Descrizione
Amílcar Cabral
Per una rivoluzione africana
Il ruolo della cultura nella lotta per l’indipendenza
Introduzione e cura di Livia Apa
Amílcar Lopes da Costa Cabral è stato uno dei più importanti ideologi e politici dell’intero processo di decolonizzazione del continente africano, e i suoi scritti sono ancora oggi un punto di riferimento per approfondire il pensiero anticoloniale. Per Cabral, infatti, la lotta per l’indipendenza è inseparabile dalla lotta per un cambiamento culturale nel continente africano. La cultura è al centro della sua azione rivoluzionaria, in un contesto come quello delle ex colonie portoghesi in cui il salazarismo aveva imposto una logica assimilazionista secondo la quale le culture locali dovevano essere cancellate a favore di un modello culturale esogeno, quello portoghese appunto. Rivendicare i valori culturali nazionali significa, per Cabral, recuperare il rapporto tra fatto culturale e fatto economico, tra immaginazione sociale collettiva e uso del sistema produttivo. Recuperando la propria cultura, l’Africa l’avrebbe usata come strumento di mobilitazione politica, prima attraverso la lotta armata, poi con la creazione di Stati sovrani, rivendicando finalmente la sua appartenenza alla storia.
Il libro raccoglie i testi più significativi della produzione intellettuale cabraliana, che ha occupato un posto speciale in Italia negli ambienti che sostenevano il processo di decolonizzazione dell’Africa negli anni Sessanta e Settanta.
L’antologia è preceduta da una introduzione di Livia Apa che traccia un profilo della sua figura di intellettuale e uomo politico, sottolineando l’attualità del suo pensiero.
Amílcar Lopes da Costa Cabral nasce il 12 settembre 1924 in Bafatà (Guinea Bissau). Studia agronomia a Lisbona, dove rimane fino al 1952. Nel 1956, con il fratello Luís fonda il Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde. Muore assassinato il 20 gennaio 1973 a Conakry, poco prima dell’indipendenza del suo paese.
UN ASSAGGIO
Introduzione
Per una rivoluzione africana, ovvero l’arma della teoria
di Livia Apa
Angela Davis, in un contributo raccolto nel corposo volume organizzato da Firoze Manji e Bill Fletcher Jr, Claim no easy Victories. The legacy of Amílcar Cabral in occasione del quarantesimo anniversario dell’assassinio del leader storico del Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde (paigcv) che ebbe luogo a Conakry il 20 gennaio 1973, ne presenta un appassionato ritratto restituendo al suo pensiero una forza rivoluzionaria intera, capace di influenzare tutti movimenti che negli anni Sessanta e Settanta non lottavano solo contro il colonialismo ma anche a favore di tutti i diritti civili: “Thanks to Cabral, we recognised that our very conception of Black liberation which distinguished our strategies and goals from that of an approach based strictly on civil rights, was closely linked to national liberations struggles in Africa”. Parliamo di un’epoca in cui, come è noto, i rapporti tra i leader dei movimenti anticoloniali africani, il movimento anti-apartheid e i movimenti anti-imperialisti, le Black Panthers e i movimenti di rivendicazione negra tessevano una fitta tela passando per città come Algeri, Conakri, Rabat, Kartum e La Havana. Angela Davis, dichiara nel suo saggio citato dal titolo Memories of Black Liberation che Cabral era più di un simbolo per lei e i suoi compagni di lotta, per la forza della sua teoria che aveva saputo creare un nesso inseparabile tra lotta di liberazione e rivoluzione culturale, elemento senza il quale nessun processo rivoluzionario avrebbe mai potuto essere considerato compiuto. Il pensiero di Cabral si muove, infatti, su una doppia dimensione: un costante richiamo alla specificità dei contesti in cui si avvia un determinato processo rivoluzionario e, al contempo, un modello di pratica rivoluzionaria universale perché universale è la necessità di ogni lotta per il riconoscimento del diritto alla specificità culturale di ogni contesto. La recente fortuna critica degli studi sul pensiero di Cabral mi sembra seguire questa traccia, promuovendo una riflessione che si allontana dalla sua mera celebrazione come eroe e mentore delle indipendenze africane che per quasi cinquant’anni lo ha dipinto come un’icona, una specie di Che Guevara della resistenza contro il colonialismo delle ex colonie portoghesi e non solo. La lettura più recente del suo pensiero privilegia invece un approfondimento della specificità delle sue posizioni teoriche rispetto ad altri pensatori anticoloniali soprattutto francofoni (primo fra tutti proprio Franz Fanon) che si articola proprio intorno al modo in cui Cabral struttura un’idea di cultura intesa come elemento centrale per portare a termine un radicale processo di decolonizzazione. La lotta di liberazione per Cabral è stata innanzitutto, come egli stesso ha più volte affermato, un atto di cultura, perché è solo partendo dalla conoscenza e dalla rivendicazione della dignità della propria cultura di appartenenza che si diventa liberi. Nelle pagine che seguono proponiamo sei saggi ancora inediti in italiano che riflettono sul concetto di cultura. Si tratta di saggi molto diversi tra loro, a causa dei diversi contesti in cui sono stati scritti, dei diversi tipi di pubblico/lettore per cui sono stati pensati, prodotti nell’arco di circa vent’anni, partendo dai primissimi anni europei di Cabral fino a poco prima della sua morte.
Nato a Bafatá, in Guinea Bissau nel 1924, Amílcar Cabral, otto anni dopo, si trasferisce con la famiglia a Capo Verde, nell’isola di Santiago. Viene cresciuto dalla madre che faticosamente provvede alla sua formazione. Nel 1937 comincia i suoi studi nel liceo di São Vicente (una delle poche scuole superiori esistenti nelle colonie portoghesi), a Mindelo, capitale culturale dell’arcipelago, dove un anno prima dell’arrivo di Cabral era cominciata l’esperienza della rivista “Claridade”. Intorno a questa rivista si erano infatti agglutinati una serie di intellettuali che cominciano a veicolare una richiesta di emancipazione dal modello culturale imposto dal Portogallo, promuovendo l’importanza di un’educazione estesa a tutta la popolazione assieme ad un’idea di cultura che, veicolata dall’esperienza del romanzo nordestino brasiliano e del neorealismo portoghese, fosse capace di ritrarre la realtà locale. Si tratta di un’esperienza importante non solo per Capo Verde, visto che il loro richiamo alla necessità di una rappresentazione realista del contesto in cui ci si trova a vivere, servirà di esempio per le altre colonie portoghesi. Rivendicare una identità culturale capoverdiana specifica voleva dire, in quegli anni, contrapporsi all’ideologia assimilazionista del Portogallo che tendeva invece ad azzerare le specificità culturali dei paesi che aveva colonizzato, relegandole nello stretto recinto di un esotismo di maniera.