fa la retorica dell’impresa: gli affari sembrano essere l’unica giungla dove si è legittimati a rischiare. È certo che l’ontologia della differenza non merita di essere imbalsamata in una cantilena scontata.

È, INVECE, NECESSARIO riabilitarla a ogni passo, per sentirla sempre tremante e viva. Ed è certo che solo partendo, per l’appunto, alla volta di una avventura, senza troppi pesi e senza sapere già con esattezza quello che cosa ci attende, che potremmo essere sorpresi da un nuovo altro, da un nuovo noi, da un nuovo insieme. E da un nuovo possibile. Per poterci sentire noi stessi cielo stellato.

UN ASSAGGIO

Indice

7 Prefazione. L’ecologia in cammino
di Ubaldo Fadini

13 Premessa

15 1. Prolegomeni a una ecologia del possibile
24 2. Una noologia dal punto di vista pragmatico
39 3. Architettonica delle condizioni di esercizio
56 4. L’immaginazione come facoltà avventurosa
68 5. L’umano e l’avversità
81 6. Appunti etno-ecologici sull’ontologia
104 7. Del nostro essere eventuali


 

Prefazione
di Ubaldo Fadini

Se c’è un motivo, tra i tanti significativi, che colpisce in questo testo di Gianluca De Fazio è quello di fare dell’ecologia un discorso – di ripresa del valore – del possibile, di collegare cioè ad essa pratiche di esistenza “aperta”, di articolazione differente, di relazionalità plastica, di ricerca di un altro corrispondere con il mondo: in definitiva, di livelli ontologici più avanzati rispetto a quelli attuali. In questo senso, viene pure ripresa produttivamente la lezione guattariana delle “tre ecologie”, che presuppone poi l’accettazione anche di segno etico delle alterità, delle diversità, rivolta a sottolineare la possibilità concreta di collegare tra loro l’ecologia ambientale, l’ecologia mentale e quella politica sulla base dell’assunzione che ogni ricerca su un problema ambientale postula “lo sviluppo di universi di valore e di conseguenza un impegno etico-politico”.
De Fazio prende di petto i sistemi odierni di valorizzazione, sempre insistendo sulla necessità della loro trasformazione radicale. È così che la riflessione si articola soprattutto con quella bussola il cui ago si orienta spontaneamente “a nord del futuro”, per dirla con Paul Celan, cioè attraverso il recupero di un’idea di utopia non irrigidita e/o consegnata comunque a un ennesimo destino di super-codificazione. In tale ottica, l’autore si rapporta alla dimensione della “finitezza esistenziale”, per riprendere ancora Guattari, mettendo al centro – relativamente – della sua indagine la pratica degli incontri e degli affetti, apprezzandone la valenza compositiva (e non solo) vista la caratterizzazione critica di quest’ultima, indicativa quindi di tensioni, urgenze, contraddittorietà che in essa appunto si esprimono. Il problema è sempre quello – ma oggi ancor più del solito particolarmente pressante – di come vivere nel “mondo”, di ciò che richiede conoscenze e altri talenti specifici capaci di alimentare condotte, pratiche, esperienze plurime con il sovrappiù dell’immaginazione e del suo tradursi in “fantasticazioni” (Gianni Celati). E alla base di tutto questo c’è anche la riproposizione della questione del soggetto, delle linee di soggettivazione, nel senso di riuscire a capirne le ragioni parziali di effettuazione in una realtà che appare sempre più “rugosa”, come scrive il poeta delle “suole di vento”, il Rimbaud così raffigurato da Paul Verlaine, ed è qui che entra in scena il particolare complesso di posizioni teoriche della ricerca filosofica che viene messo a valore nel confronto con la questione che preme a De Fazio: spicca, tra tali posizioni, quella di Merleau-Ponty, soprattutto nell’attenzione dedicata a quel rapporto tra etica e ontologia che rileva l’essenzialità della relazione. È proprio il motivo della relazione che consente di dare ancora più sostanza all’idea di una ecologia del soggetto che lo coglie come un insieme di potenzialità, tale cioè da non poter mettere in piedi, nei suoi confronti, delle operazioni di riduzione, di semplificazione brutale, del carattere di variazione continua del suo esistere. Le variazioni sono proprio ciò che restituisce il valore dell’inerire corporale nel rapporto di corrispondenza con l’ambiente e in definitiva con le alterità, con tutto quello che conferisce maggiore valore alle potenzialità che si esprimono sempre in modalità limitate, spazialmente e temporalmente determinate.
Certamente a me verrebbe immediatamente da richiamare altri piani del pensiero filosofico moderno e contemporaneo, comunque fortemente segnati dalle vicende ricche di significati della stagione di apertura dell’impresa fenomenologica, nel momento in cui si porta l’attenzione sui concetti di ambiente, di natura (anche umana…), di relazione, di limite: ad esempio, l’antropologia filosofica moderna, con la sua non banale appropriazione della “teoria dell’ambiente”, della Umwelt, delineata da Jakob von Uexküll, che non colloca la natura “dalla parte vecchia” (Ernst Bloch) e la svincola così dalla presa delle filosofie della storia d’impronta monodirezionale proprio in virtù di un rivolgersi netto, senza incertezze, verso la dimensione dell’esistere e, più in generale, del “mondo della vita”. È Max Scheler a far leva, in prima approssimazione, sui concetti di Umwelt e di Welt (mondo) in termini tali da riconoscere all’uomo la sua specifica facoltà di sospendere (in una chiave che rimanda evidentemente alla fenomenologia) il flusso vitale, la stessa relazione percettivo-sensoriale alla realtà presente. Attraverso una vera e propria presa di distanza, che corrisponde alla capacità di oggettivare, l’essere umano arriva così a poter conoscere il mondo e a ritornare produttivamente su stesso in virtù di una temporanea disattivazione di ciò che altrimenti lo coinvolgerebbe pienamente in relazioni immediate, date una volta per tutte. Mentre l’essere animale coglie soltanto ciò che gli è dato all’interno del suo mondo circostante, della sua Umwelt, l’apertura al mondo assicura all’essere umano l’accesso all’oggettività del reale, garantisce l’accoglimento dell’oggetto (che mancherebbe invece all’animale, non fornito di un mondo-realtà e legato dunque ad un fantasmatico mondo che risulta sempre proprio). Questo quadro di indicazioni, in riferimento a von Uexküll, è rintracciabile in Helmuth Plessner (che comunque muove la sua indagine in modo autonomo da Scheler) e in Arnold Gehlen, ovviamente con tutte le differenze del caso, in un senso che tende a sottolineare il carattere particolare della “posizione” dell’essere umano nel mondo, della sua “posizionalità”, nel suo risultare “speciale”, originale, in vista dell’articolazione di una vicenda vitale complessivamente varia e capace di arricchimento di contenuti essenziali, in grado di sostenere lo slancio, la spinta verso una un’alterità, qualcosa cioè di radicalmente differente dall’immediato e che si può raffigurare nell’immagine plessneriana del “luogo utopico”.

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