Nancy Scheper-Hughes
Il traffico di organi nel mercato globale
 
Rivista telematica - Iperstoria

di Raffaella Malandrino

"L'emergere di strani mercati, capitali in eccesso, "corpi in surplus" e parti di ricambio umane ha generato un commercio di corpi che permette a pochi individui ragionevolmente facoltosi di qualsiasi parte del mondo una miracolosa estensione di bios, - la vita nuda e cruda, la forma elementare della vita nella specie".
IL traffico degli organi e la chirurgia dei trapianti seguono la rotta del capitalismo, da Sud a Nord, dai Paesi del Terzo Mondo alle cliniche statunitensi e ai centri di ricerca biotecnologica, in una dimensione di globalismo economico: l'etica neoliberista pone i suoi alibi nell`ideologia dell`azione individuale e della liberta` personale, ma i risultati spesso prostrano i concetti di dignita` del corpo e dei valori sociali.
Questa ricerca etnografica dimostra come la chirurgia dei trapianti sia un miscuglio di altruismo e commercio, di segretezza e di offerta plateale, di assenza globale di principi che possano regolare attività scientifiche senza perderne di vista l'aspetto etico.
E` un'indagine condotta negli ospedali, nei laboratori, nelle banche di raccolta degli organi, ma anche in strada, per conoscere le opinioni della gente, in particolar modo di quella socialmente emarginata e spesso vittima della bio-pirateria. Di fronte a verità aberranti la voce della diceria, che traccia il confine tra leggenda e realtà, crea effetti di coscienza e di resistenza civile, laddove il passaggio di notizie di bambini scomparsi improvvisamente o rapiti, per nutrire il traffico di organi, crea tra gli abitanti delle favelas brasiliane una forte opposizione collettiva al potere che permette simili pratiche.
La vendita e il commercio degli organi hanno quasi sempre radici che si nutrono dell`assenza di leggi nazionali e di trasparenza sanitaria, e che pongono il corpo di fronte allo Stato e alla societa` quale oggetto di "candidatura a mercato", o vittima di assetti politici coercitivi.
In Cina e in alcuni paesi asiatici i corpi di prigionieri giustiziati o, ancor peggio, in attesa di esecuzione, sono preda della chirurgia dei trapianti: l'ethos collettivista pone il corpo reo in condizione di riscatto sociale, giustificando lo smembramento delle sue parti a servizio della scienza e del benessere sociale.
In India spesso sono le donne a donare una parte di se` in operazioni vitali per sostenere la famiglia o provvedere alla dote di una figlia, suggellando un tacito scambio con il marito che dona invece il suo corpo nel lavoro.
In Brasile articoli su giornali annunciano la vendita di un rene o di una cornea, "doppi" non strettamente necessari, di cui si e` disposti a fare a meno per una situazione economica piu` agevole.
Nel rispetto di chi realmente, attraverso la sostituzione di un organo malato, può riguadagnare la speranza di una vita, sempre più spesso l'Occidente guarda alla pratica del trapianto come a un bisogno artificiale: la corsa verso un ricambio biologico che non assicura vita, ma spesso una sopravvivenza difficile e ai limiti con la morte, e che ancora una volta oggettivizza il corpo negandogli il suo naturale decadimento.
L'indagine segna il cambiamento delle relazioni sociali e culturali tra se` e l'altro: da un lato un corpo scientifico, luogo semantico della vita biologica; espurgato di qualsiasi valore etico, è quello che la dimensione capitalistica e parte della dimensione medica considerano semplicemente fonte di "pezzi smontabili" con cui estendere le nostre esistenze; dall'altro un corpo nella sua integralità, in cui ogni elemento è "prezioso dono di vita", insostituibile e inalienabile.


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