Pippo Russo
L'invasione dell'Ultracalcio
Anatomia di uno sport mutante
 
La stampa Web,18 aprile 2005

LA RECENSIONE
di Andrea Parodi

Parmenide o Eraclito. L’essere è, senza differenziazioni interne; tutto ciò che concerne invece la particolarità dell’individuo è apparenza, illusione. Insomma, per il primo, l’Eleatico, domina un’essenza statica. Per il secondo, quello del celeberrimo «panta rei», esiste solo il mutamento continuo, domina quindi il divenire, non si può mai fare il bagno due volte nello stesso fiume, perché lo scorrere è la legge peculiare della vita. Il dilemma in un certo senso amletico ha attratto la proverbiale lucida analisi calcistica di Pippo Russo. Ne è venuto fuori un agile libretto.
Il campo di ricerca è il calcio degli ultimi tre lustri. Russo opta per Eraclito, il calcio è in continuo divenire e ne indaga le cause, ne trae implicazione psicologiche e sociali a diversi livelli. Che il calcio non sia più quello della generazione trascorsa, pare evidente in modo macroscopico da numerose microrealtà. Come dire che se un acuto osservatore del calcio come fu Pier Paolo Pasolini, nell’ipotesi dell’irrealtà di terzo tipo assistesse oggi ad un incontro di pallone a stento si orienterebbe nello spettacolo che avrebbe sotto gli occhi. Il portiere teso ad evitare di toccare nella sua area il pallone con le mani calciato indietro da un proprio difensore. Le casacche defraudate della loro sacralità a favore di loghi pubblicitari, scritte di identificazione, numerazioni casuali quanto insignificanti. L’alzarsi al termine dei tempi regolamentari di un cartellone elettronico con un numero indicante i minuti da recuperare. Se poi il buon Pier Paolo potesse ritornare sulla terra per un weekend scoprirebbe, oltre alla scomparsa del rito domenicale dell’unico orario per tutti gli incontri di campionato, una serie ininterrotta di una decina di partite disseminata dal venerdì al lunedì sera, fra anticipi e posticipi di serie A e B.
Soprattutto scoprirebbe la possibilità di assistere a tutte le partite in televisione, la fruizione di un «Tutto il calcio minuto per minuto» sullo schermo casalingo. Da uomo di cultura quale fu, rimarrebbe stupito dalla povertà di linguaggio sopraggiunta. Con le combinazioni esterno, interno, difensore, centrale, punta, più destro e sinistro si conclude asetticamente la nomenclatura dei ruoli; al bando quindi il terzino, lo stopper, il libero, il mediano di copertura, il laterale di spinta, mezzala di regia e di punta, ala, centravanti, con il tesoro secolare delle loro connotazioni.
Non solo. Dovrebbe adattarsi a neologismi e forestierismi come ripartenze e tap-in. Davvero uno stravolgimento in uno sport che si era rafforzato e stabilizzato per oltre mezzo secolo, in cui ci si riconosceva adattandosi ad un codice ben oliato.
Pippo Russo, si diceva, si è chiesto, le cause di questa disciplina improvvisamente così mutante. Cause di per sé nobili: il prediligere il gioco d’attacco, la richiesta di risultati pirotecnici. E così si vuole premiare chi è votato alla vittoria a danno di chi si arrocca alla ricerca del pareggio con l’introduzione dei tre punti per ogni incontro vinto. Si è puntato sul gioco veloce con l’adozione di tattiche a zona. Ma ogni medaglia, per quanto serenamente luccicante, ha un suo rovescio. Si è snaturata la matrice ancestrale della schermaglia scacchistica di chi è più debole e cerca di neutralizzare il più forte; si è violentata la stessa natura di un gioco di squadra votato a punteggi bassi, dove lo 0-0 è un risultato canonicamente dignitoso, così come per anni hanno pontificato i padri teorici del football italico, da Annibale Frossi a Gianni Brera.
Il calcio ha subito quindi profonde trasformazioni anche regolamentarti; solo il volley è stato maggiormente violentato. Uno sport – il calcio – dunque in continuo divenire. La riflessione che si pone Pippo Russo sulla fine del suo saggio è come gli amanti del calcio abbiano subito quasi senza accorgersene questi profondi cambiamenti. Probabilmente fa parte della stessa natura dell’uomo, destinato a divenire, a mutarsi, a oscurare col tempo verità che parevano luminose quanto consolidate. Si aggiunga che ciò è avvenuto in una contestualità di tacita sottomissione ad un consumismo senza più confini, in spazi ferrei di globalizzazione imperante. Il che contribuisce a narcotizzare gli abitanti del pianeta.
Ma la realtà mutante del calcio è davvero totalmente così sconfortante? Non si può vedere il bicchiere mezzo pieno? Il piegarsi alle leggi della televisione e degli sponsor, con il ciclo continuo di performance agonistiche, ha tolto il fascino dell’attesa e spreme eccessivamente psico-fisicamente i calciatori, con ricadute dannose per l’estetica. Ma ciò fa aumentare la circolazione di denaro, aumenta offerte e richieste di lavoro. Si aprono spazi impensabili per l’«indotto» calcistico, vedi stimolanti rotocalchi televisivi, vedi una fertile vena editoriale. Certo può essere penalizzata la poesia del gioco, ma anche qui rientra in un discorso più generale, valido anche per la letteratura, territorio ad essa pertinente: qual è la vera poesia? E’ sempre difficile trovarla, ma quando si manifesta anche oggi (Zidane, Ronaldinho) è bella davvero e rimane scolpita nel cuore e nella memoria.


Intervista a Pippo Russo

Pippo Russo insegna Sociologia delle comunità locali e Politiche sociali presso l’Università di Firenze, e Sociologia dello sport presso l’Università di Teramo. E’ corsivista per «Il Messaggero», «l’Unità» e «GQ». Di recente ha pubblicato Pallonate. Tic, eccessi e strafalcioni del giornalismo sportivo (Meltemi, 2003) e Sport e società (Carocci, 2004).. D: Qual è stato il peso di Blatter negli ultimi 15 anni?

R. E’ stato determinante, purtroppo. La massima parte dei mutamenti che descrivo nel libro, e che si sviluppano proprio nel quindicennio cui si fa riferimento nella domanda, sono effetto di suoi interventi diretti o di sviluppi endogeni che lui ha benedetto o non ostacolato. Guardando al potere di quest’uomo, è difficile riscontrare al giorno d’oggi esempi analoghi di autocrazia. La cosa risulta ancora più stupefacente, e misteriosa, se si consideri che quest’uomo abbia assunto formalmente il potere di guidare i destini del calcio mondiale soltanto nel giugno del 1998, alla vigilia del mondiale francese; ma che, di fatto, egli dettasse gli indirizzi politici e tecnici della Fifa già almeno dal ’90, quando presidente era ancora il brasiliano Joao Havelange. Si deve a Blatter la diffusione di quello che nel libro ho definito il pensiero unico attaccante. L’idea-forza su cui questa forma di pensiero unico si basa assume che sia necessario diffondere una forma spettacolare di calcio, e che quest’ultima coincida con il gioco d’attacco. Che andrebbe tutelato da ogni forma di ostruzionismo e eccesso difensivo. Per quanto mi riguarda, ho sempre pensato che il calcio sia equilibrio, sia fra le forze in campo che nel gioco. Il Carnevale del gioco d’attacco che Blatter vorrebbe imporre è una forma di calcio-highlights, molto americaneggiante ma scarsamente rispettosa della tradizione di uno sport che fa dell’equilibrio di tensione il vero segreto del suo successo.

D: Nel calcio il divenire eracliteo ha soppiantato l’essere parmenideo. La salvezza potrebbe essere in una sintesi kantiana o nei corsi e ricorsi vichiani?

R. La salvezza del calcio non sta nei filosofemi, né se ne può individuare una formula infallibile, che metta al riparo il gioco dal rischio di snaturamento o estinzione. La salvezza del calcio sta nel calcio stesso, e nella sua peculiarità di fenomeno intimamente ludico. Infatti, per quanto si provi a razionalizzarlo, il calcio rimane un gioco molto più di quanto non succeda a qualunque altra disciplina sportiva. Ciò è dovuto a quel suo connotato di innaturalezza che siamo portati a trascurare. Basti riflettere sul fatto che il calcio sia l’unica sfera di attività umana in cui sia richiesto l’utilizzo del piede come strumento di precisione e di trattamento di un oggetto. Questo aspetto serve a farci riflettere sull’irriducibile ludicità del calcio, e sul suo essere un fenomeno a parte. Il calcio ha tutti gli strumenti per salvarsi da sé, con l’aiuto di noi che lo amiamo. Ma ciò non significa che sia al riparo dal rischio di essere definitivamente snaturato. E’ questo un rischio ormai molto prossimo.

D: Il calcio, alla fine del XIX secolo, è nato e si è diffuso in un’epoca di grandi trasformazioni tecnologiche e sociali. Oggi, in un altro momento di cambiamenti epocali, esso ha subìto un contraccolpo. Fase interlocutoria?

R: Direi: né contraccolpo, né fase interlocutoria. Il calcio riflette perfettamente la svolta post-industriale dei sistemi socio-economici che si suole definire avanzati. E forse bisognerebbe chiedersi se quest’ultimo aggettivo sia da intendere nell’accezione di evoluti o piuttosto in quella di residui da sovrappiù. Nella fase di maggiore sviluppo della civiltà industriale il calcio, così come ogni altra disciplina sportiva, doveva produrre quasi esclusivamente una merce chiamata prestazione d’alto livello. Nell’attuale fase di svolta in direzione post-fordista, il calcio e lo sport in generale si trovano a dover produrre in principal modo delle merci che si chiamano immagine e comunicazione, con tutti gli indotti che attorno a esse ruotano. Basti vedere quanta parte della pubblicistica e della pubblicità che ci circondano siano caratterizzate da soggetti e personaggi dello sport, e segnatamente del calcio.

D: Il panorama dei telecronisti calcistici attuali è così negativo?

R: Sì, lo trovo negativo. E non per motivi di scadimento della qualità generale del mestiere, quanto per un effetto inflattivo. La moltiplicazione dei canali di comunicazione e del calcio trasmesso in tv ha determinato una situazione in cui le maglie della selezione hanno dovuto allargarsi. E se ne vede gli effetti. Soprattutto, è assolutamente deleteria la moda della seconda voce, quella che in telecronaca si occupa di offrire il commento tecnico. Non è la formula in sé a non funzionare, quanto il fatto di doverla proporre a tutti i costi, arruolando nel ruolo di commentatore tecnico una serie di personaggi dalle qualità comunicative molto discutibili. Non basta aver fatto parte del mondo del calcio per essere dei bravi comunicatori.

D: Quali sono le partite che potrebbero essere prese come parametro delle varie modalità calcistiche?

R: Se con la domanda s’intende indicare la differenza fra una partita di calcio e una di Ultracalcio, direi che si possa prendere a esempio due storiche partite della nazionale azzurra: Italia-Germania dei Mondiali 1970, e Italia-Francia degli Europei 2000. La differenza fra l’una e l’altra è data dal golden gol. Italia-Germania sarebbe finita 2-1 per i tedeschi, se quell’assurda regola fosse stata vigente; rovesciando l’ottica, Italia-Francia avrebbe potuto dar vita a supplementari pirotecnici, senza quell’idiotissima innovazione voluta dal colonnello Blatter. La differenza fra calcio e Ultracalcio sta in questo: nell’artificializzazione del calcio, nel suo mutamento imposto per esigenze difficili da comprendere, ma comunque snaturanti della vera essenza ludica del gioco. Quei 17 minuti di finale fra Italia e Francia non disputati, amputati vivi dal corpo della partita, sono un crimine del quale, purtroppo, nessuno mai chiederà conto al colonnello Blatter e agli ideologi dell’Ultracalcio.


La Gazzetta del Mezzogiorno

L'invasione dell'Ultracalcio Presentato l'altra sera a "Tifo è Amicizia" l'ultimo libro di Pippo Russo.
Anatomia di uno sport che non è più quello di una volta

di GIUSEPPE DIMITO Pippo Russo, professore di sociologia nelle Università di Firenze e Teramo, ha presentato giovedì sera nella sede del club "Tifo è Amicizia" l'ultima sua fatica letteraria: "L'invasione dell'Ultracalcio. Anatomia di uno sport mutante". Una retrospettiva sui piccoli mutamenti che hanno interessato (stravolgendolo) lo sport più popolare della nostra Italia dal '74 al '90, in particolar modo negli ultimi 15 anni. Russo è un nostalgico del calcio che fu, anche se non lo ammette. È sentimentalmente ancorato a concetti e situazioni tradizionali. Rimpiange il potere conferito ai portieri di prendere con le mani la sfera passatagli da un suo compagno. Si rattrista nell'osservare che ciascuna squadra possa indossare la seconda o addirittura la terza divisa anziché la "maglia" con i colori sociali. Non trova equa l'assegnazione dei tre punti a vittoria. Difende lo 0-0 come momento di confronto in cui il più debole riesce a strappare il classico punticino al più forte. Rimpiange l'autogol, praticamente scomparso dai tabellinio perché il nuovo calcio spettacolarizzato prevede con ogni gol abbia una legittima parternità e non può essere sporcato dallo stinco di un difensore. Come pure non vede di buon occhio i triangolari estivi da 45' perché le partite durano 90', l'annuncio dei minuti di recupero alla fine dei due tempi di gioco, le maglie con numerazione diversa dall'"1 all'11", l'espulsione per il fallo da ultimo uomo, la mancata segnalazione del fuorigioco in linea e la neo ligua che si è andata progressivamente affermando (fase offensiva e difensiva, di possesso e di non possesso, ripartenze) e la nuova terminologia dei ruoli (esterno, centrale, punta in luogo di terzino, ala e centravanti). Insomma per Russo il calcio è diventato Ultracalcio come gli Ultracorpi del celebre film di Don Siegel. L'autore è stato presentato da Antonio Fullone, coordinatore del club ospitante. Al fianco dell'autore c'erano il collega Lorenzo D'Alò, capo dei servizi sportivi della redazione tarantina della "Gazzetta", Luigi Carrieri del Corriere del Giorno, Antonio Serio, presidente del club ospitante, Umberto Barisciano del Coni provinciale e Vittorio Galigani.


Corriere del Giorno

Pippo Russo riflette sui mali del calcio

di LUIGI CARRIERI

Pippo Russo ci fa riflettere. Con la sua ultima fatica letteraria, "L'invasione dell'Ultracalcio", ci mette in guardia dal pericolo che sta correndo il calcio, trasformato ormai in un prodotto solo lontano parente di quello ammirato per tanti decenni. In poco più di 150 pagine, il sociologo e scrittore siciliano trapiantato a Firenze da qualche anno, illustra quel campionario di gesti e regole che il calcio moderno ha spazzato via e modificato, alterandone la natura ludica: si va dall'impossibilità del portiere a poter riprendere il pallone con le mani dopo un passaggio all'indietro, alla difficile individuazione delle maglie dei giocatori (onorare quale maglia, ci si interroga a questo proposito), con lo strabordio di loghi e sponsor che macchiano la casacca sociale, alla scomparsa dell'autogol, al piacere ormai dissolto dello 0-0 che, con una certa vena provocatoria, Russo eleva a essenza del calcio, massima rappresentazione di questo sport. Una tesi che, per stessa ammissione dello scrittore, trova pochi proseliti e molti parere dissonanti. L'opera è stata presentata in un'accogliente serata organizzata dal club "Tifo è Amicizia". Pippo Russo, che collabora con varie testate giornalistiche, ha illustrato i contenuti del libro senza però commettere l'errore di rimpiangere un passato che non potrà mai ritornare o comunque farsi prendere da nostalgie ingiustificate. Il messaggio, però, che vuole passare con forza è che il calcio non possa definirsi sport conservatore, perchè radicalmente mutato non solo negli aspetti regolamentari, ma anche nel suo contorno, con spazi televisivi che sfondano e scompaginano il rituale calcistico. Come avvenuto, in maggiore incidenza nella pallavolo che, con il cambio massiccio di regole, sembra essere diventata un'altra disciplina.
Il fondo, però, non è ancora toccato. Almeno l'autore si augura che ci sia ancora spazio per una reazione. Interessante l'idea di tifoserie che, al di là delle canoniche bandiere, sembrano coalizzarsi verso un nemico o un obiettivo comune. Anche se non solo tollerabili le scene a cui abbiamo assistito proprio nell'ultima settimana: Olimpico e San Siro su tutte.
Le conclusioni del libro invitano, quindi, a scuotere tutti noi che ci cibiamo quotidianamente di questa travolgente passione. Quel popolo definito acquiescente che, parafrasando il titolo del libro, ha trasformato il proprio corpo in Ultracorpo, e che assiste impotente ad ogni innovazione e mutamento. Un panorama che Russo traccia con impeccabile descrizione e superba narrazione. La speranza è che gli aspetti fondamentali del calcio restino ancora intatti e che lo scrittore siciliano, alla fine, non abbia davvero ragione.




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