Maurizio Lazzarato
Il governo delle disuguaglianze
critica dell'insicurezza neoliberista
 
il manifesto - 7 marzo 2013

Stati di massima insicurezza

di Andrea Fumagalli

La crisi ha messo in evidenza come il governo delle diseguaglianze sociali sia un obiettivo degli stati nazionali. Ma quello che emerge è l'aumento della precarietà e una mercificazione dei diritti sociali. Un percorso di lettura a partire da un volume del ricercatore Maurizio Lazzarato

Dobbiamo essere grati alla casa editrice ombre corte per aver pubblicato in lingua italiana il libro di Maurizio Lazzarato; Il governo delle disuguaglianze. Critica dell'insicurezza neoliberista (Ombre Corte, pp. 130, euro 12,00), dopo 5 anni dalla sua pubblicazione originale in Francia (ed. Amsterdam). Un ritardo che nulla toglie all'attualità delle tesi che vengono sostenute, nonostante lo scoppio della crisi economica. L'edizione italiana, a differenza di quella francese, presenta un capitolo inedito finale, dal titolo "Il governo liberista della crisi" che, sulla base delle tesi presentate nel saggio, attualizza l'analisi alla luce della crisi economica, iniziata nel 2008.
Il testo di Lazzarato (già noto al pubblico italiano per il suo saggio La fabbrica dell'uomo indebitato, DeriveApprodi) parte dall'analisi delle lotte degli "intermittenti" dello spettacolo francesi per approdare allo studio critico dei meccanismi di governance, comune a molti paesi europei, degli ammortizzatori sociali.
La lotta degli intermittenti in Francia si è svolta tra il giugno del 2003 e l'aprile del 2007 ed è stata analizzata in profondità dall'inchiesta pubblicata dallo stesso Lazzarato e da Antonella Corsani nel libro Intermittents et précaires (Éditions Amsterdam). Il governo delle disuguaglianze parte da questo conflitto per servirsene come "analizzatore del cambio di paradigma del capitalismo che stiamo vivendo". Il dato di partenza è l'osservazione che "la forza lavoro flessibile e precaria degli intermittenti .... assomiglia a una "molteplicità in movimento", che non può essere controllata direttamente mediante la disciplina di fabbrica. Questa "popolazione fluttuante" è ben lungi dall'essere una specificità del mercato del lavoro culturale; essa è anche una caratteristica di ciò che Foucault ha chiamato società securitaria". Ne consegue che il governo dei comportamenti e dell'assoggettamento non può esercitarsi a partire dalla staticità delle istituzioni disciplinari: "essi devono esercitarsi nello spazio aperto della mobilità, attraverso una modulazione della precarietà e dell'insicurezza".

Il prezzo della sicurezza

Il caso degli intermittenti francesi è al riguardo paradigmatico. Non è infatti un caso che su questa categoria per la prima volta il padronato francese sperimenti il proprio piano di programma politico, promuovendo la riforma dell'assicurazione contro la disoccupazione in senso riduttivo e differenziato: intervento, una volta approvato dal governo, che scatenerà la lotta degli intermittenti. I promotori di questa riforma del sussidio di disoccupazione (sindacato padronale, governo, e Confederazione democratica del lavoro - Cfdt) avevano l'intenzione, in nome della governance neoliberista, di istituire un regime di assicurazione che operasse da strumento di differenziazione diseguale e di individualizzazione della forza lavoro culturale. Il settore dello spettacolo rappresentava il terreno ideale per testare questa riforma, da ampliare poi a tutta la società, per la natura strutturalmente discontinua, individuale e flessibile dell'impiego culturale e della sua remunerazione. Partendo da questo esempio, Lazzarato estende l'analisi agli altri strumenti che definiscono oggi la governance delle diseguaglianze sociali, soprattutto in tempi di crisi. Possiamo individuare almeno tre opzioni securitarie: il debito, l'immaginario, l'individualizzazione. Alle quali, nell'ultimo capitolo inedito dell'edizione italiana, se ne aggiunge una quarta: il ruolo dello Stato come normalizzatore della crisi. Negli anni successivi alla manifestazione della crisi, gli Stati sono intervenuti in modo massiccio per arginare il rischio di crollo di alcuni segmenti del marcato finanziario e creditizio. A differenza di altri interventi dello stato in epoche passate (spesso attuati sotto l'egida keynesiana) , l'intervento dello Stato nell'attuale crisi si è svolto quasi esclusivamente a sostegno della finanza e non della produzione. E, come osserva Lazzarato, ciò avviene in un contesto in cui assistiamo a "ciò che si potrebbe chiamare una "privatizzazione" della governamentabilità. Essa non è più esercitata esclusivamente dallo Stato, ma da un insieme di istituzioni non statali (banche centrali 'indipendenti', agenzie di rating, fondi pensione, istituzioni sovranazionali, ecc.), in cui le amministrazioni dello Stato non costituiscono che un'articolazione importante, ma solo una articolazione". Tale slittamento di governamentalità ha direttamente a che fare sia con il potere della moneta sovrana (con le funzioni di mezzo di pagamento) che con quello della moneta economico-privata, che, utilizzando le parole di Deleuze e Guattari, si trasforma in "potere di comando sul lavoro e la società". Tali due poteri non sono uguali. Ciò che ha preso il sopravvento è il secondo, in grado di condizionare il primo, tramite la formazione di un debito (non c'è valorizzazione senza debito) gestito ora dallo Stato in funzione regolatrice e normalizzatrice nel momento stesso in cui la moneta si "privatizza" e sfugge al controllo centrale.
Lazzarato analizza come il processo di finanziarizzazione e la creazione strutturale di forme di debito sia a livello micro (individuale) che macro (stato) diventi una delle leve più potenti per indurre forme di autocontrollo sociale. Si tratta di un aspetto che si è particolarmente accentuato negli ultimi anni e, secondo Lazzarato, troppo sottovalutato nell'analisi di Foucault.

Critica artistica e critica sociale

Lo sviluppo di un immaginario securitario ha coinciso con il diffondersi di quella che Lazzarato definisce la "critica artistica", ben rappresentata dal noto libro di Luc Boltanski e Éve Chiapello; Le nouvel esprit du capitalisme (Gallimard). Secondo i due sociologi francesi, la "critica artistica" (fondata sulla libertà, l'autonomia e l'autenticità che essa rivendica) e la "critica sociale" (fondata sulla solidarietà, la sicurezza sociale e l'eguaglianza) sono animate da gruppi distinti e sono fra loro incompatibili. Nel campo della "critica artistica" vengono inseriti i lavoratori della cultura e dell'arte e di quegli altri settori che svolgono un lavoro prevalentemente individuale, solitamente non di fatica (cognitivo), e che, per questo, tendono a fare da apripista - secondo tale critica - alla governance capitalista neoliberista (merito, individuo, mercato), a scapito degli ideali di uguaglianza e di solidarietà , che invece sono presenti nella "critica sociale", esito del conflitto fordista. Tale disputa tra la "dura razza pagana" della produzione materiale e una supposta elitaria configurazione del lavoro creativo non suonerà del tutto nuovo al pubblico italiano, soprattutto alla luce del movimento dei teatri occupati (dal Valle a Macao). Questo movimento, sulla falsariga di quanto già evidenziato dalla lotta degli intermittenti francesi, ha evidenziato come questo immaginario di due segmenti sociali diversi e fra loro in contrapposizione sia falso. La nuova composizione sociale del lavoro vivo bio-cognitivo, infatti, scompagina del tutto la vecchia divisione del lavoro di smithiana memoria, fondata su diverse mansioni, a partire dalla separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra lavoro di direzione, di esecuzione e di commercializzazione. Parafrasando Sergio Bologna (Ceti medi senza futuro?, DeriveApprodi, Roma, 2007), Lazzarato osserva che "il capitalismo contemporaneo introduce una polarizzazione e un frazionamento all'interno delle classi medie, che determinano nuovi comportamenti e nuovi assoggettamenti per quanto riguarda l'impiego, la disoccupazione e il lavoro". L'inchiesta del Coordinamento degli Intermittenti e Precari mostra come "i precari, i nuovi poveri, i disoccupati, i beneficiari del reddito minimo (che in Italia non esiste, n.d.r.) non si oppongono agli artisti e ai tecnici, visto che la metà degli artisti e dei tecnici vivono o vivranno in una condizione di precarietà". La dilagante condizione di precarietà, seppur vissuta soggettivamente in modo differenziato, si ricompone nello slogan "Niente cultura senza diritti sociali", che si traduce in "Nessuna libertà, autonomia, autenticità, senza solidarietà, uguaglianza, sicurezza sociale". Critica sociale e critica artistica, lungi dall'essere contrapposte, si ricompongono.

L'assenza di protezione

Su tale frammentazione della condizione precaria, la governance neoliberista della disuguaglianza interviene spingendo al massimo l'individualizzazione non solo del contratto di lavoro (come largamente avvenuto in Italia) ma soprattutto degli ammortizzatori sociali. Qui le analogie tra Francia e Italia cessano e si sviluppano strategie opposte. Se in Francia negli anni Novanta erano stati varati nuovi provvedimenti in tema di sicurezza sociale (con tendenza all'universalità, seppur condizionata), in Italia si procede prima alla liberalizzazione della precarietà contrattuale per promettere poi, in un secondo tempo, nuovi strumenti di sicurezza sociale. Il risultato è noto. L'adeguamento degli ammortizzatori sociali non è mai avvenuta. Il governo della disuguaglianza made in Italy si è sviluppata prevalentemente sul ricatto della condizione lavorativa e non sull'individualizzazione delle pratiche di sicurezza sociale (in quanto già operanti). E stupisce al riguardo l'ottusità del sindacato e della sinistra italiana, credulona - nella migliore delle ipotesi - nel pensare che maggior precarietà potesse creare più occupazione e opponendosi a qualunque cambiamento e universalizzazione di ammortizzatori sociali fordisti, distorti, ineguali. Il risultato è che il sindacato si è reso partecipe e complice nel governo di una doppia diseguaglianza, tutta italiana: alla diseguaglianza della precarietà si è infatti sommata la diseguaglianza della sicurezza sociale. E stupisce ancor di più che - a fronte di alcune recenti dichiarazioni di mea culpa della Cgil in merito alla mancata protezione dei precari - ci sia qualcuno ancora disposto a concedere credito. Di conseguenza, non può affatto stupire che l'esito di queste elezioni abbiano sancito l'inadeguatezza e l'inutilità della sinistra novecentesca.






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