Descrizione
Giuseppe Muraca
Il giovane Palazzeschi
Saggio sul poeta d’avanguardia
Nato a Firenze nel 1885 e morto a Roma nel 1974, Aldo Palazzeschi deve essere considerato uno dei più grandi scrittori del Novecento. Egli ha fatto parte di una generazione di letterati che hanno contribuito in maniera determinante al processo di profondo rinnovamento che ha caratterizzato la cultura italiana e mondiale del primo novecento. La sua attività letteraria giovanile è infatti coincisa con l’età giolittiana, ossia con un periodo di radicali cambiamenti che hanno aperto la strada all’avvento della cosiddetta società di massa e alle avanguardie artistiche e letterarie del secolo scorso. Dalle prime prove de I cavalli bianchi fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, la sua ricerca creativa è stata interessata da un incessante processo di radicale rinnovamento e animata da uno spirito di rottura nei confronti della tradizione letteraria. Durante la sua giovinezza ha partecipato a tutti i movimenti letterari del suo tempo, ma in modo autonomo, e persino durante gli anni della sua adesione al futurismo ha mantenuto la sua indipendenza umana e artistica. In questo libro l’autore si propone di delineare un ritratto del giovane Palazzeschi, attraverso un esame della sua prima produzione letteraria.
Giuseppe Muraca è critico letterario e saggista. Ha fondato e diretto la rivista “L’utopia concreta” e ha fatto parte della direzione delle riviste “InOltre” e “Per il ’68” e della redazione del giornale “Ora locale”. Ha pubblicato vari libri, tra cui Utopisti ed eretici nella letteratura italiana contemporanea (Rubbettino 2000), Luciano Bianciardi, uno scrittore fuori dal coro (Centro di Documentazione di Pistoia 2011), e per i nostri tipi: Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici (2018) e Passato prossimo (2019). Ha collaborato e collabora a numerosi giornali e riviste, tra cui “il manifesto”, “Lotta continua”, “Il Grandevetro” e “Dalla parte del torto”.
RASSEGNA STAMPA
Dalla parte del torto – 29 gennaio 2021
L’arte di giocare con le parole
di Diego Giachetti
Chi scrive vuole innanzi tutto ringraziare Giuseppe Muraca, autore del libro Il giovane Palazzeschi (Ombre corte, Verona 2021), per averlo strappato dalle solite letture di saggistica storico-politica e condotto nel mondo creativo e divertente costruito da quel poeta giocoliere delle parole. L’argomento svolto da Muraca è la risultante di una passione sentita in età giovanile per la letteratura e l’arte d’avanguardia che lo condusse a scoprire Palazzeschi (1885-1974) sui banchi di scuola. Il libro è la testimonianza di quel primo amore e dei suoi sviluppi.
Il giovane poeta amava presentarsi come un illetterato, difatti il suo percorso formativo esulava da quello tipico dei poeti laureati. Provocatoriamente diceva di aver iniziato a scrivere più per rispondere a un istinto a un bisogno “fisiologico”, che ad una regolare e consapevole educazione letteraria ed estetica. Voleva presentarsi come un “poeta leggero”, che veniva dalla strada e solo rare volte era andato in biblioteca, “riportandone sempre un senso di oppressione e di melanconia”, che si riversava nell’insofferenza verso il clima cultural-letterario dei primi del Novecento, intriso di tardo romanticismo, di valori decadenti e di un simbolismo di maniera.
Ritrovare le parole
L’esordio poetico è parallelo a quello dei poeti crepuscolari. Nei suoi primi versi si legge il distacco dalla realtà e dalla storia, accidiosa e grigia dell’età giolittiana, la fuga nel sogno, nell’immaginazione che denotano l’atteggiamento rinunciatario, la solitudine, un certo pessimismo. Contenuti espressi con una narrazione nuova e sperimentale per l’epoca: niente rime, una scrittura essenziale, poche parole per raccontare un mondo dimesso, popolato da personaggi bislacchi, fuori contesto. Una visione che riflette la crisi dei valori ottocenteschi e si abbandona, a tratti, alla regressione all’infanzia che lo accomuna a certo crepuscolarismo e al Pascoli, per tradursi però in un bambinesco giocare con le parole, per inventare un nuovo linguaggio che si discosti dalle forme belle, auliche e retoriche di Carducci, D’Annunzio e dei tanti imitatori. La sua scrittura sembra seguire il flusso del pensiero sfuggendo al controllo della ragione e dei canoni linguistici della poetica. È il suo modo di rompere con la melanconia, facendo parodia dei miti e delle figure del repertorio simbolista, superando il sublime romantico-decadente, con un cambiamento di stile e di tono, un linguaggio discorsivo, più colorito ed estroso, con sprazzi di crudo espressionismo. >> continua a leggere >>
UN ASSAGGIO
Introduzione
Palazzeschi nell’età giolittiana
Aldo Palazzeschi ha fatto parte di una generazione di letterati che hanno contribuito in maniera determinante al processo di profondo rinnovamento che ha caratterizzato la cultura italiana e mondiale del primo novecento. La sua attività letteraria giovanile è infatti coincisa con l’età giolittiana, ossia con un periodo di radicali cambiamenti che hanno aperto la strada all’avvento della cosiddetta società di massa e alle avanguardie artistiche e letterarie del secolo scorso.
È noto che la rivoluzione industriale, avvenuta da noi per diversi motivi in ritardo ma in modo più dirompente rispetto agli altri paesi più avanzati, stava modificando radicalmente la condizione dell’uomo e dell’intellettuale, gli istituti e i valori tradizionali. Proprio all’esordio del nuovo secolo Pascoli e D’Annunzio stavano raggiungendo il culmine della loro notorietà, avviandosi a diventare ‘poeti nazionali’, eredi e principali interpreti dei valori e dei simboli della nostra tradizione letteraria, influenzando in maniera predominante la cultura del tempo e il pubblico dei lettori, per lo più di estrazione aristocratica e borghese. Certo, essi avevano tentato a loro modo di collegarsi alle forme più avanzate del simbolismo e del decadentismo, ma di fatto rimanevano legati a un’idea della cultura e della letteratura ancora di tipo elitario e aristocratico, finendo così per riproporre una visione tradizionale del ruolo sociale dello scrittore e un sistema di valori, un gusto e un atteggiamento che non corrispondevano più alle aspirazioni, alla sensibilità e agli ideali del giovane ceto intellettuale, che di conseguenza era costretto ad operare in un clima di dittatura culturale, in un orizzonte alquanto chiuso ed emarginante, se vogliamo, in una situazione sociale “degradante”, di relativa massificazione e in una condizione esistenziale a volte precaria e difficile (si ricordi, per esempio, che Corazzini e Gozzano morirono di tisi in giovane età). Non a caso la rivolta sempre più cosciente, radicale e programmatica nei confronti dei valori culturali dominanti, il rifiuto sempre più categorico del linguaggio aulico e ampolloso, dei generi estetici codificati e la creazione di forme anticonvenzionali sono i caratteri più salienti della letteratura e dell’arte del primo novecento. E ciò che innanzitutto rifiutavano coloro che si affacciavano sulla scena letteraria alle soglie del nuovo secolo era proprio il ruolo iniziatico, eroico e pedagogico del “poeta vate” come guida morale e spirituale della nazione così come veniva riproposta e rinvigorita dal Pascoli e, in special modo, dal D’annunzio. Da questo punto di vista Palazzeschi rappresenta soltanto uno dei tanti “casi” particolari del frastagliato panorama della letteratura italiana di quel periodo.