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La vita che verrà
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Biopolitica per Homo Sapiens
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il manifesto - 27 ottobre 2011
Dall'economia politica alla psicoanalisi
"La vita che verrà", nuovo saggio di Felice Cimatti?Animali politici in cerca di autore ?Il fondamento biologico del carattere politico della vita umana svela l'innaturalità di un capitalismo che limita le potenzialità e apre le possibilità di desiderare un altro mondo possibile
di Marco Mazzeo
Cosa è naturale per gli esseri umani? Joseph Ratzinger ammonisce che è naturale quella vita che rispetta i precetti della chiesa cattolica e fa a meno di mezzi tecnici, come ad esempio i contraccettivi. Poi però benedice l'esistenza di respiratori automatici che ci impediscano di riposare tra le braccia del padre eterno. L'attuale ministro delle famiglia, Carlo Giovanardi, continua la sua misteriosa battaglia contro le droghe poiché queste altererebbero il nostro equilibrio naturale senza avere la bontà di dirci perché, allora, escludere dalla lista delle sostanze proibite lo Chardonnet e le Marlboro, la cannella o la Coca-Cola. Tra le fila di chi si dichiara naturalista le cose non sembrano andare meglio: qualche anno fa Steven Pinker, uno degli esponenti più autorevoli di una linea di ricerca molto in voga (la psicologia evoluzionistica), riportava con soddisfazione ricerche statistiche che dimostrerebbero il fondamento genetico della propensione dei cittadini statunitensi per il partito democratico o repubblicano.
Animati dallo spiritualismo più rancoroso o da un'idea del materialismo a dir poco semplificata, spesso rimaniamo prigionieri di un'immagine della natura umana che la ritrae come fosse il dolce che ordiniamo in pasticceria: una torta a strati. La base sarebbe costituita da una struttura rigida rappresentata dalla nostra "vera natura" (spirituale per Ratzinger, genetica per Pinker); i piani superiori sarebbero aggiunte culturali, linguistiche e tecniche utili a correggerne il sapore o a renderne dannoso il contenuto con la loro abbondanza di calorie, panna e saccarosio.
Macchine biologiche
L'ultimo libro di Felice Cimatti (La vita che verrà. Biopolitica per Homo sapiens, ombre corte, pp. 158, euro 16) discute equivoci filosofici e conseguenze politiche di una simile concezione della natura umana. La biopolitica evocata nel titolo del libro, infatti, non è di tipo tradizionale. Non si concentra solo sull'impiego politico della struttura biologica della nostra e delle altre specie, ma anche sull'altro lato della faccenda, spesso trascurato, cioè sul fondamento biologico del carattere politico della vita umana. Siamo animali politici, afferma Aristotele, ed è da qui che Cimatti comincia il proprio percorso: non siamo angeli decaduti ma animali, macchine biologiche che respirano aria e bruciano energia; siamo però forme di vita politiche e non semplicemente sociali, perché a differenza delle api il vivere comune necessario per la nostra sopravvivenza non è regolato da istinti di sicura applicazione.
Il linguaggio verbale è la colonna portante della condizione dell'Homo sapiens: è legato a una dotazione biologica potenziale che, per trovare forma, ha bisogno di una organizzazione storica. Ogni essere umano è dotato di un patrimonio cerebrale e articolatorio chiamato facoltà del linguaggio. Se, però, un cucciolo d'uomo non ha la possibilità di apprendere una lingua e di poterla praticare con tutte le sue incertezze ed errori, rischia di rimanere bloccato in quella condizione sospesa rappresentata da François Truffaut nel film Il ragazzo selvaggio o da Werner Herzog ne L'enigma di Kaspar Hauser. Per questa ragione quella del libro è innanzitutto una biolinguistica. Ciò non significa che il focus principale del testo sia concentrato in modo esclusivo e diretto sul linguaggio verbale. Cimatti si concentra su quel che dal linguaggio deriva: le modalità nelle quali camminiamo, mangiamo, facciamo l'amore sono legate a doppio filo al fatto che siamo mammiferi dotati di parola. Due, allora, le direzioni di ricerca nelle quali si articola il testo: una punta all'economia politica, l'altra alla psicoanalisi. Nel primo caso, La vita che verrà si impegna in un compito generoso, per certi aspetti titanico: mettere insieme quel che nella ricerca linguistica contemporanea è diviso.
Si prenda il più importante linguista vivente, Noam Chomsky. In questo caso, teoria scientifica e prassi politica (vicina, come è noto, ai movimenti più radicali) vivono di una scissione dissociativa. Il Chomsky che parla di linguaggio mai si intrattiene su questioni politiche e viceversa, come se in un mondo nel quale la prima merce è la parola e la cognizione, si trattasse di pianeti distanti anni luce. Cimatti osa lì dove il linguista americano esita: in un momento storico nel quale sembra che sia il capitale l'unico vestito costruito a misura della nostra natura, il libro rovescia il tavolo e ribalta il discorso.
Come insegna Chomsky, un elemento distintivo del linguaggio verbale è la creatività, non l'intuizione mistica del genio ispirato ma la possibilità di costruire frasi sempre nuove e indipendenti da quel che ci circonda: il bambino dispettoso guarda una parete bianca e, sollecitato su quale colore stia percependo in quel momento, risponde "nero!"; il cittadino greco al quale è presentato un conto di cui non è responsabile risponde che magari è meglio che siano le banche a pagare la loro crisi. Poiché lo sfruttamento capitalistico del lavoro si basa su una riduzione coercitiva delle capacità creative umane, argomenta Cimatti, il capitalismo è una forma economica non solo evitabile ma addirittura innaturale poiché limita le potenzialità di vita che contraddistinguono la specie dei sapiens.
Desideri di un altro mondo
È a tal proposito che il movimento psicoanalitico è chiamato a una scelta. Se si pone come una prassi puramente interpretativa, legata alla scoperta del significato dei sogni o degli atti mancati, decide di non incidere sui tempi nei quali vive e divenire una cura senza fine dedicata all'analisi dei meandri tormentati dell'inconscio e a rendere conformi alle norme sociali vigenti le forme della sua individuazione. Oppure può scegliere una via più rischiosa ma potenzialmente liberatoria, segnalata dallo stesso Freud nei Tre saggi sulla teoria sessuale o da figure successive come Jacques Lacan: non solo analizzare il desiderio ma contribuire a non farlo morire, a renderlo disponibile per esperienze che ci ricordino che un altro mondo è possibile.
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