Il testo del crimine

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Francesco Germinario

pp. 125
Anno 2025 (gennaio)
ISBN 9788869483042

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Descrizione

Francesco Germinario
Il testo del crimine.
L’antisemitismo e i Protocolli dei Savi Anziani di Sion

I Protocolli dei Savi di Sion, il falso più famigerato della letteratura mondiale, è stato il testo fondamentale dell’antisemitismo, non solo di quello nazista. I Protocolli sono suscettibili di diverse chiavi di lettura. Intanto presentano una visione cospirazionista della storia: questa è il risultato di un complotto organizzato dagli ebrei per instaurare la loro tirannide mondiale. Questa visione intercetta il disagio di vasti settori di società davanti a una storia che si abbatte con i suoi disastri (crisi economiche, guerre, rivoluzioni ecc.) sulla vita degli uomini. Compito del testo è quello di trasformare il disagio in angoscia davanti alle vicende storiche. Proprio per questo, il cospirazionismo dei Protocolli può essere interpretato quale visione razziale del pessimismo culturale che ha attraversato il Novecento; ma, al tempo stesso, presenta una risposta alla crisi dei valori e all’affermarsi del nichilismo. Il cospirazionismo antisemita presenta, infine, un’immagine mitica dell’ebreo: come a dire che quel mito è piegato per razionalizzare una storia vista fino ad allora come enigma che schiaccia gli uomini.

Francesco Germinario, ricercatore presso la Fondazione “Luigi Micheletti” di Brescia, ha conseguito in passato le abilitazioni a professore associato in Storia contemporanea e in Filosofia politica. Ha pubblicato numerosi volumi sulla storia della cultura di destra, l’immaginario antisemita, la visione mitica della politica, il fascismo delle origini. Tra i suoi ultimi lavori, Il mito della cospirazione ebraica: nel laboratorio di Urbain Gohier. Un falsario antisemita e le sue teorie (Free ebrei, 2022); Totalitarismo in movimento. Saggio sulla visione fascista della rivoluzione e della storia (Asterios, 2023); «Fascismo eterno» e fascismo storico. Umberto Eco, la destra e la tradizione antifascista (Asterios, 2024); e per i nostri tipi: “Gente malfida”. La critica degli intellettuali nella cultura di destra (1789-1925) (2023).

Rassegna stampa

UN ASSAGGIO

Indice

9 Introduzione

19 Capitolo primo. Le stagioni del cospirazionismo antisemita

1. L’avvento dell’antisemitismo secolarizzato; 2. Il ruolo di Drumont e la cospirazione territorialmente limitata

34 Capitolo secondo. Problemi di interpretazione antisemita della storia

1. I Protocolli e la crisi del cospirazionismo cristiano: l’esilio del divino dal mondo; 2. Prevedere il Futuro; 3. Una filosofia della storia per la rivoluzione; 4. Il testo-cerniera e il macigno della storia

49 Capitolo terzo. Tra Adorno e Schmitt

1. La gnosi fra esoterismo e inconscio della storia; 2. I Protocolli come neoromanticismo?

58 Capitolo quarto. Mito, ragione e risposta al nichilismo

1. La sintesi fra mito e ragione e il superamento del nichilismo; 2. Nichilismo, cosmopolitismo, nazionalismo

69 Capitolo quinto. Le destre nazionalrivoluzionarie e la politicizzazione dell’angoscia

1. Angoscia e cospirazione; Dall’angoscia alla disperazione; 2. Tra il Fiala di Werfel e Adorno: l’angoscia dei piccolo borghesi e il modello cospirazionista; 3. La destra nazionalrivoluzionaria e l’angoscia come risorsa politica

88 Capitolo sesto. I Protocolli quale testo di teologia politica

1. La rinnovata teologizzazione della politica; 2. L’“universalismo” in versione antisemita: deumanizzare l’ebreo; 3. La deumanizzazione e il legame razziale quale critica del liberalismo; 4. Il limite del testo: la difficoltà di organizzare l’umanità e il partito politico quale angoscia organizzata; 5. La visibilità della decisione politica e la “democrazia” del profeta senza partito politico

109 Capitolo settimo. Il Kulturpessimismus antisemita: attivismo e “dialettica” a senso unico

1. L’introduzione della “dialettica” nella storia e la specificità dell’attivismo antisemita; 2. Kulturpessimismus e dialettica della disperazione; 3. L’attivismo disperato dei Protocolli e il dramma del tempo; 4. Categoria di “giudeobolscevismo”, destoricizzazione della storia e della “dialettica”: la radicalizzazione della lotta politica

123 Indice dei nomi


Introduzione

Le ipotesi teorico-politiche, oltre che storiografiche, che orientano le pagine che seguono sono tre.
La prima è che l’antisemitismo, in quanto cultura politica, è da inscrivere nel panorama delle culture europee, in particolare nella galassia delle culture politiche rivoluzionarie. Come la gran parte di queste, anche l’antisemitismo avanza la pretesa di razionalizzare la storia, nel suo caso utilizzando il modello cospirazionista.
In proposito, sarà bene chiarire che quest’ipotesi non si avvale di nessuna concessione alle pagine sull’antisemitismo consegnate nella Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno. Qui non si tratta, infatti, di chiamare, ancora una volta, sul banco degli imputati i limiti della tradizione razionalista occidentale. Diciamo di più: questa è una chiamata di correità poco convincente. Il processo al razionalismo occidentale rischia di prestare il fianco a un irrazionalismo mascherato, che, a sua volta, civetta con la ricca tradizione irrazionalistica occidentale.
Com’è noto, dobbiamo a George L. Mosse il giudizio secondo cui compito della storiografia impegnata nello studio del Novecento – in particolare, del nazismo, del fascismo e appunto dell’antisemitismo – è quello di procedere alla razionalizzazione dell’irrazionale. La proposta di Mosse, ancorché condivisibile, presenta un problema storiografico complesso, con un risvolto metodologico.
La sua complessità possiamo così delinearla: non c’è dubbio che, nel corso del Novecento, nella cultura politica l’irrazionale abbia occupato spesso le prime file della platea. Ma qui bisogna intendersi. Intanto di “irrazionalismo” non si può parlare a proposito del comunismo – neanche nei momenti in cui questo ha praticato le fin troppo note efferatezze – in quanto il suo punto di riferimento teorico-politico, il marxismo, si era presentato come erede del razionalismo hegeliano.
Quanto a universi ideologici quali il nazismo e il fascismo, è bene precisare che nessun movimento politico – soprattutto quelli di orientamento rivoluzionario – e nessuna teoria politica hanno mai rivendicato esplicitamente atteggiamenti irrazionali. L’irrazionalismo può albergare nel campo culturale; ma nessuna pratica politica può, più o meno esplicitamente, rivendicare di essere irrazionalista. La contrapposizione razionalismo-irrazionalismo può valere nel campo filosofico; ma diventa quantomeno problematica se la si applica alla politica: in questo campo possiamo far valere il principio per cui tutto ciò che è politico è razionale. Insomma, per “irrazionale” non ci spingeremmo oltre questa definizione: un atteggiamento di contestazione della tradizione culturale occidentale realizzatasi nella modernità liberale e pluralista, in nome di una modernità del tutto diversa da quest’ultima. È il caso di insistere sul tema.
Quello di “irrazionalismo” consiste in un giudizio ex post formulato dagli storici, in particolare dagli storici delle idee e delle culture politiche, proprio come nel caso di Mosse. Tuttavia, è difficile individuare una cultura politica disposta a rivendicare di assumere posizioni irrazionaliste, persino quelle culture politiche – il caso del fascismo è emblematico in questo – che si erano collocate sul terreno della critica della tradizione razionalista europea. In genere, si è orientati a giudicare “irrazionali” quelle vicende caratterizzate dagli stermini di massa, come nel caso della Shoah. Ora, le scelte individuali possono rivelare motivazioni “irrazionali”; ma quelle promosse da decisioni politiche e statuali presentano una caratterizzazione razionale, non foss’altro perché talvolta prese dopo discussioni e confronti fra posizioni diverse. Non è, forse, la politica, una pratica razionale, anche quando produce una eterogenesi dei fini? E poi proprio a proposito della Shoah, non sarebbe un’aporia la convinzione che la struttura razionale per definizione, la burocrazia statale, cerchi di mettere in pratica obiettivi “irrazionali”? In epoca contemporanea le strategie di sterminio presuppongono certo la presenza sul mercato politico e delle idee di ideologie rivoluzionarie, ma queste necessitano sempre dell’azione dello Stato. E infine, non si è indotti a giudicare “irrazionale” una scelta politica che si contrappone a una razionalità il cui concetto rivela un sottofondo che rimanda alla cultura dei diritti, del pluralismo e a tutto ciò che concerne la modernità liberale, giudicata appunto quale realizzazione storica del razionalismo? […]

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