Descrizione
Gennaro Avallone
Sfruttamento e resistenze
Migrazioni e agricoltura in Europa, Italia, Piana del Sole
Questo libro parla di lavoro e fatica, di vite alla ricerca di un futuro migliore: di vite e lavoro di persone che producono ciò che mangiamo. I processi di produzione del cibo sono sempre più nascosti da pubblicità, brand, marchi, racconti, che fanno dimenticare a che prezzo e dentro quali rapporti sociali i beni agricoli diventano disponibili. Questo ricerca mette al centro, invece, proprio il lavoro vivo nei campi, negli allevamenti, sotto le serre, guardando ai migranti, sempre più protagonisti a livello mondiale dell’industria agricola capitalistica, e a un insieme di territori, quelli del Sud Europa, del Mezzogiorno e dell’enclave della Piana del Sele, nella provincia di Salerno. È il lavoro, con le sue caratteristiche e modalità di svolgimento, a costituire il punto di vista privilegiato di questa ricerca. Il mondo dell’agricoltura viene osservato dal lato del lavoro vivo, concentrandosi sui rapporti sociali di produzione vigenti prima che tutto venga assorbito dal marketing e subordinato ai superprofitti delle grandi imprese internazionali e multinazionali finanziarizzate. Per questo motivo, la ricerca si è avvalsa soprattutto di interviste e colloqui con una molteplicità di lavoratrici e lavoratori, condividendo con loro ore e ore di vita quotidiana. È con questa densità – la densità della vita, dei progetti connessi alle migrazioni e dei rapporti di produzione fondati sullo sfruttamento – che la ricerca ha cercato di entrare in comunicazione, per restituire un quadro delle relazioni di potere che governano l’agricoltura capitalistica e delle strategie che i lavoratori mettono in atto per non farsi sopraffare e proteggere sé stessi, rivendicando diritti e dignità.
Gennaro Avallone è ricercatore in sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università di Salerno e membro di Flacso-España. Tra le sue pubblicazioni: La sociologia urbana e rurale. Origini e sviluppi in Italia (Liguori, 2010). Di Jason W. Moore e di Ramón Grosfoguel ha curato, rispettivamente, Ecologia-mondo e crisi del capitalismo. La fine della natura a buon mercato (ombre corte 2015) e Rompere la colonialità. Razzismo, migrazioni ed islamofobia nella prospettiva decoloniale (Mimesis, 2017).
RASSEGNA STAMPA
il manifesto – 31.7.2017
Nella Piana del Sele, in compagnia di Paramjit
di Yoan Molinero Gerbau
Chi produce il cibo che mangiamo ogni giorno? Quali sono le logiche economiche e del lavoro dietro la produzione ortofrutticola europea e italiana? Da queste due semplici, ma determinanti, domande, parte il libro Sfruttamento e Resistenze. Migrazioni e agricoltura in Europa, Italia, Piana del Sele (pp. 136, euro 13) pubblicato da ombre corte e scritto da Gennaro Avallone, ricercatore di sociologia all’Università degli studi di Salerno.
MIGRAZIONI, catene globali, agricoltura intensiva. Soprattutto, si parla di lavoro vivo, delle migliaia di persone implicate in un processo produttivo in cui lo sfruttamento e la sofferenza definiscono un intero settore e la profittabilità della produzione di cibo a basso costo prevale sopra le vite umane. La ricchezza di questo libro si trova precisamente lì, nel fatto che Avallone rompe i tradizionali schemi dell’accademia per diventare un altoparlante dei protagonisti grazie a una ricerca svolta in modo costante, persino con carattere etnografico, lungo un periodo di circa cinque anni. Così, questo innovativo saggio, anche se contiene una profonda analisi politica e strutturale della configurazione del lavoro agricolo in Europa e in Italia, potrebbe considerarsi un manifesto, una chiamata contro un’ingiustizia che ogni giorno coinvolge migliaia di persone silenziate dall’indifferenza delle istituzioni.
Leggendo il libro si potrà capire come le campagne europee (soprattutto nel Sud) siano entrate nel neoliberalismo, diventando fabbriche di prodotti freschi incastrate in larghe catene globali. Questo processo ha orientato la produzione verso l’esportazione ai paesi del centro del mondo, però ha anche beneficato del consumo crescente della popolazione nazionale che, progressivamente, è fuggita dalle campagne verso le città.
I CAMPI SONO DIVENUTI industrie e la produzione, prima di tipo contadino e familiare, si è trasformata in fordista, richiedendo l’esistenza di un esercito di riserva di lavoratori sempre più numeroso per comprimere il prezzo del lavoro al limite. Dove trovarlo? L’equazione tra le necessità produttive e la mancanza di manodopera nei campi sempre più interessati dall’esodo rurale è stata risolta dal capitale, e dagli Stati, spingendo la crescente mobilità delle persone migranti della periferia globale verso il lavoro agricolo.
NUMEROSE ENCLAVE agricole si sono, così, sviluppate e internazionalizzate grazie al doppio processo di capitalizzazione produttiva e creazione dell’esercito di riserva migrante. Per illustrare questo macro contesto il libro scende all’ambito locale, per raccontarci come un’enclave agricola tradizionale quale la Piana del Sele, in provincia di Salerno, sia diventata il primo produttore di quarta gamma in Italia. Di fronte alle storie di successo, che glorificano i produttori come imprenditori che, grazie alla loro intelligenza e al loro sforzo, sono diventati ricchi, il libro di Avallone mette l’accento sui veri protagonisti: Paramjit, Omar, Neculai, gli operai agricoli migranti sul cui sfruttamento si è basata la trasformazione del settore.
Sfruttamento e Resistenze racconta la vita degli invisibili, persone nascoste a causa delle leggi sull’immigrazione, dei nuovi proletari del XXI secolo: una popolazione straniera senza il cui lavoro non esisterebbe il famoso made in Italy, di cui però pochi parlano. Una vita monetizzata dove lo Stato omette la sua condizione di «sociale», per essere presente solo mediante la polizia, per ricordare a questi lavoratori che le leggi sull’immigrazione si applicano per chi non è docile e non si sommette al capitale. Come il nome stesso del libro ci indica, si parla anche di resistenze, di persone con una dignità stoica, di progetti personali per potere fuggire da questa durissima realtà. Sfruttamento e Resistenze ci ricorda che il cibo viene prodotto da persone reali, con loro storie dure. Dietro ogni cavolfiore, foglia di rucola, pomodoro o melone che mangiamo, c’è stata una persona attiva impiegata in un lavoro faticoso, rigoroso e sottopagato grazie alla complicità dello Stato e dell’Unione Europea.
UN LIBRO FONDAMENTALE, dunque, non solo per chi è interessato allo studio dell’agricoltura o delle migrazioni, ma anche per chi vuole conoscere, grazie a una narrativa fresca e differente, una realtà che coinvolge una società intera alimentata grazie a una flagrante ingiustizia.
UN ASSAGGIO
Introduzione
In questo libro si parla di lavoro e fatica, di vite sacrificate alla ricerca di un futuro migliore: le vite ed il lavoro di chi produce il cibo che mangiamo. In questo libro si ricorda che il cibo viene prodotto, è un esito del lavoro, della combinazione del lavoro umano erogato, il lavoro vivo, con altri fattori umani ed extra-umani: organizzazione, mezzi di produzione, terra, esseri animali e vegetali, processi chimici e fisici. Il cibo è l’esito di rapporti socio-ecologici complessi, nei quali il lavoro umano è centrale, insieme al resto della natura, in quanto è la forza-lavoro umana che lo pensa e lo determina, all’interno di una storia di prove, esperimenti, errori, correzioni, che hanno dato vita al sapere contadino, divenuto, poi, tecniche, tecnologie e sapere agronomico (Moore 2015a). Questa forza è tanto importante da rendere impossibile la produzione alimentare in sua assenza. Senza la forza-lavoro applicata nei processi produttivi non ci sarebbero il cibo né l’industria agricola: “la merce forza-lavoro ha questo di assolutamente peculiare, che il suo valore d’uso, essendo lavoro in atto, è creatore di valore” (Napoleoni 1976, p. 62).
1. Lavoro vivo, agricoltura, migrazioni
Il lavoro vivo così fondamentale nei processi produttivi, così presente nell’attività agricola reale, risulta assente, così assente, nei racconti sul cibo, in quelle retoriche, ultimamente definite come story-telling, sui prodotti della terra, nelle quali il sudore, la fatica, le persone che si alzano alle 4 di notte, il caldo delle serre, i calli alle mani, il freddo delle mattine invernali, i dolori alla schiena sono assenti, quasi disturbassero la narrazione. Si tratta di elementi così presenti nella produzione concreta quanto assenti nell’ideologia del made in Italy, nelle rappresentazioni sociali, ma anche nell’attenzione politica e delle politiche pubbliche.
Per introdurre il lettore alla critica del capitale, Karl Marx si riferì, prima di tutto, all’immagine dell’ammasso di merci, al fatto che il modo di produzione capitalistico è capace di dare vita ad una quantità enorme di beni caratterizzati da un principio di ordine gerarchico, quello che privilegia il valore di scambio incorporato nelle merci sul loro valore d’uso. E per fare questo, per riprodurre continuamente, in ogni atto produttivo così come in ogni scambio commerciale, tale gerarchia, è necessario operare una magia: nascondere il lavoro. L’operazione è complicata, perché si scontra con la soggettività espressa dal lavoro, che è quell’unica merce che non può mai essere ridotta esclusivamente all’essere merce. Il suo essere merce, il suo valore di scambio, è incorporato, vive, cammina e respira con la persona, con la stessa intima personalità del lavoratore o della lavoratrice: “è interamente radicato nella vita, nel corpo del singolo e nel tessuto sociale di cui quest’ultimo è parte” (Mezzadra 2014, p. 82).
L’operazione di nascondere il lavoro, di farlo scomparire, è davvero un arcano. Pensiamo ad una mela. Da dove viene? E se la accoppiamo al caffè o al dolce della colazione, possiamo chiederci da dove provengano, cioè da quali rapporti sociali e condizioni di lavoro? Possiamo, se vogliamo capire dove siamo, in quale mondo viviamo, altrimenti:
possiamo fare la nostra colazione quotidiana senza pensare alla miriade di persone che sono state impegnate nella sua produzione. Tutte le tracce di sfruttamento sono cancellate dall’oggetto (non ci sono impronte di sfruttamento sul nostro pane quotidiano). Non possiamo dire, guardando un oggetto al supermercato, quali condizioni di lavoro siano alla base della sua produzione (Harvey 2010, p. 129).