Descrizione
Elisa Ortolani
Politiche dell’antispecismo
Superare lo specismo con un approccio intersezionale
“Questo lavoro – spiega l’autrice – nasce dall’esigenza di ripercorrere in modo più esauriente possibile la storia filosofica e materiale dello specismo e delle relative risposte antispeciste, con particolare attenzione all’intersezionalità come strumento di analisi e superamento delle strutture oppressive”. Attraverso uno sguardo critico, il libro esplora l’idea, costruita sulla netta separazione tra umano e non umano, di animalità delle società occidentali e analizza le teorie antispeciste classiche e contemporanee alla luce delle riflessioni del femminismo intersezionale. A partire dalle femministe che hanno abbracciato l’antispecismo, si indagano le connessioni fra corpi animalizzati, corpi femminizzati, corpi disabilitati, corpi queer e corpi razzializzati, mostrando come le diverse forme di oppressione condividano una matrice comune, che richiedono altrettante forme di resistenza comuni. Attraverso le voci di bell hooks, Val Plumwood, Carol J. Adams, Aph e Syl Ko, Sunaura Taylor, Rasmus Simonsen e tante altre pensatrici, l’autrice affronta il problema della frammentazione dell’attivismo, rivendicando un femminismo antispecista e un antispecismo transfemminista.
L’indicazione è quindi che l’attivismo antispecista si intrecci con le lotte contro altre forme di oppressione, promuovendo un approccio che valorizzi la complessità delle vite umane e non umane. In questo senso si impone la necessità di costruire alleanze tra i diversi movimenti sociali: non per perseguire una semplice uguaglianza formale, ma per rivendicare protezione e libera esistenza delle molteplici forme di vita che abitano il mondo.
Elisa Ortolani ha studiato all’Alma Mater Studiorum di Bologna, conseguendo la laurea in Letterature comparate con una tesi sul fiabesco in Calvino. Presso lo stesso Ateneo, si è poi laureata anche in Informazione, culture e organizzazione dei media. È giornalista pubblicista e ha lavorato in diversi ambiti della comunicazione. Da qualche anno è anche Educatrice cinofila con approccio cognitivo-zooantropologico.
UN ASSAGGIO
Indice
7 Introduzione
13 Capitolo primo. Tracciare il confine
1. Definizioni e storia: specismo, antropocentrismo, intersezionalità; 2. L’animalità e la specie come costrutto sociale; 3. Eredità del pensiero occidentale
49 Capitolo secondo. Contestare il confine
1. Le teorie antispeciste “classiche”: l’utilitarismo di Singer e il giusnaturalismo di Regan; 2. L’“antispecismo politico” di Maurizi; 3. Il postumanesimo di Marchesini; 4. La questione animale secondo Calarco; 5. L’Olocausto animale
105 Capitolo terzo. Superare il confine con l’approccio intersezionale
1. Perché un approccio intersezionale; 2. Corpi femminizzati e cultura dello stupro; 3. Corpi disabilitati; 4. Corpi queer; 5 Corpi razzializzati e decolonizzazione
165 Conclusioni
Introduzione
Questo lavoro nasce dall’esigenza di ripercorrere in modo più esauriente possibile la storia filosofica e materiale dello specismo e delle relative risposte antispeciste, con una particolare attenzione all’intersezionalità come strumento di analisi e superamento delle strutture oppressive. Tanti sono gli argomenti toccati, e tanti altri avrebbero potuto essere discussi; la mia attenzione, necessariamente selettiva rispetto al vasto repertorio possibile di riflessioni e di materiali, si è concentrata su una tripartizione del lavoro per provare a restituire al meglio gli insegnamenti di chi, prima di me, si è occupata di antispecismo politico, e su scelte linguistiche ragionate.
La prima parte del primo capitolo è preliminare al resto del lavoro, e presenterà alcuni punti fondamentali che saranno poi sviscerati nel corso del testo. Vedremo una breve storia del termine “specismo” e dell’origine dell’intersezionalità come approccio alle questioni di giustizia sociale, e si chiarirà perché il focus del lavoro sia sulle società occidentali. Quindi, si procederà a problematizzare la questione dell’animalità come costrutto sociale prima ancora che come fatto biologico, per meglio comprendere perché e come le filosofe contemporanee abbiano insistito sull’importanza di denaturalizzare i privilegi per scardinare efficacemente le oppressioni. Lo scopo di questa impostazione intersezionale è proprio quello di denaturalizzare il confine fra animale umano e animale non umano, e con esso i discorsi e le pratiche che lo rendono possibile e lo perpetuano. La terza parte del primo capitolo ripercorre la storia di questo confine così com’è stato costruito e difeso in Occidente dalla filosofia. Il capitolo si conclude con un’incursione nelle più recenti visioni zooantropologiche che, forti dell’osservazione etologica, suggeriscono una maggior attenzione all’alterità; accenneremo, quindi, alle differenze di trattamento riservate a specie diverse e alle differenti forme di negazione dell’alterità stessa.
Il secondo capitolo si interessa invece di chi ha cercato di contestare il confine eretto fra umane e non umane, con focus iniziale sulle donne e sulle femministe che hanno fatto dell’antispecismo (ante litteram) e della sua pratica vegetariana un motivo di lotta, spesso intrecciandola con altre, come quella per il diritto di voto e per l’abolizione della schiavitù. Passeremo quindi in rassegna le teorie antispeciste “classiche” di Peter Singer e Tom Regan, contestandone dei punti, quando necessario, anche con l’aiuto di altre pensatrici, e vedremo alcuni testi successivi rivolti al grande pubblico, che hanno contribuito a creare una coscienza antispecista. Sarà poi la volta dell’“antispecismo politico” di Marco Maurizi, che alla base della sua opposizione alla società specista pone la critica al capitalismo e al sistema tutto, in quanto fondato sull’oppressione di alcuni gruppi da parte di altri. Il postumanesimo di Roberto Marchesini verrà poi analizzato per decostruire la mentalità umanistica che mette al centro del mondo l’essere umano e lo contrappone agli altri animali, dipingendolo come negazione dell’animalità stessa; andremo quindi a contestare lo stesso concetto occidentale di identità nato e sopravvissuto per secoli su queste fondamenta umanistiche, e a rifiutare l’elevazione dell’animale umano sul resto della cosiddetta natura: in questo modo, avremo delle ulteriori basi su cui poggiarci per mostrare la completezza della teoria femminista che contesta la concezione di individuo normato come uomo bianco cis-etero ecc. e quindi come essere umano. L’ultima sezione del capitolo è dedicata a quello che Isaac Singer e Charles Patterson chiamano “Olocausto animale”, mostrando come il trattamento post-fordista degli animali non umani negli allevamenti intensivi e nei laboratori di ricerca si fondi su basi oppressive simili a quelle che hanno portato alla Shoah nei campi di concentramento, andando oltre la semplice metafora e mostrandone tutti i punti di contatto linguistici, logistici, materiali, ideologici.
Il terzo e ultimo capitolo entra pienamente nel merito dell’intersezionalità, tornando a spiegare, approfondendola, la necessità di utilizzare questa impostazione, e chiarendo perché il femminismo debba essere antispecista e i movimenti antispecisti debbano essere femministi. Menzioneremo bell hooks e Audre Lorde, ma anche l’intersezionalità e l’attivismo di Marco Reggio e le origini dell’ecovegfemminismo di Val Plumwood, Greta Gaard e Marti Kheel. Consapevole del fatto che ogni questione si intreccia indissolubilmente con le altre, ho diviso il capitolo in quattro paragrafi per pura semplicità espositiva. Il primo tratta di corpi femminizzati e cultura dello stupro, dove il consenso di certi corpi viene violato e dove il consumo, metaforico, linguistico e letterale, di donne e non umane, si sovrappone. Il libro di riferimento è Carne da macello di Carol J. Adams, che si concentra sul dispositivo del “referente assente” che rafforza l’oppressione degli individui richiamando continuamente altre oppresse. Il secondo paragrafo tratta di corpi disabilitati, paternalismo e teoria della costruzione sociale della disabilità, nonché della comune origine di abilismo e specismo, che considerano come pienamente umani e quindi dignitosi solo corpi con determinate capacità e caratteristiche fisiche, penalizzando contemporaneamente disabilità umane e animali non umani. Per queste riflessioni ci baseremo principalmente sul testo Bestie da soma di Sunaura Taylor. Il paragrafo successivo si concentra sui corpi queer, sulla rivendicazione della mostruosità e sulla Creatura di Mary Shelley, sull’antiassimilazionismo, sul Manifesto Queer Vegan di Rasmus Simonsen e sul modo in cui lo stile di vita vegano come pratica antispecista abbia un ruolo straniante per la società normata, in un modo che l’autore ritiene simile a quanto accade per le persone queer. L’ultima sezione parla di corpi razzializzati e di decolonizzazione del pensiero, anche di quello antispecista, che tradizionalmente si presenta come bianco ed eurocentrico; le autrici di Afro-ismo, Aph e Syl Ko, propongono il veganismo nero e l’afrofuturismo per superare la razzializzazione dei corpi umani e non, e quindi lo specismo. Faremo allora cenno alle questioni della giustizia climatica e alimentare e ai diversi impatti dell’industria zootecnica e della crisi climatica su fasce diverse della popolazione, oltre che sulle altre specie.
Questo lavoro nasce dall’esigenza di ripercorrere in modo più esauriente possibile la storia filosofica e materiale dello specismo e delle relative risposte antispeciste, con una particolare attenzione all’intersezionalità come strumento di analisi e superamento delle strutture oppressive. Tanti sono gli argomenti toccati, e tanti altri avrebbero potuto essere discussi; la mia attenzione, necessariamente selettiva rispetto al vasto repertorio possibile di riflessioni e di materiali, si è concentrata su una tripartizione del lavoro per provare a restituire al meglio gli insegnamenti di chi, prima di me, si è occupata di antispecismo politico, e su scelte linguistiche ragionate.
La prima parte del primo capitolo è preliminare al resto del lavoro, e presenterà alcuni punti fondamentali che saranno poi sviscerati nel corso del testo. Vedremo una breve storia del termine “specismo” e dell’origine dell’intersezionalità come approccio alle questioni di giustizia sociale, e si chiarirà perché il focus del lavoro sia sulle società occidentali. Quindi, si procederà a problematizzare la questione dell’animalità come costrutto sociale prima ancora che come fatto biologico, per meglio comprendere perché e come le filosofe contemporanee abbiano insistito sull’importanza di denaturalizzare i privilegi per scardinare efficacemente le oppressioni. Lo scopo di questa impostazione intersezionale è proprio quello di denaturalizzare il confine fra animale umano e animale non umano, e con esso i discorsi e le pratiche che lo rendono possibile e lo perpetuano. La terza parte del primo capitolo ripercorre la storia di questo confine così com’è stato costruito e difeso in Occidente dalla filosofia. Il capitolo si conclude con un’incursione nelle più recenti visioni zooantropologiche che, forti dell’osservazione etologica, suggeriscono una maggior attenzione all’alterità; accenneremo, quindi, alle differenze di trattamento riservate a specie diverse e alle differenti forme di negazione dell’alterità stessa.
Il secondo capitolo si interessa invece di chi ha cercato di contestare il confine eretto fra umane e non umane, con focus iniziale sulle donne e sulle femministe che hanno fatto dell’antispecismo (ante litteram) e della sua pratica vegetariana un motivo di lotta, spesso intrecciandola con altre, come quella per il diritto di voto e per l’abolizione della schiavitù. Passeremo quindi in rassegna le teorie antispeciste “classiche” di Peter Singer e Tom Regan, contestandone dei punti, quando necessario, anche con l’aiuto di altre pensatrici, e vedremo alcuni testi successivi rivolti al grande pubblico, che hanno contribuito a creare una coscienza antispecista. Sarà poi la volta dell’“antispecismo politico” di Marco Maurizi, che alla base della sua opposizione alla società specista pone la critica al capitalismo e al sistema tutto, in quanto fondato sull’oppressione di alcuni gruppi da parte di altri. Il postumanesimo di Roberto Marchesini verrà poi analizzato per decostruire la mentalità umanistica che mette al centro del mondo l’essere umano e lo contrappone agli altri animali, dipingendolo come negazione dell’animalità stessa; andremo quindi a contestare lo stesso concetto occidentale di identità nato e sopravvissuto per secoli su queste fondamenta umanistiche, e a rifiutare l’elevazione dell’animale umano sul resto della cosiddetta natura: in questo modo, avremo delle ulteriori basi su cui poggiarci per mostrare la completezza della teoria femminista che contesta la concezione di individuo normato come uomo bianco cis-etero ecc. e quindi come essere umano. L’ultima sezione del capitolo è dedicata a quello che Isaac Singer e Charles Patterson chiamano “Olocausto animale”, mostrando come il trattamento post-fordista degli animali non umani negli allevamenti intensivi e nei laboratori di ricerca si fondi su basi oppressive simili a quelle che hanno portato alla Shoah nei campi di concentramento, andando oltre la semplice metafora e mostrandone tutti i punti di contatto linguistici, logistici, materiali, ideologici.
Il terzo e ultimo capitolo entra pienamente nel merito dell’intersezionalità, tornando a spiegare, approfondendola, la necessità di utilizzare questa impostazione, e chiarendo perché il femminismo debba essere antispecista e i movimenti antispecisti debbano essere femministi. Menzioneremo bell hooks e Audre Lorde, ma anche l’intersezionalità e l’attivismo di Marco Reggio e le origini dell’ecovegfemminismo di Val Plumwood, Greta Gaard e Marti Kheel. Consapevole del fatto che ogni questione si intreccia indissolubilmente con le altre, ho diviso il capitolo in quattro paragrafi per pura semplicità espositiva. Il primo tratta di corpi femminizzati e cultura dello stupro, dove il consenso di certi corpi viene violato e dove il consumo, metaforico, linguistico e letterale, di donne e non umane, si sovrappone. Il libro di riferimento è Carne da macello di Carol J. Adams, che si concentra sul dispositivo del “referente assente” che rafforza l’oppressione degli individui richiamando continuamente altre oppresse. Il secondo paragrafo tratta di corpi disabilitati, paternalismo e teoria della costruzione sociale della disabilità, nonché della comune origine di abilismo e specismo, che considerano come pienamente umani e quindi dignitosi solo corpi con determinate capacità e caratteristiche fisiche, penalizzando contemporaneamente disabilità umane e animali non umani. Per queste riflessioni ci baseremo principalmente sul testo Bestie da soma di Sunaura Taylor. Il paragrafo successivo si concentra sui corpi queer, sulla rivendicazione della mostruosità e sulla Creatura di Mary Shelley, sull’antiassimilazionismo, sul Manifesto Queer Vegan di Rasmus Simonsen e sul modo in cui lo stile di vita vegano come pratica antispecista abbia un ruolo straniante per la società normata, in un modo che l’autore ritiene simile a quanto accade per le persone queer. L’ultima sezione parla di corpi razzializzati e di decolonizzazione del pensiero, anche di quello antispecista, che tradizionalmente si presenta come bianco ed eurocentrico; le autrici di Afro-ismo, Aph e Syl Ko, propongono il veganismo nero e l’afrofuturismo per superare la razzializzazione dei corpi umani e non, e quindi lo specismo. Faremo allora cenno alle questioni della giustizia climatica e alimentare e ai diversi impatti dell’industria zootecnica e della crisi climatica su fasce diverse della popolazione, oltre che sulle altre specie.