Gianluca Trivero
La camera verde
Il giardino nell'immaginario cinematografico
 
Il Secolo XIX - 21 ottobre 2004

Tra giardino e cinema a colpi di citazione

di CARLO ROMANO

Ho visitato per la prima volta il Museo Nazionale del Cinema di Torino, dopo la sistemazione all'interno della Mole Antonelliana, soltanto poche settimane or sono. L'impatto è stato strabiliante e la visionarietà dell'edificio ha moltiplicato l'effetto già di per sé emotivo dell'allestimento, giocato fra l'indovinata ricerca dello stupore - psichedelico, in qualche modo - e il percorso didascalico.
All'interno del Museo trova posto anche una bella libreria specializzata nella quale i volumi sono disposti in larga parte a vista, frontalmente. Ad ogni modo, nonostante la comodità dell'esposizione, non saprei dire se c'era il volume di cui parlerò fra poco (è plausibile che non fosse ancora entrato in distribuzione). Trovandomi a Torino mi ero ripromesso di telefonare a una vecchia conoscenza che non sentivo da anni, ma il tentativo si è poi rivelato inutile. Tornato a casa mi vedo recapitare un libro: l'autore era proprio l'amico in questione e l'argomento era il cinema! La fama di Torino quale "città magica" non era dunque smentita. Dalla schedina editoriale del volume apprendevo poi che Gianluca Trivero - insomma, lui, la vecchia conoscenza - cura dal 1996 la rubrica di cinema del mensile "Gardenia", e questo dà la misura di quanto ormai ci fossimo persi di vista. Lo ricordavo quale giovane saggista che fra antropologia, sociologia, letteratura, storia delle idee - spesso in combutta con l'amico Paolo Prato - si appassionava principalmente ai mezzi di locomozione - e un'altra scoperta è che due anni fa ha pubblicato (vi prego di condividere con me la sorpresa) un libro su "L'ascensore" (De Ferrari, Genova 2002).
Ma il suo nuovo campo di indagine mi ha tutt'altro che stupito. In definitiva si è sempre e solo occupato delle possibilità che ha l'immaginazione di interferire nella vita di tutti i giorni e in questo "La camera verde", vale a dire "il giardino nell'immaginario cinematografico" (Ombre corte, Verona 2004), non si smentisce. A titolo che non vuol essere semplicemente statistico, avverto che i film citati nel libro, se ho contato bene, sono 139 (e auspico indulgenza se ho evitato la conta del numero dei giardini).
Col tocco appassionato dello spettatore e la sicurezza di chi ha cognizione, Trivero usa il giardino e il cinema per riparlare del cinema e del giardino. Che muova da veri e propri parchi, che sposti l'attenzione sugli arcani del mondo vegetale quali sono vaticinati in certe opere di fantascienza, che azzardi un nesso di amore e morte nell'uso che nei suoi grandi western John Ford fa della contrapposizione fra il deserto e le piante domestiche, ci si ritrova in questo libro a fare i conti sul come continuamente reinventiamo il mondo, magari ponendo semplicemente una pianta sul davanzale, così da ancorare artificialmente il respiro della natura al luogo artificiale che riconosciamo come nostro. Un architetto del XVIII secolo, Carmontelle, scriveva di un suo progettato giardino come di uno spazio nel quale si potevano saggiare "tutti i tempi e tutti i luoghi". Possibile? Nel Settecento si andava già al cinema?



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