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Andrea Fumagalli
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Christian Marazzi
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Adelino Zanini
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La moneta nell'impero
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Jura Gentium - Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale
Recensione
di Paolo Godani
E' certamente noto che la vera polizia del capitalismo mondiale è la moneta. Meno noti sono i meccanismi attraverso i quali si esercita il suo potere, soprattutto durante il periodo critico del passaggio alla società post-fordista oppure, se si vuole, all'Impero. I tre saggi contenuti in questo volume, indagano rispettivamente: la funzione di controllo sociale della moneta (Fumagalli), la relazione fondativa tra la guerra e il denaro (Marazzi), l'attacco ulteriore che la cosiddetta moneta elettronica infligge alla sovranità statuale (Zanini).
Il saggio di Andrea Fumagalli ha il grande pregio della chiarezza, sia per quanto riguarda la ricostruzione storica, sia per quel che concerne l'analisi dell'attualità. Si parte innanzitutto da una constatazione decisiva: che il potere discriminante della moneta è rimasto inalterato nel passaggio dalla "società disciplinare" alla "società di controllo" (per utilizzare le proficue categorie proposte da Deleuze sulla scia di Foucault). Il capitalismo si fonda sin dall'inizio sulla differenza assoluta tra moneta-salario e moneta-credito, oltre che sulla mistificazione di tale differenza. La funzione propria della moneta di discriminare capitale e lavoro "tocca il suo apogeo nel compromesso fordista: la disponibilità di moneta-credito di nuova creazione definisce la proprietà dei mezzi di produzione, la disponibilità al lavoro garantisce la cittadinanza e il godimento dei diritti civili dei salariati. Per i salariati (dipendenti) e per i prestatori di lavoro (indipendenti), la disponibilità di moneta è comunque residuo, esito del processo lavorativo, reddito (l'ultimo anello di trasformazione della moneta)" (p. 30). Il processo di finanziarizzazione dell'economia, iniziato all'incirca verso la fine degli Anni Settanta e ormai pressoché compiuto, e consistente nella riproduzione di denaro a mezzo di denaro (D-D'), ha aggiunto al potere gerarchizzante della moneta, anche la funzione (propriamente globale) di gestione e controllo dell'allocazione del risparmio finanziario. In tale ambito accade, ad esempio, che la possibilità di ricevere una pensione adeguata, per il lavoratori che nei paesi occidentali hanno sottoscritto dei fondi pensione, dipenda dallo "sviluppo del mercato internazionale dei capitali, che si espande laddove il lavoro e i vincoli ambientali sono meno onerosi. In altre parole, parte del salario differito dei lavoratori occidentali [...] dipende dal grado di sfruttamento dei lavoratori in altri paesi del mondo" (pp. 30-31), senza che una tale dinamica, gestita dalle poche multinazionali che dominano i mercati finanziari, possa cadere sotto il controllo di alcuna autorità nazionale o internazionale.
Christian Marazzi, nel suo contributo ampio e approfondito, fa il punto sulla situazione economica, finanziaria e politica mondiale dopo l'11 settembre, soprattutto in funzione di alcune categorie interpretative classiche del marxismo. Innanzitutto, Marazzi puntualizza che la crisi dell'economia statunitense, e in particolare quella della New economy, è ben precedente all'attentato alle Torri gemelle. Ed è una crisi costitutiva. In estrema sintesi: la nuova economia è di fatto una attention economy, in quanto è produttrice di informazione, la quale a sua volta consuma propriamente l'attenzione dei suoi destinatati. I consumatori della New economy, i consumatori di informazione, consumano contemporaneamente il tempo limitato della propria capacità di attenzione. Ma se la produzione di informazione, il lavoro immateriale, ovvero in generale il lavoro in epoca post-fordista si caratterizza per il fatto di rendere produttivo non solo il tempo del lavoro, ma l'intera esistenza umana, comprese le risorse e le competenze extra-lavorative, allora è evidente che si è ridotta drasticamente la quantità di tempo e di attenzione necessaria all'assorbimento dei beni informazionali. La crisi della nuova economia non fa che confermare la regola generale secondo cui il capitale si trova sempre nell'impossibilità di realizzare, restando all'interno del circuito capitalistico, il plusvalore prodotto.
Stabilite le ragioni strutturali della crisi della nuova economia, si comprendono anche le motivazioni che spingono il governo degli Stati Uniti d'America alla ricerca continua della guerra. Se si parte dalla constatazione marxiana secondo la quale il capitalismo funziona solo grazie al proprio disequilibrio strutturale, si giunge alla conclusione che il capitalismo deve sempre di nuovo trovare degli sbocchi esterni per realizzare il plusvalore non realizzabile all'interno. "Abbiamo conosciuto il colonialismo e l'imperialismo - ricorda Marazzi -, [...] sappiamo che l'imperialismo è arrivato al punto di erogare ai paesi poveri esterni al circuito quel credito, quel potere d'acquisto necessario per importare il plusvalore non realizzabile all'interno delle economie sviluppate. [...] Destrutturazione dei paesi poveri senza ristrutturazione, per mantenerli cioè in un rapporto di dipendenza, perché se li si ristruttura, la contraddizione del plusvalore non realizzabile si ripropone semplicemente su scala allargata" (p. 69). L'altra soluzione al problema della monetizzazione del plusvalore è stata, nel Novecento, quella dello Stato sociale. E oggi? La guerra, appunto, la guerra globale permanente, "infinita" è il nuovo strumento che consente agli Stati Uniti di "risolvere il problema della crisi di sovrapproduzione trasformando il surplus di beni e servizi informazionali in dispositivi di sicurezza" (p. 92). La crisi capitalistica si contrasta, ancora oggi, facendo in modo che lo stato d'eccezione divenga la regola.
Il terzo saggio, di Adelino Zanini, pone un problema che sta sullo sfondo anche dell'impostazione di Marazzi: la fine delle sovranità politiche e monetarie nazionali, portata dalla finanziarizzazione dell'economia e, da ultimo, dall'avvento della moneta elettronica. E' la nascita dell'Impero, insomma, ad essere in questione. Stando alla sistemazione operata da Michel Hardt e Antonio Negri, ogni categoria economica e politica moderna deve essere rivisitata, dal momento in cui si è completato il passaggio ad un sistema globale integrato; così, ad esempio, la guerra può ancora venire considerata come funzione di realizzo del plusvalore, ma bisogna pensarla come guerra civile globale permanente, non come guerra meramente imperialistica (ovvero legata agli interessi di uno o più Stati-nazione). La guerra è costitutiva dei nuovi assetti dei poteri capitalistici globali, perché è funzionale al radicarsi delle nuove forme del controllo sociale. Lo stesso discorso vale per le questioni economiche e finanziarie: il controllo imperiale si attua non solo attraverso la guerra come stato di eccezione permanente, ma anche attraverso la decostruzione monetaria dei mercati nazionali o regionali e la subordinazione di questi alle esigenze dei poteri finanziari globali. Alla perdita di potere dei regimi nazionali e regionali di regolazione monetaria "corrisponde una trasformazione netta delle istituzioni monetarie internazionali. [...] Il loro carattere sovranazionale ne fa, ad un tempo, strumenti di deregolamentazione e di nuova riterritorializzazione monetaria unilaterale, centrata non più (tanto) sul potere transnazionale di una moneta nazionale (il dollaro), bensì sul circuito finanziario internazionale" (p. 109).
Gli Autori rimangono legittimamente sul piano analitico delle constatazioni tecniche, economiche e finanziarie; non si avventurano, se non in maniera nascosta e marginale, sul terreno di una visione politica complessiva, e ancora meno di una nuova proposta politica rivoluzionaria. Toni Negri, nell'Introduzione al volume, si affida alla nozione di "moltitudine". Ma anche in questo caso, la vaghezza del riferimento non rende giustizia alla complessità dell'unico problema che non può non riproporsi come impellente: quello di una nuova strategia per l'uscita dal capitalismo globale.
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