Descrizione
Roberto Barbanti
Chimere dell’arte.
Guerra estetica, ultramedialità e arte genetica
l modo di produzione materiale e simbolico attuale opera sul vivente tramite processi di controllo e dinamiche incontrollabili. Al controllo delle vite, degli affetti e dei percetti dovuto alle tecnologie di captazione-localizzazione, riproduzione e produzione d’immagini di ogni natura e sorta, corrisponde il non-controllo di un mondo che sfugge a qualsiasi orientamento “sensato” (molecole di sintesi, nanotecnologie, Ogni, radiazioni atomiche, frequenze elettromagnetiche…). In tale contesto la dimensione estetica, cioè l’universo del sentire, diviene una posta in gioco capitale. Ciononostante, l’arte sembra ritrarsi nel suo mondo. Asservita alle sirene di un ego sovradimensionato, a un mercato istituzionalizzato e nuovo bene rifugio, così come a un’autoreferenzialità patogena, essa produce chimere: fantasticherie e illusioni, ma anche opere transgeniche viventi. L’esigenza di una nuova est-Etica capace di affrontare consapevolmente le poste in gioco sensibili, sociali e ambientali del presente, appare ineludibile.
Roberto Barbanti è professore presso il dipartimento di Arti visive dell’Università Parigi 8. Le sue ricerche vertono sulle “Nuove modalità delle arti contemporanee” e in particolare sul rapporto tra queste e l’ecosofia. È membro del comitato scientifico della casa editrice francese Eterotopia France. Fra le sue ultime pubblicazioni Ultramedialità e divenire dell’arte. Il medium oltre se stesso (Kayak, 2017) e, in codirezione, Musique et écologies du son. Propositions théoriques pour une écoute du monde (2016), Les limites du vivant. À la lisière de l’art, de la philosophie et des sciences de la nature (2016), Sonorités (2017).
UN ASSAGGIO
Introduzione
L’opposizione tra natura e cultura è stata ampiamente rivisitata durante tutto il xx secolo. Dalle concezioni pre-moderne, per le quali simbolico e naturale si danno in un movimento unico e solidale del pensiero, fino all’approccio postmoderno, che critica l’essenzialismo naturalista identificandolo al dogmatismo delle grandi narrazioni, questa dicotomia è stata, in maniera esplicita o implicita, costantemente al centro del pensiero, delle ideologie e delle pratiche sociali di questo periodo storico.
Ai suoi albori, in modo particolare nel futurismo trionfante dello sviluppo delle forze produttive laddove esse prendono le sembianze monumentali del contadino-proletario proteso, falce e martello alla mano, verso l’orizzonte luminoso del futuro: dominatore ultimo, con l’elettrificazione nascente, delle forze naturali ribelli all’acciaio sovietico.
O ancora la purezza tutta naturale e archetipica del padre di famiglia ariano che vuole imporre, con diligenza e pratiche di annientamento, la sua eccezionalità razziale al resto dell’umanità.
In seguito, nella sua seconda metà, quando la critica della Modernità e della sua visione monodimensionale della storia, la linearità del Progresso, s’inchina davanti alla concezione disinvolta e seducente di un relativismo totalizzante. Il termine natura sembra dover scomparire: troppo “denso” e compatto per essere tenuto in considerazione nelle trasparenze postmoderne. Un dileguamento che l’imporsi planetario della tecnoscienza accresce. Nuova condivisa fede, la tecnica ci protegge e ci potenzia nella sua operosità e la scienza fornisce fatti oggettivabili e brevettabili. Le elucubrazioni sul mondo naturale appaiono allora essenzialmente epifenomeniche e antieconomiche. Perché attardarvisi? La salvezza è nelle nostre mani, l’homo faber-economicus si inorgoglisce. La natura non esiste, non è altro che un’idea, un’astrazione, una concezione tutta storica che cambia con i tempi e che non ha nessuna sostanza propria. Nessun dato, solo fatto.
Eppure, riportata in auge dall’attualità della rovina, la natura nonostante tutto perdura e si accanisce. Demenza e infertilità degli umani, estinzione delle specie, guastarsi del mondo. Quanto nasce e svanisce da sé si altera nel confrontarsi all’imperio dell’Anthropos.