Descrizione
Giuliana Sanò
Fabbriche di plastica
Il lavoro nell’agricoltura industriale
Il volume indaga la condizione del lavoro agricolo in un distretto della Sicilia sud-orientale, interamente destinato alla coltivazione di ortaggi in serra e caratterizzato da una significativa presenza di lavoratrici e lavoratori stranieri. In particolare, si mettono a fuoco le contraddizioni di un sistema agricolo che aspira a raggiungere elevati standard produttivi ma che conserva pervicacemente un’organizzazione del lavoro ancorata a modelli tipicamente pre-moderni, attingendo a diverse forme del lavoro informale e precario. Con uno stile etnografico, dopo averne ricostruito la storia, l’autrice analizza le trasformazioni e la condizione che caratterizzano il distretto agricolo ragusano, spaziando dalle rappresentazioni e dalle narrazioni locali sull’agricoltura e sul funzionamento del lavoro agricolo, ai resoconti di una giornata di lavoro in serra o in un magazzino di confezionamento. Soffermandosi poi sugli spazi destinati alla vita domestica e alla socializzazione dei lavoratori e delle lavoratrici migranti, evidenzia chiaramente come questi siano stati fortemente riassorbiti dalle logiche della produzione e del mercato del lavoro, come il lavoro precario e insicuro condizioni profondamente la loro vita quotidiana, le loro scelte e i loro progetti di mobilità, e la stessa percezione che essi hanno di sé.
Giuliana Sanò ha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia culturale e studi storico linguistici all’Università di Messina. Ha lavorato come assistente alla ricerca per un progetto coordinato dal Dipartimento di antropologia dell’università di Durham finalizzato a uno studio comparato sul funzionamento del sistema di accoglienza in Grecia e in Italia. Attualmente è ricercatrice presso la fondazione Demarchi (TN). I suoi ambiti di ricerca sono le migrazioni, il lavoro migrante, l’economia informale e lo studio delle migrazioni forzate e del diritto d’asilo.
Rassegna stampa
Il manifesto – Cultura – 16.11.2018
Fra serre e terra, il corpo sfinito
di Gennaro Avallone
Saggi. «Fabbriche di plastica. Il lavoro nell’agricoltura industriale» dell’antropologa Giuliana Sanò, edito da ombre corte
Il lavoro agricolo è spesso un corpo a corpo, un conflitto a bassa soglia permanente tra chi eroga la forza lavoro e l’organizzazione dell’attività produttiva. Ma è un corpo a corpo anche con la struttura legislativa e istituzionale, difficilmente orientata a sostenere il lavoro e, tanto meno, la sua riproduzione quotidiana, ad esempio con specifiche politiche della casa.
È SU QUESTA CENTRALITÀ del corpo, della fatica, dell’esposizione fisica che si concentra la ricerca e il libro di Giuliana Sanò, Fabbriche di plastica. Il lavoro nell’agricoltura industriale, edito da ombre corte (pp. 235, euro 20). L’autrice, antropologa attiva in diversi progetti e centri di ricerca in Italia e all’estero, presenta in questo testo un’importante etnografia, condotta, in coppia con Valeria Piro, in un distretto agricolo della Sicilia sud-orientale, nell’area definita Fascia Costiera Trasformata, compresa tra Licata e Pachino. La due ricercatrici hanno lavorato per alcuni mesi in agricoltura, fianco a fianco con braccianti italiani e stranieri, dedicando la loro attenzione di studio soprattutto alla condizione di questi e queste ultime, prevalentemente di nazionalità rumena.
La ricerca presentata è parte del movimento di studio che in Italia, come in tante altre parti del mondo, sta approfondendo le condizioni di lavoro e vita della manodopera inserita nell’agricoltura capitalistica globale, individuando nella componente del lavoro migrante non solo caratteri specifici, ma anche una centralità strutturale, nel senso della dipendenza della produzione agricola mondiale, compresa quella italiana, dal lavoro dei braccianti migranti nazionali o internazionali.
QUESTO DATO ormai costitutivo dell’agricoltura contemporanea si collega con una serie di condizioni istituzionali e normative, oltre che di processi economici e sociali, che influenzano la strutturazione delle migrazioni. Esso, però, va anche compreso osservando il modo in cui le migrazioni vengono assorbite dai singoli socio-territoriali, caratterizzati da specifiche storie e relazioni di potere a livello locale.
L’INSIEME DI TRAME sociali e istituzionali è stato indagato in profondità dalla ricerca etnografica di Giuliana Sanò, che ha organizzato il libro in sei parti, distinguendo l’introduzione, tre capitoli, la ricchissima appendice metodologica e le conclusioni. Sono proprio le relazioni di potere dentro e fuori i luoghi di lavoro ad essere studiate in modo privilegiato. Alla fatica del lavoro sotto le serre e nei magazzini, aggravata dalla sistematicità del lavoro grigio (ore ordinarie e straordinarie non pagate come da contratto, ridotto numero di giornate lavorative dichiarate, durata della giornata lavorativa non rispettata) e dal ricatto del lavoro nero e della disoccupazione, si accoppiano le difficoltà del vivere, dell’accesso alla casa, della segregazione spaziale. In questo contesto, però, sono continue le resistenze e le negoziazioni per vivere meglio da parte delle e dei braccianti, per ridurre lo sfruttamento ma anche la soggezione patriarcale e di classe e l’isolamento sociale e politico.
«È la relazione tra il sistema del lavoro e il fare quotidiano di questo» a essere al cuore di questo libro, in cui l’agricoltura industriale fondata sul sistema delle serre risulta l’esito di una molteplicità di pratiche e rapporti di forza che combinano in una maniera non distinguibile con precisione le strategie e tattiche dei diversi attori coinvolti, delle istituzioni, della politica, dei lavoratori e delle lavoratrici, delle imprese. In definitiva, forme specifiche di sfruttamento caratterizzano i rapporti di produzione di questa agricoltura industriale della Sicilia sud-orientale, ma le pratiche di resistenza e le tattiche di riappropriazione da parte delle lavoratrici e dei lavoratori sono continue e senza sosta.
UN ASSAGGIO
Introduzione
Il sistema del lavoro agricolo e il suo farsi quotidiano
C’è voluto del tempo prima che mi decidessi a riprendere le fila di un discorso che avevo accantonato più di due anni fa, con la fine del mio dottorato di ricerca. Due anni in cui ho condiviso con una generazione (più di una per la verità) di colleghi e di colleghe le angosce e gli affanni di una vita lavorativa precaria. Un tempo a cui ho destinato un’infinità di ragionamenti e di riflessioni intorno alle potenzialità di una ricerca, che pur avendo maturato un certo grado di distanza dalle caratteristiche che l’avevano originata – nel triennio 2012-2015 – ha, tuttavia, mantenuto un forte attaccamento al suo iniziale mandato: raccontare come vivono i lavoratori e le lavoratrici del comparto agricolo della provincia di Ragusa, per la maggior parte di origine straniera. Al termine di questi anni ho dovuto, infine, arrendermi all’idea che questo non fosse un lavoro sul mondo dell’agricoltura, o almeno non nella misura in cui lo si potrebbe intendere. Pur avendo contratto, in effetti, un debito assai generoso con una parte di letteratura interessata principalmente a spiegare il funzionamento delle filiere agroalimentari (Berlan, 1986, 2002; Colloca, Corrado et.al. 2013; Ortiz, Miranda et.al 2013; Gertel, Sippel, 2014; Lo Cascio, 2016) e ad analizzare, in particolare, le forme di reclutamento (formali e informali) della forza lavoro migrante nel settore primario (Avallone, 2012; Cortese, Spano, 2012; Perrotta, Sacchetto, 2012; Perrotta, 2014; Piro, 2014, 2015; Garrapa, 2016), in questo lavoro non ho potuto fare a meno, tuttavia, di mescolare saperi e conoscenze riconducibili al mondo rurale non meno che a quello dell’antropologia economica e delle migrazioni, della sociologia e dell’antropologia urbane, dell’economia informale, della storia locale e, infine, della filosofia. Le pagine che seguono si presentano, infatti, come una raccolta di storie, di testimonianze e di narrazioni stratificate, così come lo sono la società e il sistema del lavoro locali a cui esse si inspirano e a cui, in un certo senso, appartengono.
Nell’intervallo di tempo trascorso tra la consegna della mia tesi di dottorato e la scrittura di questa monografia, alcuni tratti del settore agricolo della provincia ragusana si sono via via modificati, uno su tutti, la sempre più numerosa presenza di richiedenti o titolari di protezione internazionale impiegati come braccianti nelle aziende agricole locali. Ho appreso di questi cambiamenti dalle sporadiche conversazioni telefoniche con gli amici di Vittoria – la città in cui ho condotto la ricerca – e dalle notizie diffuse nell’estate del 2017 dai media circa la presenza di richiedenti asilo tra i braccianti nelle serre del pomodoro. Diversamente dai contesti di agricoltura stagionale, all’interno dei quali la presenza dei richiedenti asilo era già stata registrata e resa nota da alcune ricerche condotte in questi territori (Sacchetto, Perrotta 2012), rendendosi pertanto necessaria l’individuazione di una nuova categoria di lavoratori e di un ulteriore meccanismo di sostituzione della forza-lavoro straniera, interpretato nei termini di una rifugizzazione della manodopera (Dines, Rigo 2015); nella provincia siciliana il reclutamento di richiedenti e titolari di protezione internazionale nelle aziende agricole è invece cresciuto recentemente di pari passo con l’aumento degli arrivi via mare e, soprattutto, con il consolidarsi di un sistema di accoglienza che ha acquisito sempre più le caratteristiche di un supermarket di manodopera in nero e a basso costo. Insieme ai numeri e alle statistiche ufficiali sulla composizione della manodopera migrante in questo settore del mercato del lavoro, è cresciuta, oggi, anche la consapevolezza sulle reali condizioni lavorative e di esistenza dei braccianti agricoli. Sulla scorta delle recenti disposizioni, entrate in vigore nel novembre del 2016, le forze dell’ordine hanno condotto, nell’estate del 2017, diverse operazioni di contrasto allo sfruttamento della manodopera straniera impiegata nel settore agricolo del territorio della provincia di Ragusa, portando allo scoperto procedure di ingaggio informali, assenza di sicurezza nei luoghi di lavoro, e un sistema di pagamenti a ribasso, stabiliti cioè, di volta in volta, sulla base della nazionalità del lavorato