Descrizione
Laurent de Sutter
Deleuze e la pratica del diritto
Postfazione di Sandro Chignola
Traduzione di Lorenzo Rustighi
CLa filosofia di Gilles Deleuze si è sviluppata in un continuo confronto con il fuori, con l’altro da sé che di volta in volta ha assunto i tratti del cinema, della psicoanalisi, della scienza, della politica, della letteratura. Più sotterranea è invece la sua relazione con il diritto, portata sapientemente alla luce da questo lavoro di Laurent de Sutter. L’ipotesi è quella che dall’opera deleuziana emerga una vera e propria filosofia del diritto, in cui alla giurisprudenza viene affidato il ruolo di dispositivo di collegamento fra diritto e filosofia. “La giurisprudenza – dice Deleuze – è la filosofia del diritto, e procede per singolarità, prolungamenti di singolarità”. La sua caratteristica è quella di stabilire rapporti innovativi sulla base dell’autonomia dei soggetti e del loro agire pratico. È una operazione “disgiuntiva” che smonta la logica “congiuntiva” della legge, il trascendentale al quale vanno in anticipo riferite e ricondotte le azioni. In un’epoca come la nostra, segnata dalla crisi degli ordinamenti, della legge, delle sue fonti, la prospettiva elaborata da Deleuze fornisce strumenti indispensabili per ripensare il diritto, considerandolo non come una mera codificazione di norme e sanzioni sancite dal potere sovrano, ma come una pratica di invenzione, di associazione, di costruzione di relazioni.
Laurent de Sutter è Professore di Teoria del Diritto presso la Vrije Universiteit di Bruxelles. Dirige le collane “Perspectives critiques” per Presses Universitaires de France e “Theory Redux” per Polity Press. È autore di diversi saggi, tra cui: Poétique de la police (2017) e Après la loi (2018). Tradotti in italiano: Metafisica della puttana (Giometti & Antonello, 2017), Teoria del kamikaze (il melangolo, 2017).
Rassegna stampa
il manifesto – 10 dicembre 2011
di Giso Amendola
Il diritto come strumento del potere costituito. È stato questo il leit motiv che ha accompagnato lacritica al suo ruolo nella modernità. Recentemente si sono fatte però strada riflessioni dove laproduzione delle norme può essere liberata del suo carattere oppressivo della realtà sociale. Unpercorso di lettura a partire dal volume di Laurent de Sutter «Deleuze e la pratica del diritto»
LE FABBRICHE DELLA TRISTE LEGGE
Giso Amendola
I movimenti sociali hanno sottoposto a critica da lungo tempo ogni fiducia ingenua nel diritto comestrumento di limite al potere e di emancipazione. La critica femminista ha messo in luce la naturasempre sessuata della norma giuridica, la critical race theory ne ha studiato il razzismo implicito, icritical legal studies continuano a scavare nel lato oscuro del discorso giuridico. Lavori preziosi inquesto momento politico, in cui le retoriche della legalità rischiano di penetrare anche all’interno deisettori più critici della società. Altrettanto chiaramente, però, si avverte l’insufficienza del lavorosemplicemente «critico»: i movimenti dei beni comuni, per esempio, ricercano anche la possibilitàdi un uso creativo e sperimentale del diritto. È molto interessante, in questo quadro, ricordare cheproprio Gilles Deleuze, il pensatore sempre associato a una strenua e creativa opposizione a ogni«legalità», filosofica, pscicanalitica o giuridica, in nome dell’irriducibilie singolarità della vita, sisentisse una sorta di «giurista mancato». Lo confessa a Claire Parnet, nell’Abecedario (i due dvdsono editi in Italia da DeriveApprodi), e proprio nella «politicissima» voce Gauche: «se non avessifatto filosofia, avrei fatto diritto».Giunge quindi a proposito l’edizione italiana di un importante lavoro, uscito in Francia un paiod’anni fa, di Laurent de Sutter (Deleuze e la pratica del diritto, ombre corte, pp. 103, euro 12, con una postfazione di Sandro Chignola e la traduzione di Lorenzo Rustighi). De Sutter prosegue conquesto testo una serie di indagini, che hanno in Bruno Latour e in Isabelle Stengers i principaliriferimenti, alla scoperta della «pratica» del diritto: le operazioni che avvengono nelle «fabbriche»giuridiche, non sono applicazioni o interpretazioni di norme, ma vanno indagate come unaconcatenazione di rapporti, una «lenta ruminazione» di invenzioni che non hanno alcuna«illuminazione» trascendente, nessuna luce del Bene o del Meglio che attribuisca loro un qualchesenso dall’esterno.L’arte della superficieÈ proprio questa diffidenza della giurisprudenza per ogni fondazione ad attirare l’interesse diDeleuze per il diritto. Un interesse per nulla marginale, mosso dalla stessa domanda dell’ultimo suolibro con Felix Guattari, Che cos’è la filosofia. L’irruzione del diritto nel campo della filosofiacolloca infatti quest’ultima davanti a un bivio cruciale: la scelta tra un pensiero critico della Legge euna clinica pragmatica del Giudizio. Il saggio di de Sutter segue il pensiero deleuziano esattamentelungo questo percorso. Il primo movimento è quello della critica della Legge. Sia l’immagineclassica della legge, quella platonica, che la vede come rappresentazione del Bene, sia la nuovapretesa, moderna e kantiana, di tagliar corto con ogni fondamento sostanziale e di reggersi solosulla pura forma e sulla procedura, hanno qualcosa di irriducibilmente comico.Già i discepoli di Socrate ridono, davanti a una legge che, in nome del Bene, chiede a Socrate diaccettare la condanna, e che, promettendo sempre il Meglio per gli uomini, finisce ogni volta perrealizzare il peggio del peggio. Ma anche l’immagine moderna della legge, la sua infondatezza, sirivela comica. Se Sade, nel proclamare il Male come autentica fondazione, si muove ancora dentroun tono ironico, che rivela la nostalgia per quel fondamento che vorrebbe distruggere, Sacher-Masoch mostrerà come basti applicarla con dettagliata meticolosità, perché la legge si metta a giraresu se stessa ed esibisca il proprio clamoroso effetto umoristico: ne viene fuori sempre esattamente
tutto l’opposto di quello che ci si attendeva. Nell’umorismo di Sacher-Masoch «non c’è alcuntentativo di fare della legge qualcosa di diverso da ciò che essa è». La critica della legge deleuzianaè tutta iscritta in quell’«arte delle superfici» che è l’umorismo, non la anima nessuna nostalgia delprofondo, non fa cenno a nessuna inattingibile mancanza. E soprattutto – de Sutter lo sottolineaabilmente, confrontando il Kafka di Deleuze con l’interpretazione che ne offrì a suo tempo MassimoCacciari – non c’è nessun tono tragico: la mancanza di fondamento di una legge che pretenderebbedi autofondarsi va esibita con una risata, e poi bisogna passar oltre: nonsense ben più che tragedia.L’incanto decisionisticoQuesto antitragicismo di Deleuze ha evidenti significati politici: mentre una critica «tragica»dell’infondatezza della legge moderna rischia di paralizzarsi a contemplare nichilisticamente ilvuoto su cui ogni decisione si fonda, la critica «umoristica» permette di sfuggire ad ogni incanto«decisionistico», e soprattutto, apre la possibilità di non considerare invalicabile l’orizzonte dellacritica stessa. Il movimento negativo della critica del pensiero della legge diventa condizione di unapositiva clinica della pratica del diritto. «Dal momento che, come risulta dalla sua critica – scrive deSutter – la legge non è in grado di reggersi sulle sue gambe e crolla continuamente su se stessa, èlogico pensare che qualche cosa del diritto debba persistere al fondo dell’ignominiacontemporanea». La giurisprudenza ha la capacità di disgiungere il diritto dalla legge, e diprocedere «per singolarità, prolungamenti di singolarità». Realizza un orizzonte pragmatico, chefunziona per «connessioni rivoluzionarie» contro le «coniugazioni dell’assiomatica». Coincidenzadi giurisprudenza e filosofia, ragionamento per precedenti ed empirismo trascendentale. È questol’esito del percorso di de Sutter: trovare la filosofia attraverso la pratica del diritto, e liberareentrambe dalle prigioni del pensiero della legge e del giudizio.Eccedenti alla leggeQuesta rivendicazione di filosoficità della pratica del diritto potrebbe risultare al lettore piuttostoinnocua sul piano politico, così come la liberazione di una immanenza tutta filosofica puòsicuramente risultare come una salutare boccata d’aria per il pensiero, ma in fondo marginalerispetto alla concretezza delle lotte. Ma le pagine dedicate alle analisi deleuziane sulla società delcontrollo pongono questioni ulteriori, che spostano questi temi su terreni decisamente più ruvidi.Vi richiama l’attenzione la postfazione di Sandro Chignola: dietro la capacità della giurisprudenza diinventare una clinica delle connessioni, ben oltre la semplice critica della legge, c’è in realtà laconcretissima crisi dei dispositivi di disciplina e di controllo. È proprio la mobilità della societàpostdisciplinare a mettere fuori gioco qualsiasi pensiero della legge, e a spingere fuori tempomassimo qualsiasi «semplice» esercizio critico. Ma, se questo è vero, dietro al pragmatismo dellagiurisprudenza deleuziana, intravediamo in realtà il movimento delle eccedenze soggettive, dellepratiche che la società del controllo prova a contenere, ma rispetto alle quali si svela sempre piùparassitaria. È da queste eccedenze che una giurisprudenza libera dalla legge e dalla sovranità èattraversata: ma allora la questione cruciale, dietro alla capacità di connettere casi e topoi, saràquella di immaginare una giurisprudenza che sappia aiutare a connettere piuttosto i processi disoggettivazione, a costruire dispositivi di liberazione del lavoro vivo dalle griglie del controllo.Deleuze era molto interessato a immaginare istituzioni che fossero espressione della capacitàinventiva e immaginativa della vita, istituzioni oltre la legge, e oltre quel triste pensiero, che hacondizionato tutta la modernità, da Hobbes in poi, per cui le istituzioni sarebbero solo un necessariorimedio per la miseria costitutiva della situazione umana (i suoi primi lavori, dall’introduzioneall’antologia su Istinti e istituzioni al libro su Hume Emprirismo e soggettività, sono un laboratorioancora poco esplorato per un istituzionalismo alternativo a quello sviluppatosi all’interno delpensiero giuridico tradizionale). E oggi, nella crisi, proprio quando il pensiero delle istituzioni«legali» si rivela sempre più esplicitamente fondato su un triste giudizio sulla vita, ridotta a debito ecolpa, la forza della cooperazione sociale, la sua possibilità di liberarsi dallo sfruttamento perpetuoal quale le politiche dell’austerità e del rigore vorrebbero condannarla, si misureranno proprio sullacapacità di creare istituzioni irriducibili a questa «legalità» dell’eterna riproduzione delladipendenza.Immaginazione costituente
Le soggettività che lottano per sottrarsi ai dispositivi del comando finanziario sanno bene che dallaLegge non possono più aspettarsi nulla; ma neanche dalla tradizionale critica del diritto, spessobloccata al momento decostruttivo, timida davanti a sfide costituenti. Al contrario, oggi la ricerca diuna pratica altra del diritto può attingere, in produttiva risonanza con i processi reali, a laboratoriche mettono al centro la ricchezza e la gioia, e non la miseria, del vivere insieme, e lì radicare la suaimmaginazione istituente.Le linee di ricerca di economisti e filosofi che indagano sulla società del debito (solo per portareesempi, le riflessioni di Christian Marazzi e Maurizio Lazzarato), i giuristi che leggono i benicomuni (al plurale) come spazio oltre il pubblico e privato (il percorso che va tracciando UgoMattei), la riflessione sul comune (al singolare) come ricchezza e potenza della cooperazionesociale (sulla quale insistono Michael Hardt e Antonio Negri), spingono tutte, finalmente, oltre ilpensiero moderno del diritto come dispositivo di ordine, che salva e redime una società povera emisera, per cominciare a pensare le modalità di organizzazione autonoma di quella ricchezza socialee cooperativa. Un possibile buon uso «clinico» di una giurisprudenza inventiva e creatrice, «oltre lalegge», può essere uno degli strumenti per la creazione di quelle connessioni costituenti trasoggettività eccedenti, cui guardano tutti questi stili di pensiero, oltre il comico esaurirsi della leggesovrana e il reciproco insterilirsi del semplice discorso critico.
ScaffaliLA CRITICA ALLA SOCIETÀ DEL CONTROLLO
Laurent de Sutter è un ricercatore che ha lungo collaborato con Bruno Latour e Isabelle Stengersattorno allo statuto della filosofia del diritto e le pratiche scientifiche. Negli ultimi anni, tuttavia, ilsuo percorso teorico ha scelto anche di seguire altri sentieri. È del 2007, infatti, il saggio«Pornostars. Fragments d’une métaphysique du X» (La Musardine), all’interno del quale ladimensione della pornografia viene contestualizzata criticamente nelle pratiche di controllo delcorpo, giungendo però alla provocatoria tesi che la pornografia può essere cambiata di segno perdiventare una pratica della liberazione. In altri termini, mentre la pornografia è sì dispositivo dicontrollo della sessualità, può manifestarsi anche come critica della sessualità maschile dominante.Tesi che viene ripresa e approfondita anche nel saggio «Contre l’érotisme» ( La Musardine, 2011).Altrettanto provocatorio è il saggio «De l’indifférence à la politique» (Puf, 2008), dove Laurent DeDutter analizza sì la disaffezione alla politica, ma rintracciando in alcune pratiche sociali soprattuttola lontananza dalla pratiche politiche istituzionali incardinata in una critica della società delcontrollo. Il libro invece su «Deleuze. La pratica del diritto» nasce invece sulla rinnovata attenzioneverso gli scritti Deleuze attorno al rapporto tra norma e legge, alla luce anche di alcune esperienzedi critica del diritto e di sviluppo di norme alternative a quelle dominanti che tuttavia definiscono leregole attinenti a specifiche forme di vita.
UN ASSAGGIO
Introduzione
– Autismo. Il presente lavoro è un’esposizione delle principali articolazioni che costituiscono la filosofia del diritto di Gilles Deleuze. A dispetto delle apparenze, infatti, nelle sue opere esiste un sistema coerente di filosofia del diritto, che si presenta come una rigorosa estensione delle conseguenze derivanti dall’enunciazione di due tesi. La prima ne costituisce la componente critica, e si trova in Il freddo e il crudele. Essa è enunciata come segue: “Vi è sempre stato un solo modo di pensare la legge, una comicità del pensiero, fatta d’ironia e d’umorismo”. La seconda tesi, che rappresenta invece la componente clinica del sistema, si trova in una conversazione con Raymond Bellour e François Ewald, ora raccolta in Pourparler. Qui Deleuze afferma: “La giurisprudenza è la filosofia del diritto, e procede per singolarità, prolungamenti di singolarità”. Diversamente dai campi delle scienze, del cinema o del marketing, nell’opera di Deleuze il diritto è preso in considerazione solo a partire dalle conseguenze che derivano da queste due tesi. La cosa potrà sorprendere, a meno che non si riconosca che il sistema di filosofia del diritto elaborato da Deleuze è caratterizzato soprattutto dalla sua autonomia, se non addirittura dal suo autismo. Poiché non esprime nient’altro che il suo stesso dispiegamento, il diritto marca l’esistenza di una frontiera tra il suo territorio più proprio e quello della filosofia. Si dà una filosofia del diritto in Deleuze proprio perché il diritto non trova posto nella sua filosofia.
2 – Biografia. Jacques Rancière ha sostenuto di recente che non esiste alcuna filosofia del cinema in Deleuze. “Non penso che la filosofia sia filosofia di qualcosa – spiega –. La filosofia è sempre un discorso tra qualcosa e qualcos’altro […]. Non credo affatto, per esempio, che Deleuze faccia una filosofia del cinema. Fa una teoria dell’immagine-movimento e dell’immagine-tempo. Propone una metafisica che passa attraverso il cinema”. Confrontandosi con il cinema, la pittura o la letteratura, Deleuze, dunque, torna sempre alla filosofia: essa resta l’unica meta dei suoi diversi lavori. Che il cinema, le scienze o la stessa politica possano trarne un insegnamento, non fa parte delle sue preoccupazioni. Perché dovrebbe essere diverso per il diritto? Forse perché esiste, in Deleuze, un requisito indispensabile per il suo ingresso in filosofia, un’esitazione che potrebbe essersi cristallizzata in una rigorosa distinzione tra i due campi. “Mi ha sempre appassionato la giurisprudenza, il diritto” – confessa a Claire Parnet in un’intervista filmata. “Se non avessi fatto filosofia avrei fatto diritto”. Occuparsi di filosofia, per Deleuze, significava innanzitutto allontanarsi dal diritto, senza poterne poi ritrovare la strada. Come se all’investigazione filosofica il diritto opponesse un divieto di accesso.