Stranieri indesiderabili

 17.00

a cura di Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti

pp. 174
Anno 2011 (ottobre)
ISBN 8978897522034

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Descrizione

Costantino Di Sante
Stranieri indesiderabili
Il campo di Fossoli e i “centri raccolta profughi” in Italia (1945-1970)

“Chi ha passato la frontiera resta in Italia né il Governo ha modo di disfarsene. Analoga questione si verifica per i confini di mare dove le navi sbarcano continuamente stranieri non autorizzati e si rifiutano di reimbarcarli nonostante le proteste delle Autorità di Polizia. Vari incidenti sono già sorti per queste ragioni. Per quanto il Campo di Fossoli di Carpi costituisca una remora al dilagare dei clandestini e delle attività illegali e delittuose degli stranieri in Italia” (Ministero dell’Interno, 19 agosto 1946).
Alcune migliaia di stranieri considerati “pericolosi”, in gran parte profughi di guerra in attesa di essere rimpatriati, alla fine della Seconda Guerra mondiale furono internati per diversi anni nei centri gestiti dal Ministero dell’Interno. L’autore, oltre a delineare la storia del principale “centro raccolta profughi” istituito a Fossoli di Carpi in provincia di Modena – già tristemente noto per essere stato il principale luogo di deportazione dall’Italia verso i lager nazisti -, ricostruisce la politica seguita dal governo italiano e dalle autorità internazionali per “controllare” e gestire i “clandestini”, mettendo in luce, seppure in un contesto assolutamente diverso, come le pratiche e le misure di sicurezza adottate allora anticipino alcuni dei metodi oggi utilizzati per affrontare l’immigrazione “iregolare”.
Oltre a Fossoli, nel libro sono descritte anche le vicende delle altre cinque località dove furono attivi dei campi per gli “stranieri indesiderabili”: Fraschette d’Alatri, Ponza, Alberobello, Farfa Sabina e Ustica. In questi “centri di detenzione”, diversi profughi rimasero fino agli anni Settanta, diventando dei prototipi di quello che la stampa dell’epoca definì homo lagerianus.

Costantino Di Sante, storico, collabora con l’Università degli Studi di Teramo e con l’Istituto storico delle Marche. Tra i suoi lavori più recenti: Dizionario del Risorgimento (L’Aquila, 2011), Nei campi di Tito (Verona, 2007) e Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951) (Verona, 2005).

Rassegna stampa

UN ASSAGGIO

Indice

7 Introduzione
L’uovo del serpente. Il “manifesto” di Binding e Hoche
di Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti

La liberalizzazione della soppressione della vita senza valore La sua estensione e la sua forma
di Karl Binding e Alfred Hoche

47 Nota di traduzione

49 Esposizione giuridica
di Karl Binding

I. L’odierna natura giuridica del suicidio. La cosiddetta partecipazione a esso; II. La semplice eutanasia operata entro giusti limiti non esige alcuna autorizzazione; III. Proposte per una più ampia liberalizzazione; IV. Estensione delle ragioni di trattamento preferenziale del delitto di omicidio al fine di liberalizzare l’uccisione di un terzo?; V. La decisione sulla liberalizzazione; VI. Riflessione sull’autorizzazione probabilmente erronea

77 Osservazioni mediche
di Alfred Hoche

91 Bibliografia scelta


 

Introduzione
L’uovo del serpente. Il “manifesto” di Binding e Hoche
di Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti

I.

Nel 1920, anno di pubblicazione del saggio di Karl Binding e Al fred Hoche Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens, qui tradotto, Hitler enuncia i venticinque punti che compongono il programma politico del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (NSDAP). Al punto quattro si stabilisce che “Cittadino dello Stato può essere solo chi appartiene alla comunità popolare (Volksgenosse)” e, inoltre, che “cittadino può essere solo chi è di sangue tedesco”. Con esso si fissa un primo perimetro, segnalando il confine tra la purezza dell’appartenenza al ceppo etnico nazionale e l’estraneità allo stesso che farà, in seguito, designare ebrei, zingari, persone di colore come suoi potenziali fattori inquinanti, come elementi che, rischiando di compromettere l’equilibrio biologico e politico della nazione, vanno opportunamente isolati e rimossi. Ma l’integrazione della comunità perseguita da questo programma viene ulteriormente garantita attraverso indicazioni successive e altrettanto eloquenti. Al punto dieci, infatti, si legge che:

Il primo dovere di ogni cittadino dello Stato deve essere quello di creare con le membra o con lo spirito. L’attività di ogni singolo non deve urtare gli interessi della comunità, ma deve esercitarsi nell’ambito dell’attività generale ed essere utile a tutti.

Infine, al punto ventuno viene sottolineato che: “Lo Stato deve preoccuparsi di elevare la salute fisica del popolo […], promuovendo l’irrobustimento fisico mediante l’obbligo, stabilito per legge, di curare la ginnastica e lo sport […]”. In sostanza, lo Stato nazista viene concepito come unità etnicamente omogenea di individui forti e in buona salute che, con le loro energie e il loro lavoro, concorrano a incrementare la forza dell’intera comunità, della quale appaiono quali semplici rotelle rispetto a un più ampio e articolato ingranaggio. Quanto valore sia riconosciuto alla vita individuale all’interno di siffatta configurazione ideale è abbastanza chiaro. Essa non è niente più che uno strumento al servizio di quel macro-organismo che la mistica della purezza razziale verrà designando come “comunità popolare” (Volksgemeinschaft) o “comunità di sangue” (Blutgemeinschaft).
Ma analizzando a ritroso le premesse teoriche al saggio di Binding e Hoche sulla soppressione delle “vite indegne di essere vissute” è possibile osservare come taluni dei motivi che compongono sin dagli albori la trama ideologica del nazismo – e che nel corso degli anni trenta e quaranta si imporranno come cultura egemone nello spazio pubblico e si tradurranno in scelte regolative di profilassi e sterilizzazione del “corpo” della nazione – si fossero affacciati già nella riflessione di medici, giuristi, scienziati sociali tra fine Ottocento e inizio Novecento.