John Collins
Ross Glover (a cura di)
Linguaggio collaterale
Retoriche della "guerra al terrorismo"
 
L'indice - n. 4, aprile 2006

La grande alleata

di Laura Mollea

Le guerre hanno sempre dato un grande contributo alla lingua. E la linguistica - non sempre ma in questo caso sì - può d are un significativo contributo alla comprensione di scelte politiche e derive storiche in atto. Un rapporto, quello tra guerra e lingua, che va quindi considerato in termini di reciproco arricchimento e vitalità: la guerra dà origine a nuove connotazioni, associazioni, paralleli, eufemismi e metafore - in una parola a nuove retoriche, e la lingua è altresì in grado di legittimare nuovi conilitti plasmando adeguati presupposti ideologici.
"Lollateral Language. A User's Guide to America's New War", edito in italiano per Ombre Corte nella collana "Americane" diretta da Roberto Cagliero e Stefano Rosso, è pertanto un prezioso strumento di analisi delle operazioni linguistiche (e della volontà politica sottesai che hanno dato forma alle tensioni e ai dis/equilibri presenti dagli anni novanta dopo il crollo del muro di Berlino, e stigmatizzati nel decennio in corso - con eclatante e chirurgica definizione - a partire dall'undici settembre e dalla cosiddetta "guerra al terrorismo".
Il testo è articolato in brevi capitoli dedicati, come in un lemmario, ai diversi termini chiave che configurano il lessico politico-militare contemporaneo: espressioni che rimandano a una rete di concetti identificativi per la nostra civiltà e che attraverso la ripetizione diventano degli assoluti, quali ad esempio "fondamentalismo", " giustizia", "civiltà contro barbarie", "libertà", "terrorismo", "unità", "viltà", "male", " antrace", " obiettivi", " interessi vitali", "Jihad"; accanto all'analisi quantitativa del termine in oggetto, a partire dalle sue prime occurrences sia sugli organi di comumcazione dl massa sla su quelli degli uffici stampa militari amerlcam, i saggl dl questo volume propongono un'analisi degli eufemlsml e del concetti evocat (assieme a quelli che talora essi vanno a sostituire, esempio ne sia proprio "collateral darnage" in luogo di "civilian casualties", le vittime civili: scelta che indebolisce l'impatto dell'azione violenta e implica la mancanza di intenzionalità), e quindi evidenziano le finalità a cui tali strategie discorsive rispondono. I testi, composti da docenti e ricercatori americani di varie discipline tra cui lingua inglese, storia filosofia, glol3al studies, sociologia, scienze politiche, offrono inoltre degli spunti di approfondimento con l'indicazione bibliografica delle letture consigliate per ognuno degli argomenti, e in appendice un elenco delle fonti d'informazione alternative ai principali media americani.
La lingua di Linguaggio collaterale è perciò una lingua che svela - o meglio ribadisce - il suo ruolo di insostituibile alleata della guerra in alcuni dei suoi presupposti indispensabili: innanzitutto la trasformazione dell'"altro" in "nemico", e in secondo luogo la creazione o il mantenimento del consenso per chi la guerra la segue da casa, dalle immagini televisive, dai notiziari e dagli articoli di giornale, mediante la riformulazione in termini accettabili, o almeno poco, di azioni "eticamente problematiche". Le due strategie hanno maggiore efficacia se accompagnate da un terzo discourse, quello della minaccia insidiosa, imminente e invisibile (vedi l'antrace) da associare emotivamente al nemico. Tutte queste operazioni linguistiche diventano pervasive soprattutto quando fanno appello a concetti già esistenti e proposti in modo da non risultare problematici, al punto che nessuno ritiene di doverli definire. È da questa griglia ideologica, che fa ricorso a termini grandiosi ma ambigui (libertà, giustizia, unità, bene e male...), che si sono affermati i conflitti più recenti come forma di vittoria della civiltà sulla barbarie.
Niente di nuovo, si potrebbe osseNvare, rispetto alle lucide osseNazioni di Orwell in 1984 sulle basi linguistiche della propaganda e dei totalitarismi. Il rapporto tra lingua e manipolazione è noto a tutti - sebbene il curatore dell'edizione italiana segnali che un numero rilevante di studenti universitari interpellati ignora la derivazione letteraria di "Grande fratello", ritenendolo niente altro che il titolo di un reality sbow. La novità peculiare che invece sembra emergere dai capitoli di questo volume sulla retorica del lessico politico americano più recente è che esso ci porta a riflettere e a riconoscere un lessico simile anche tra le fila del discorso discorso politico europeo che, per tradizione cultura, è sempre stato piuttosto lontano da tendenze patriottiche tipicamente americane. E misura del processo di curopeizzazione del "patriottismo" - dove essere patriottici significa essere un po' più al sicuro dal "terrorismo" - è anzitutto l'incorporazione nella stampa europea del lessico descritto in questo libro.


Affari Italia Venerdí 10.03.2006
Libri/ Antrace, jihad, libertà, giustizia... Ecco il "linguaggio collaterale" della retorica di Bush...

A quattro anni dalla sua pubblicazione negli Stati Uniti, esce ora in Italia il volume "Linguaggio collaterale" (edito da Ombre Corte e curato da Roberto Cagliero), una raccolta di saggi scritti da un gruppo di docenti della St. Lawrence University, i quali, un mese dopo il crollo delle Torri Gemelle e parallelamente all’intervento americano in Afghanistan, tentarono di fornire un primo studio “a caldo” della retorica politica e mediatica utilizzata dall’amministrazione Bush e dai mezzi di informazione occidentali.
Il titolo della raccolta fa riferimento non senza ironia a uno degli eufemismi più inquietanti degli ultimi anni, i cosiddetti danni collaterali, ovvero le vittime civili “involontariamente” causate dalle bombe intelligenti.
Organizzato in ordine alfabetico come un dizionario, questo volume da un lato analizza parole-chiave come antrace, terrorismo e jihad, verificandone l’utilizzo strumentale e demagogico attraverso lo studio di articoli, interviste e trascrizioni delle sedute del Congresso; dall’altro recupera termini più generici come unità, libertà e giustizia, ripercorrendone la proliferazione e contaminazione semantica dalla Dichiarazione d’Indipendenza all’operazione Enduring Freedom. Lo scopo dei docenti/autori, infatti, era fornire ai lettori un apparato di strumenti critici che, attingendo alla sociologia, all’analisi del discorso e ai recenti global studies, permettesse l’accesso a un percorso di interpretazione degli avvenimenti storici indipendente e alternativo all’imperativo morale del “con noi o contro di noi” imposto da Bush e dai suoi alleati dopo l’11 settembre.
Il punto di forza di "Linguaggio collaterale", che ne rende interessante la lettura malgrado lo scarto temporale rispetto alla pubblicazione americana (o forse proprio grazie a esso), è la lungimiranza delle previsioni: i saggi, scritti tra il novembre e il dicembre 2001, già delineavano con una certa chiarezza il decorso della guerra in Afghanistan, l’attacco e la successiva occupazione militare in territorio iracheno, nonché il possibile coinvolgimento dell’Iran come oggetto di preoccupazione e di “interesse” delle politiche estere occidentali.



L'Arena - Giovedì 30 Marzo 2006

La retorica della guerra al terrorismo spiegata da due americanisti
di Simone INCONTRO

La rassegna d'incontri organizzata dalla Società letteraria intitolata "Linguaggi della guerra linguaggi nella guerra" è stata inaugurata da due americanisti: Roberto Cagliero, professore all'Università di Verona e curatore dell'edizione italiana del libro "Linguaggio Collaterale. Retoriche della "guerra al terrorismo" (Ombre Corte, 2006) e Oliviero Bergamini, giornalista di Rai 3, docente di Storia dell'America del Nord all'Università di Bergamo e autore di "Democrazia in America?" (Ombre Corte, 2004). Il confronto ha preso spunto dal libro curato da John Collins e da Ross Glover, entrambi professori della St. Lawrence University di New York "Collateral Language", uscito a ridosso dell'11 settembre 2001. I due accademici americani hanno ricostruito l'apparato linguistico che, nella fase successiva all'undici settembre, anticipò i bombardamenti sull'Afghanistan prospettando una situazione di guerra permanente. Il libro non ha perso la sua attualità e la sua originalità perché la retorica politico-militare della "guerra al terrorismo" portata avanti dall'amministrazione americana non è cambiata nel corso degli anni. Nel dibattito che si è tenuto in Letteraria, Cagliero e Bergamini hanno sostenuto che in America c'è stata una preparazione della popolazione alla guerra, quasi come un'operazione di marketing che ha seguito vere e proprie strategie comunicative per persuadere i cittadini americani. Cagliero ha evidenziato i meccanismi linguistici intenti a distrarre l'America da quella che è la realtà della guerra ed ha parlato del presidente Bush e del suo costante riferimento a parole semplici ed efficaci come "terrore", "asse del male" "crociata" e quelle che sono assegnate alle varie operazioni militari ("Giusta Causa", "Riportare Speranza") e si sono trovate forti somiglianze tra il linguaggio politico del ventunesimo secolo con i concetti della letteratura americana dell'Ottocento.
Bergamini ha escluso la presenza di grandi burattinai che censurano a loro piacimento le notizie scomode e ha tenuto distinti il mondo dei media sempre più bulimico e ossessionato dall'audience e la strategia comunicativa, non sempre invincibile, delle amministrazioni e dei militari americani; il professore dell'Università di Bergamo ha individuato nella guerra del Vietnam lo spartiacque del mondo delle notizie: da quel momento della storia non si può parlare di "propaganda" ma il termine adatto è news management, ovvero si presenta la guerra come una cosa tecnicamente e chirurgicamente pulita, senza danni collaterali. La preoccupazione delle autorità d'Oltreoceano è, infatti, quella di anestetizzare l'opinione pubblica e non dimostrare la realtà della guerra come le torture, i morti e le manifestazioni di dissenso da parte dei pacifisti.
Il dibattito veronese è stato un importante appuntamento per presentare "Linguaggio Collaterale", un'opera che ha sollevato interesse all'interno di una nicchia accademica politicamente più attenta alla forza del linguaggio ed ha abbracciato in modo ideale le parole scritte da John Collins nell'introduzione del libro: "Tutti noi vogliamo libertà e giustizia, e tutti noi ci opponiamo al male e al terrorismo, ma raramente c' interroghiamo sul significato di quei termini: crediamo di sapere che cosa significano finché non cerchiamo di definirli."



IPERSTORIA recensione



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