Descrizione
Illuminazioni etnografiche
Walter Benjamin e l’antropologia
a cura di Carlo Capello
Figura di intellettuale multiforme, non facilmente classificabile nei nostri rigidi compartimenti disciplinari, Walter Benjamin è stato definito in molti modi: filosofo, critico letterario, storico. Sul filosofo, sul critico e sullo storico sono state scritte migliaia di pagine che ne fanno, giustamente, uno dei pensatori tra i più studiati e commentati. Cosa può allora aggiungere una prospettiva antropologica? Per gli autori del volume è possibile scorgere un’ulteriore dimensione nel pensiero di Benjamin, suggerita della sua notevole affinità e vicinanza con l’antropologia culturale. Benjamin è anche un antropologo culturale, o quantomeno un ottimo compagno di strada per la ricerca antropologica.
A partire da questa ipotesi, i contributi raccolti nel volume seguono due strade, strettamente intrecciate tra loro: da un lato esplorano, da un punto di vista storico e teorico, le sorprendenti affinità tra le opere di Benjamin e alcune delle più vivaci esperienze etnografiche e antropologiche; dall’altro, alcuni dei più caratteristici temi e concetti benjaminiani vengono riletti e utilizzati per interpretare il materiale etnografico raccolto su temi come i disastri dovuti al cambiamento climatico, il fenomeno dell’Urbex, le politiche di riqualificazione delle periferie, le difficoltà e il valore del lavoro edile.
Riflettere sulla profonda affinità delle ricerche di Benjamin con l’antropologia culturale e mostrare come le costellazioni delle sue idee possano rivelarsi preziose e illuminanti per orientare la riflessione e il discorso etnoantropologico – questo lo scopo dei lavori qui presentati.
Contributi di Carlo Capello, Lorenzo D’Angelo, Nicola Martellozzo, Riccardo Montanari, Tommaso Occhialini, Massimo Palma, Laura Raccanelli
Carlo Capello è professore associato di Antropologia culturale presso il dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. Dopo essersi occupato a lungo di migrazioni internazionali e di concezioni culturali della persona, si dedica da alcuni anni a un’antropologia critica del capitalismo contemporaneo. Tra i suoi lavori, per i nostri tipi ha pubblicato Ai margini del lavoro. Un’antropologia della disoccupazione a Torino (2020).
UN ASSAGGIO
Indice
7 Introduzione
di Carlo Capello
21 Illuminazioni etnografiche. Saggio sui rapporti tra Benjamin, il surrealismo e l’antropologia culturale
di Carlo Capello
52 Walter Benjamin e l’“orientamento antropologico” francese
di Massimo Palma
67 L’antropologo come narratore. Michael Taussig sulle orme di Walter Benjamin
di Lorenzo D’Angelo
90 Il vento del progresso continua a soffiare. Una rilettura etnografica del disastro Vaia attraverso l’opera di Walter Benjamin
di Nicola Martellozzo
117 Estetiche e contro-estetiche dai margini: sul ruolo dell’arte in periferia. Un’etnografia dei muri a Le Vallette, Torino
di Laura Raccanelli
145 Scoprire l’arte nell’abbandono: l’urbex sotto la lente analitica di Walter Benjamin
di Tommaso Occhialini
174 Colpa, debito e mattoni. Una riflessione antropologica su un rituale contemporaneo
di Riccardo Montanari
203 Gli autori e l’autrice
Introduzione
di Carlo Capello
Figura di intellettuale multiforme e sfuggente, non facilmente classificabile nei nostri irrigiditi compartimenti disciplinari (Guglielminetti 1990, Schiavoni 2001), Walter Benjamin può essere definito ed è stato descritto in molti modi: come filosofo, innanzitutto, per via della sua formazione e del suo continuo impegno speculativo, e come critico letterario – sappiamo che lui stesso ambiva ad essere considerato il “primo critico della letteratura tedesca” (Eiland e Jennings 2016, Pinotti 2018); ma senza dubbio può essere visto anche come uno storico, che, con il progetto dei Passages ci sprona a rivoluzionare il campo e la metodologia stessa della ricerca storica, utilizzando il surrealismo come grimaldello per scardinare le categorie storiografiche più tradizionali e tradizionaliste (Lusty 2017). Sul filosofo, sul critico e sullo storico sono state scritte migliaia di pagine, che ne fanno, con ottime ragioni, uno dei pensatori più studiati e commentati. Cosa può allora aggiungere a questa ricca messe di studi il nostro contributo, tenendo conto che proviene da un gruppo di antropologi – per quanto affiancati da un filosofo e noto studioso di Benjamin come Massimo Palma?
Il punto è che, a nostro parere, è possibile aggiungere un’ulteriore identità (o un’altra maschera, se si vuole) al nostro pensatore. In un saggio uscito recentemente, che mira a evidenziare le affinità tra la figura del narratore e l’etnografo, valorizzando l’etnografia come narrazione nel senso in cui Benjamin (2004) arricchisce il termine nel suo lavoro sul Narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov, ho affermato cautamente che vi è una notevole vicinanza tra il pensiero e il metodo di Benjamin da un lato e l’antropologia culturale e l’etnografia contemporanea, dall’altro (Capello 2020). Una prossimità dovuta in primo luogo alla comune attenzione per i frammenti simbolici e le allegorie viventi. Si pensi per esempio all’importanza che Malinowski – padre totemico della ricerca sul campo – attribuiva all’osservazione degli “imponderabilia della vita quotidiana” nell’etnografia e a quanto facilmente questa indicazione di metodo si possa applicare anche al Benjamin di Strada a senso unico (2001a) e dei Passages di Parigi (2000)
Il saggio su Il narratore, non a caso uno dei più frequentati dagli antropologi culturali, è uno dei punti di maggior vicinanza tra le posizioni benjaminiane e l’impresa etnografica. La figura del narratore – cesellata da Benjamin prendendo a modello Leskov – è quella di un artigiano di storie, un cantastorie figlio del mercante e del contadino, il cui sapere viene dalle “voci degli infiniti narratori anonimi” e la cui ispirazione nasce dal viaggio verso terre lontane e insieme dal radicamento in tradizioni locali. Non è difficile, allora, sentire la consonanza con l’etnografia – anch’essa un sapere artigianale (Herzfeld 2006) che sorge dalla frequentazione e dall’ascolto dei narratori locali, e che ha fatto del viaggio una delle sue cifre distintive (Clifford 1999, Remotti 2009). L’etnografia, affermo nel mio saggio, è uno dei principali eredi dell’ideale narratore benjaminiano, cosicché i testi etnografici sperimentali – come quelli di Lila Abu-Lughod, Stefania Pandolfo e Stephen Caton affrontati nel mio scritto – non fanno che portare alla luce ciò che a lungo è rimasto nascosto a causa dalle pretese dell’antropologia culturale di presentarsi esclusivamente come scienza (Capello 2020).