Burhan Hassani
Lorenzo Monasta
Vite costrette
Un viaggio fotografico nel campo rom del Poderaccio
 
il manifesto - 1 Novembre 2003

Scatti di una vita negata
Un libro fotografico sul campo rom di Ponderaccio a Firenze

di GIOVANNA BOURSIER

In ogni periferia urbana, ai margini delle grandi città, vicino a una dicarica, agli scarichi industriali, spesso sotto una tangenziale o uno svincolo autostradale, sulle sponde di un fiume, si trovano i rom. Abitano nei campi-nomadi, monumenti postmoderni all'esclusione, recinti che accumulano uomini, donne e bambini in condizioni disumane. Non a caso Burhan Hasani e Lorenzo Monasta hanno intitolato il loro libro Vite costrette (edizioni ombre corte, pp. 55, € 8). Un viaggio fotografico nel campo rom del Poderaccioa Firenze, collocato su una collinetta in riva all'Arno. La collinetta è artificiale, costruita su rifiuti tossici. Nato come soluzione temporanea continua a esistere da più di tredici anni: un area di seimila metri quadrati in cui vivono quasi quattrocento persone, in gran parte macedoni e kosovari. I due autori, che fotografi non sono - Hasani é un rom nato in Jugoslavia che ha vissuto al Poderaccio nove anni, Monasta un ricercatore sociale che si occupa di paesi in via di sviluppo - usano comunque bene le immagini, per restituirci il racconto di un luogo di vita negata e diritti sospesi. E lo fanno con intelligenza, costruendo il libro come una sorta di guida per chi un campo non l'ha mai visto.
La prima foto è quindi quella dell'ingresso. Poi c'é "via del corso, quella più pulita". Ai lati altre strade, più strette, sulle quali si affacciano le roulotte e le baracche, sotto imponenti tralicci dell'alta tensione. I panni stesi e le bicilette, i bambini che guardano l'obiettivo e sorridono, la vecchina che non vuole farsi fotografare mentre lava una scopa, marito e moglie che si abbracciano, le cucine messe in ordine, le tende con i merletti, i tappeti lasciati fuori a prendere aria, tutto rivela l'assurdità di una vita che si vorrebbe "normale".
Fuori, il nulla di una discarica di rifiuti ospedalieri, di una fabbrica di asfalto e di un canale che raccoglie le fogne a cielo aperto del campo e che spesso straripa.
Non resta che tornare dentro, nella precarietà di chi resta nel fango e tra i topi, che usa da anni bagni chimici e si arrabatta tra cavi elettrici e centraline dell'acqua fatiscenti. Perché, come scrivono gli autori, lì dove si scaricano "residui umani, vuoti a perdere prodotti dalla civiltà dell'esclusione ci sono persone che cercano di dare senso alla loro vita". Comunque.
Ma non è facile in un posto che toglie dignità e dove si continua a vivere nella paura: del freddo e del fuoco, dicono le foto. Solo qualche mese fa l'ennesima baracca si è incendiata, i pompieri sono arrivati tardi perché non hanno creduto all'allarme, gli automezzi non riuscivano a passare tra le baracche e una bimba é morta bruciata. Una fra tanti, qui.



Tutti i diritti riservati. Copyright © 2005 ombre corte edizioni
Via Alessandro Poerio, 9 - 37124 Verona - Tel. e Fax 045 8301735