Descrizione
Iside Gjergji
“Uccidete Sartre!”
Anticolonialismo e antirazzismo di un revenant
Con quattro scritti di Jean-Paul Sartre
Jean-Paul Sartre, uno dei più grandi pensatori del xx secolo, ha più volte rischiato la vita per aver lottato in difesa dei colonizzati. Per i sostenitori del colonialismo, le sue parole e il suo attivismo politico erano pericolosi, ostacoli da eliminare. Per i rivoluzionari e i movimenti anticoloniali, invece, erano fonte di ispirazione. Frantz Fanon volle soltanto lui per la prefazione a I dannati della terra.
Questo libro propone una puntuale analisi dei concetti di razzismo e colonialismo in Sartre. La tesi radicale a cui giunge la riflessione del filosofo è che il colonialismo sia un sistema, ovvero un meccanismo complesso posto alla base della produzione e riproduzione del capitalismo: il razzismo non rappresenta una sua semplice dottrina, ma una dimensione operativa, una violenza che giustifica se stessa.
In un momento storico in cui da diverse tribune si reclama a gran voce il ritorno al colonialismo, si moltiplicano e prolungano le missioni militari all’estero, si fortificano i confini nazionali in Europa e altrove, si intensifica il razzismo istituzionale e si costruiscono ovunque asimmetrie tra individui, classi e popolazioni, il pensiero di Sartre torna a essere centrale e imprescindibile anche per chi lo aveva frettolosamente archiviato.
Il libro raccoglie inoltre quattro scritti di Sartre, tra cui Il colonialismo è un sistema, universalmente considerato un contributo importante per l’analisi del fenomeno coloniale.
Iside Gjergji è sociologa e giurista. Si occupa di migrazioni, lavoro e razzismo. È Lecturer presso la Stanford University, Senior Researcher presso il Centro de Estudos Sociais dell’Universidade de Coimbra. Dirige e coordina il Laboratorio sull’Asilo al Master sull’Immigrazione dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Di recente ha pubblicato: Sulla governance delle migrazioni. Sociologia dell’underworld del comando globale (Franco Angeli, 2016), Circolari amministrative e immigrazione (Franco Angeli, 2013).
Rassegna stampa
CARMILLA – Pubblicato il 30 Gennaio 2019
Sartre e il razzismo come sistema di iper-sfruttamento
di Fabio Ciabatti
Possiamo considerare il razzismo come il prodotto di credenze e idee che nascono da una relazione negativa con l’alterità? La risposta appare ovvia per coloro che, partendo da un punto di vista liberal-democratico, cercano di contrapporsi alle falsità palesi di una propaganda che straparla di invasione della patria da parte di orde di extracomunitari coadiuvati da perfidi scafisti. Se, dati alla mano, la calata dei barbari non c’è, quale altra interpretazione dare al razzismo diffuso se non l’ignoranza e la paura dell’altro? Ebbene, secondo Sartre, un’altra spiegazione c’è: il razzismo non è un’ideologia separabile dalla pratica, ma una “violenza che si dà la propria giustificazione”, una “praxis illuminata da una ‘teoria’”. In altri termini, deve essere sempre pensato come “razzismo-operazione”1. Sottigliezze, si dirà. Non proprio, se seguiamo il ragionamento di Iside Gjergji nel suo libro Uccidete Sartre! Anticolonialismo e antirazzismo di un revenant, pubblicazione che raccoglie anche quattro testi del filosofo francese (Il razzismo è un sistema, “Voi siete formidabili”, Una vittoria e “Da una Cina all’altra”). Possiamo rendercene conto se, insieme all’autrice, mettiamo a confronto la concezione sartriana con quella postcolonial che considera il razzismo sostanzialmente come una formazione discorsiva e simbolica. L’egemonia dell’approccio postcolonial, sostiene Gjergji, ha contribuito alla scomparsa delle posizioni sartriane dall’orizzonte accademico, perpetrando un “omicidio culturalista” del grande pensatore. Per dirla tutta, l’autrice parla anche di un “suicidio” del filosofo francese che ha contribuito alla sua eclisse, con particolare riferimento all’appoggio dato allo stato di Israele a detrimento della causa palestinese. La questione del suicidio è importante e sconcertante, se consideriamo il curriculum sartriano, ma in questa sede ci limitiamo a menzionare per questioni di spazio… continua a leggere…
QUIEORA – 15/12/2018 di admin
Sartre e noi
Alcune note a partire dal libro di Iside Gjergji, “Uccidete Sartre!”Anticolonialismo e antirazzismo di un revenant, Ombre Corte, Verona 2018
di Andrea Russo
Lo spirito del tempo dice che non c’è più bisogno di teoria. La società dello spettacolo integrato ha reso superflua la figura del filosofo e dell’intellettuale novecentesco. Nuove figure, nuovi personaggi hanno preso il sopravvento: giornalisti, opinionisti, militanti da tastiera, intellettuali mainstream. Figure evidentemente diverse, ma che tuttavia convergono in unico punto: il ripudio sistematico di ogni theorein, cioè il ripudio di ogni pensiero teorico capace di conquista e identificazione della verità. Se mettiamo a confronto il grande pensiero del Novecento con il pensiero del primo decennio del XXI secolo, non si può non ammettere che mai ci fu notte più oscura per il pensiero.
Il problema è che l’eclisse del pensiero che contraddistingue il nostro presente è un qualcosa che sta anche al fondo dell’essere militante. Oggi sono sempre di meno coloro che sono convinti che un pensiero non è solo un pensiero, ma anche un atto di trasformazione rivoluzionaria. Nei sempre più esigui ambienti militanti si teme il pensiero come si teme un nemico… continua a leggere…
UN ASSAGGIO
Jean-Paul Sartre: un’inedita sociologia del dominio coloniale
– Che si diceva ieri a Parigi?
– Niente. È uscito un altro articolo di Sartre.
– Mi spiegate perché i Sartre nascono tutti dall’altra parte?
– Allora, le piace Sartre, colonnello?
– No, ma mi piace ancora meno come avversario.
Philippe Mathieu
Ditegli che penso a lui ogni volta che mi metto alla mia scrivania, […] lui che scrive delle cose così importanti per il nostro avvenire.
Frantz Fanon
1. Attentare alla vita di un militante in situazione
Jean-Paul Sartre è stato uno dei più grandi pensatori del xx secolo. L’impossibilità di chiudere dentro i confini disciplinari tutti i problemi filosofici, etici, politici, sociologici, antropologici, psicoanalitici, letterari e visuali da lui affrontati lo rende anche l’ultimo intellettuale totale, ovvero l’ultimo a essersi impegnato a fornire un chiarimento complessivo della condizione umana. L’influenza della sua parola sui contemporanei non conosce pari. Era adorato e temuto: “monumento nazionale”, “maestro”, “capo del neo-surrealismo”, ma anche “macchina da guerra civile” (come scrisse “Paris-Match” nel 1960), oppure “corruttore patentato della gioventù” e “becchino dell’Occidente”, come lo definì Gabriel Marcel, filosofo e portavoce dell’esistenzialismo cattolico. La Chiesa, del resto, aveva messo all’indice le sue opere sin dal 30 ottobre 1948. I partiti stalinisti, Pcf e Pcus in primis, non hanno mancato di lanciare i loro periodici anatemi contro di lui. Le istituzioni dello Stato provarono, con tutti i mezzi, a comprarlo o annientarlo, senza mai riuscirci. Sartre respinse con determinazione ogni loro riconoscimento: rifiutò la Légion d’Honneur nel 1945; declinò con sarcasmo, nel 1949, l’offerta di François Mauriac di far parte dei quaranta “immortali” dell’Academie Française, affermando di non poter imparare l’eguaglianza in compagnia di coloro che mettono in mostra “il loro senso di superiorità”; non accettò di far parte di un’altra istituzione sacra della cultura francese, il Collège de France e, infine, nel 1964, rifiutò perfino il premio Nobel. Rispose con disprezzo alle lusinghe di Charles de Gaulle, il quale, dalle pagine di “Le Monde” (25 aprile 1967), si era rivolto a lui chiamandolo ossequiosamente “Mon Chèr Maître”:
Bisogna mettere bene in evidenza che egli [de Gaulle] intende rivolgersi all’uomo di lettere e non al presidente del tribunale (il tribunale Bertrand Russell sul Vietnam) che è determinato a non riconoscere. Non sono il “Maître” di nessuno, eccezion fatta per il cameriere del bar che sa che io scrivo.
Amato e odiato, commentato e criticato più di qualsiasi altro intellettuale, Jean-Paul Sartre ha rischiato la vita soltanto per essersi battuto contro il colonialismo e il razzismo. Nel mese di ottobre del 1960, una folla inferocita, composta da più di cinquemila veterani della guerra d’Algeria e terroristi dell’Oas, marciò lungo gli Champs-Elysées dietro un unico striscione e slogan: “Uccidete Sartre!”. Tre furono le bombe utilizzate per eliminarlo fisicamente: due piazzate nel suo appartamento – la prima il 19 luglio 1961 e la seconda il 7 gennaio 1962 – e una negli uffici della rivista da lui fondata, “Les Temps Modernes”, in data 13 maggio 1961.
Che cosa aveva fatto quest’uomo per attirare un simile odio su di sé? Quali delle sue parole terrorizzavano i sostenitori del colonialismo? E, soprattutto, perché ora quasi nessuno ricorda queste sue parole?
Sartre, infatti, non è noto ai più come teorico dell’anticolonialismo e antirazzismo. A differenza di altri (molti dei quali suoi amici e interlocutori), come Aimé Césaire, Albert Memmi, Frantz Fanon, Léopold Senghor, Richard Wright e James Baldwin, Sartre non dedicò le sue maggiori energie alla scrittura di lunghi testi sulla questione razziale e coloniale. Su questi temi, infatti, non ci ha lasciato alcuna opera sistematica e coerente. Ciononostante, egli fu uno dei pochi intellettuali europei che, negli anni che seguirono la liberazione europea dal nazifascismo, sostenne con coraggio e generosità le lotte degli intellettuali della “negritudine”, al punto da essere definito anche “il filosofo africano”.