Descrizione
Stefano Taccone
La radicalità dell’avanguardia
Qual è stata l’essenza e la vocazione autentica delle avanguardie? In che rapporto si collocano con le neoavanguardie? Che ne è del lascito dell’avanguardia in era postmoderna? Come si è pensata storicamente l’arte di fronte alla questione di una trasformazione rivoluzionaria della società? Come ha inteso rispondere alle sollecitazioni politiche radicali e come le ha incarnate essa stessa? A queste e a tante altre domande affini tenta di rispondere questa raccolta di saggi che, concepiti per svariate occasioni, restituiscono il cuore della riflessione teorica di Stefano Taccone nell’ultimo triennio (2013-16). Egli, sviluppando i suoi discorsi in continuo dialogo con l’opera di alcuni degli autori che maggiormente si sono esercitati su questi terreni, su tutti Peter Bürger e Mario Perniola, mette in evidenza, in polemica con ogni ipotesi di riduzione del progetto delle avanguardie a mero rinnovamento dei linguaggi, quanto esse abbiano inteso avanzare, malgrado i loro limiti, veri e propri progetti di mondo e di vita alternativi alla sfera borghese e, in tale ottica, abbiano concepito la dimensione separata dell’arte come qualcosa da contestare e superare. Sfrondata di ogni possibile deriva totalitaria, che è il rischio di ogni pensiero forte, la radicalità dell’avanguardia può forse ancora oggi offrire importanti sollecitazioni ad un presente in evidente crisi di paradigmi e pervaso da profonde sacche di insoddisfazione.
Stefano Taccone (Napoli, 1981) è critico d’arte e dottorando in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico-artistica presso l’Università di Salerno. Ha pubblicato le monografie Hans Haacke. Il contesto politico come materiale (Plectica, 2010); La contestazione dell’arte (Phoebus, 2013) e curato il volume Contro l’infelicità. L’Internazionale Situazionista e la sua attualità (ombre corte, 2014). Collabora abitualmente con le riviste “Operaviva” e “Segno”. Ha scritto, tra l’altro, sulle riviste “Boîte”, “sdefinizioni”, “roots§routes”, “Titolo”, “Tracce”, “UnDo.net”.
RASSEGNA STAMPA
OperaViva – 03 Novembre 2017
Che fare dopo l’avanguardia? La radicalità delle pratiche artistiche e politiche
di Nicolas Martino
Le avanguardia storiche e le neoavanguardie, il ’68 e il suo rapporto con le pratiche artistiche, l’arte pubblica e la critica istituzionale, l’arte contemporanea e il suo rapporto con il capitalismo. Questi sono i temi principali intorno a cui ruota l’ultimo libro di Stefano Taccone, La radicalità dell’avanguardia appena uscito per ombre corte (pp. 130 € 11,00), una serie di saggi, densi e brillanti, in cui lo sviluppo del discorso è costruito intorno a due capisaldi del pensiero critico degli anni Settanta: L’alienazione artistica di Mario Perniola (1971) e Teoria dell’avanguardia di Peter Bürger (1974).
Ma a guidare il percorso di Taccone nei movimenti continui dell’arte è anche e soprattutto un terzo protagonista, il lavoro culturale e politico di Guy Debord, e quindi la teoria e la pratica dell’Internazionale Situazionista. Va detto, innanzitutto, che questo libro ha l’indubbio merito di collocarsi in una posizione controcorrente rispetto alla letteratura artistica contemporanea, proponendo un pensiero forte e una critica concettualmente fondata, lì dove, dagli fine degli anni Settanta in poi, soprattutto in Italia, la critica d’arte ha liquidato ogni posizione teorica trasformandosi in scrittura promozionale. Uno spartiacque significativo, in questo senso, rimane il convegno di Montecatini del 1978. E a dire il vero e per fortuna, una controtendenza e un ritorno a posizioni forti in ambito artistico, dopo la sbornia dimissionaria, è possibile registrarlo da qualche anno, da più parti.
Le avanguardie storiche, questa la tesi principale del libro, non erano dei semplici movimenti artistici, ma ruotavano intorno a progetti di trasformazione radicale dell’esistente, e coniugando Marx con Rimbaud, puntavano alla trasformazione del mondo e al cambiamento della vita quotidiana. Le neoavanguardie invece, cosi Bürger e prima di lui L’Internazionale Situazionista, hanno disinnescato il portato politico-esistenziale delle prime avanguardie – Dadaismo, Surrealismo e avanguardie Sovietiche – operando una riduzione formalista delle stesse perfettamente consona al mondo spettacolare del neocapitalismo degli anni Cinquanta e Sessanta. Da questa prima filiazione spuria delle neoavanguardie seguirebbe anche la successiva rottura postmodernista che a sua volta trasforma in pastiche il formalismo sperimentale delle neoavanguardie.
E ancora, dopo una prima spinta neoconservatrice coincidente con il ritorno all’ordine della pittura e del mestiere, il neoliberismo postmoderno avrebbe invece catturato le straordinarie capacità di rebranding dell’arte, puntando quindi sull’arte relazionale e pubblica in quanto lubrificante sociale in grado di mediare i conflitti. Tornare dunque alla struttura costitutiva delle avanguardie storiche, ovvero il progetto di trasformazione radicale dell’esistente attraverso la realizzazione dell’arte stessa, significa cercare una risposta all’insoddisfazione di una vita che eccede la gabbia neoliberale e non può quindi accontentarsi di un’arte fintamente impegnata. > continua a leggere >
UN ASSAGGIO
Introduzione
I saggi raccolti in questo volume – in gran parte già pubblicati in altre occasioni – rappresentano altrettante tappe di un mio ideale itinerario di ricerca che si è andato svolgendo tra il 2013 ed il 2016. Tutti gli scritti sono generati da un’occasione particolare fornita da sollecitazioni esterne, ma ad esse ho sempre risposto cogliendo l’occasione per mettere a fuoco i problemi intorno ai quali in quegli anni mi sono andato arrovellando. Domande in continuità con tutto il mio percorso improntato alla relazione tra le arti visive e le istanze politiche radicali, ma fattesi nel tempo più precise e circostanziate, nella prospettiva di individuare, qualora ce ne fossero stati, momenti davvero di unione, di integrazione, di indistinguibilità tra l’estetico ed il politico.
Per fare questo una grande luce mi è stata fornita dalle pur assai diversamente motivate, eppure non prive di tangenze, letture che della vicenda delle avanguardie storiche forniscono Mario Perniola con L’alienazione artistica (1971) e Peter Bürger con Teoria dell’avanguardia (1974). Entrambi, nei loro rispettivi lavori, mettono infatti in evidenza come esse non riguardino – almeno originariamente – una mera trasformazione dei linguaggi e delle forme, ma mirino ad una più ampia trasformazione della vita, della società, del mondo stessi. Grande importanza, presente sullo sfondo dell’intera raccolta, ha rivestito inoltre per me l’esempio dell’Internazionale Situazionista e della figura teorica di Guy Debord e di altri esponenti di questo movimento. Evidentemente debitore all’I.S. delle sue tesi è lo stesso Peniola, mentre l’I.S. anticipa chiaramente la lettura bürgheriana delle avanguardie storiche, così come la sua svalutazione delle neoavanguardie.
Dalla svalutazione delle neoavanguardie sono partito per interrogarmi sulla verità di tale giudizio, scoprendo innanzi tutto come nel tempo delle neoavanguardie sussistano casi non registrati dal sistema dell’arte ufficiale eppure – o meglio proprio per questo – votati ad una ripresa delle istanze di superamento dell’arte nella vita quotidiana delle avanguardie storiche. Ho rivisto inoltre il giudizio negativo sulle neoavanguardie vere e proprie anche in considerazione che lo si pronuncia sempre in nome di quello che comunque, a tutt’oggi, appare un fallimento – perché altro destino non hanno avuto gli obbiettivi delle avanguardie storiche –, nonché delle derive totalitarie da cui le avanguardie storiche non sono state certo immuni ed alle quali in un certo senso le neoavanguardie, pur con un sovrappiù di debolismo, hanno ovviato. Neoavanguardia “ultimogenita”, quasi avanguardia possibile dopo la fine dell’utopia del superamento dell’arte è infine la critica istituzionale, movimento non di meno paradossalmente di rinnovata enorme ambizione una volta sfrondato delle vecchie enormi ambizioni che non di meno riporta anch’esso una sostanziale sconfitta, ma forse vince qualche episodica battaglia e già è qualcosa.
Tutto il mio itinerario non è mai stato improntato alla nostalgia. Allo spirito di chi scopre un passato che non può più essere come mera consolazione per un presente immodificabile. Mentre scrivevo, le idee sul lascito di tali esperienze forse mi erano più chiare e nette. Oggi che sento concluso questo cammino, né sento di dover aggiungere più nulla di rilevante in proposito, pensare che si possano declinare queste esperienze al futuro confesso che mi appare assai più insidioso e problematico. Ritengo lecito qui confermare tuttavia, ancora una volta, la mia convinzione che, sfrondata di ogni possibile deriva totalitaria, che è il rischio di ogni pensiero forte, la radicalità dell’avanguardia può forse ancora oggi offrire importanti sollecitazioni ad un presente in evidente crisi di paradigmi e pervaso da profonde sacche di insoddisfazione.