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Il custode del vuoto
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Contingenza e ideologia nel materialismo radicale di Louis Althusser
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il manifesto
Il primato della contingenza
di Gianfranco Borrelli
Il lavoro di ricerca che da lungo tempo Fabio Raimondi sta dedicando all'opera di Louis Althusser ha un intento determinato: a fronte della rimozione conseguente al fallimento dei socialismi reali, bisogna invece ribadire che l'attività dell'interrogazione filosofica, permanente ed autocritica, sui problemi aperti e della scienza marxiana e sugli esiti disastrosi delle politiche ispirate dallo stalinismo, costituisce l'impegno teorico indispensabile alla riconfigurazione di pratiche di resistenza e di lotta nella nuova epoca della mondializzazione. La necessità di questo impegno trova in Althusser la sua figura emblematica. Degli scritti dell'ultima produzione althussseriana, Raimondi ha curato la traduzione di Marx nei suoi limiti (Milano); ora ci propone la ricostruzione dell'avvincente itinerario di ricerca del filosofo francese nel libro Il custode del vuoto. Contingenza e ideologia nel materialismo radicale (Ombre corte, pp. 347, euro 29).
Il principale oggetto degli sforzi teorici di Althusser è stato la nozione d'ideologia, che, inizialmente, il filosofo collega alle rivoluzioni teoriche indotte da Marx e Freud. Questi due autori hanno svelato i presupposti esteriori delle formazioni ideologiche: i modi di produzione e l'attività propria dell'inconscio; entrambi portano alla luce due specie diverse di rimosso: ciò che resta l'impensato dell'economia e quanto viene costituendo la falsa immediatezza delle coscienze individuali. Nelle opere che rappresentano sicuramente il maggiore contributo offerto agli sviluppi della teoria marxista nella seconda metà del Novecento - Per Marx ed i saggi di Leggere il Capitale -, Althusser perviene ad un'autonoma concezione dell'ideologia: questa è un tutto reale, prodotto impersonale, risultato di una storia costituita da una molteplicità di processi, in cui il posto del soggetto è sempre vuoto (contro il teleologismo della dialettica hegeliana, Marx viene avvicinato a Spinoza al fine di spiegare il divenire storico come insieme dei processi di rapporti sociali in perenne movimento).
Produttori d'inconscio
L'ideologia è, per Althusser, produzione inconscia di comportamenti, opinioni, gesti; è fabbrica d'identità attraverso la funzione dell'immaginario che contribuisce ad ipostatizzare l'impensato, l'Altro. L'utilizzazione esplicita dei registri lacaniani segna in questo caso una differenza precisa: Lacan assegna all'attività simbolica la produzione dell'inconscio, che apre al concreto di significanti vuoti che funzionano come ideologia per gli individui; secondo Althusser, è l'ideologia stessa che attiva l'inconscio dando origine ad un ordine simbolico che copre la dimensione dei conflitti e naturalizza la realtà delle diseguaglianze. L'ideologia opera comunque a favore della classe dominante: nel famoso saggio Idéologie et appareils idéologiques d'État (1970), l'autore descrive il carattere eterno e storico dell'ideologia che costituisce il sistema di quegli apparati - istituzioni, organizzazioni e pratiche - finalizzati alla sottomissione della forza lavoro alle regole dell'ordine prestabilito.
In tale contesto, il soggetto è sempre un effetto ideologico, ossia un effetto inconscio, perché è il trasferimento immaginario di un'identità definita ideologicamente (cioè socialmente) a un nuovo essere umano che, assimilandola involontariamente tramite l'educazione, la fa diventare il proprio inconscio. Come sottrarsi alla dimensione autoproducentesi del sistema, in cui gli uomini figurano unicamente come supporti anonimi di formazioni sociali di produzione?
Per un verso, la risposta althusseriana richiama ad un incerto obiettivo di desoggettivazione che gli individui dovrebbero attivare come lotta permanente (di classe) contro la propria stessa ideologia; per un altro versante, ancora fino alla metà degli anni Settanta, il filosofo francese confida nella funzione del partito di classe che costruisce organizzazione collettiva di lotta contro gli apparati ideologici. A fine anni Settanta precipita la crisi umana, scientifica e politica di Louis Althusser, annunciata nella lettera a Merab (16 gennaio 1978) con l'espressione in cui dice di trovarsi nella "merda teorica e politica" senza precedenti. Dapprima, l'esplicita denuncia dell'insufficienza della tradizione teorica prodotta da Marx, Lenin e Gramsci: non solo in riferimento all'inadeguatezza degli assunti enigmatici del materialismo dialettico, ma anche all'evidente inconsistenza della riflessione sullo Stato e sulle caratteristiche proprie dell'organizzazione partitica di classe (Que faire? e Marx dans ses limites, 1978); in seguito, l'allontanamento dal Partito comunista francese e, soprattutto, il tragico evento dell'uccisione della moglie.
Nei anni successivi a quel tragico evento e fino alla sua morte avvenuta nel 1990, Althusser si propone di costruire una filosofia materialistica per il marxismo, a suo parere indispensabile per potere ancora problematizzare la pensabilità stessa della politica. Attraverso il commento di una serie di scritti straordinari - di cui una buona parte inedita -, Raimondi ricostruisce la nuova radicale prospettiva althusseriana, laddove il filosofo francese riprende categorie già utilizzate nel tempo - contingenza, aleatorietà, vuoto - e argomenta la possibilità di istituire relazioni significative tra il pensiero atomistico epicureo-lucreziano, il sistema di Spinoza, le istanze materialistiche presenti in Marx fino ai risultati più rilevanti dell'epistemologia francese contemporanea (Canguilhem e Bachelard).
Il materialismo aleatorio
Questa linea di materialismo aleatorio vuole rispondere innanzitutto alla necessità di contestare ogni pretesa di assegnare al Logos un primato sulla realtà. Per althusser infatti bisogna invece far valere il primato della contingenza nelle relazioni d'incontro che si rendono possibili nella struttura di vuoto/pieno che costituisce la struttura dell'universo. Ponendo al centro il problema della materialità delle sovrastrutture e delle pratiche ideologiche, la filosofia giustifica il ritorno della politica che viene a giocare negli interstizi e nei margini dei vuoti. La filosofia si fa custode del vuoto poiché è nelle dinamiche delle contingenze che può essere pensata una politica aleatoria di classe in grado di dare forma ad un ordine politico capace di conservare la propria apertura a trasformarsi come dinamica costitutiva del proprio essere quell'ordine specifico; in breve, il materialismo aleatorio, o dell'incontro, diviene ora il tentativo filosofico di pensare quest'ordine-senza-società: un ordine come movimento anziché come Stato. Althusser esplicita pure che questa nuova forma della politica può assumere i caratteri della democrazia e del federalismo.
Queste rapide notazioni non consentono di soffermarci in modo conveniente sull'ultima parte del libro di Raimondi, dedicata all'importanza che assume per Althusser la figura di Machiavelli. Conviene solo annotare che grazie ai suggerimenti che provengono dal segretario fiorentino Althusser discute della prospettiva di un principe del tutto nuovo nell'epoca della globalizzazione: quella politica capace di schierarsi dalla parte dell'inesistente impossibile popolo comunista, che è quella classe universale che in quanto tale abolisce in permanenza se stessa, classe sempre parzialmente vuota, proletariato migrante ed eccentrico dal volto cangiante che impedisce la chiusura identitaria.
Scienza & Politica, 44, 2011
Dove stava andando il "custode del vuoto"?
Di Valerio Romitelli
Molte opere uscite da quella straordinaria stagione intellettuale che ebbe luogo in Francia tra gli anni '50 e '70 continuano tutt'oggi - a quasi mezzo secolo di distanza - a essere riprese, dibattute e ripensate. Anche se lo "strutturalismo" che ne fu l'etichetta ha perso gran parte del suo fascino, nomi come Foucault, Lacan, Lévi-Strauss o Barthes hanno le loro schiere di seguaci e sono sempre riconosciuti apripista di orientamenti di ricerca mai esauritisi.
Rispetto a un panorama simile fa eccezione Louis Althusser, malgrado sia stato uno dei maggiori filosofi di quella stagione, allora al centro di indiscusso prestigio e celebri dispute. Ma si comprendono bene le ragioni dell'oblio e delle antipatie che il nostro tempo per lo più gli riserva. Membro di quel Partito Comunista Francese noto per la fedeltà sovietica egli ne criticò addirittura l'umanismo, non esitando persino a mettere nero su bianco in uno dei suoi testi più famosi1 un apprezzamento per I principi del Leninismo di Stalin, senza contare, d'altra parte, anche l'ammirazione che manifestò per alcuni scritti di Mao. Aneddoti, questi, che hanno la doppia "aggravante" di non lasciarsi spiegare con le infatuazioni ideologiche degli anni '60/'70 - alle quali non si può certo dire che Althusser abbia mai ceduto anche solo per un istante - e di essere suggellati da una tragicissima conclusione biografica marchiata dall'uxoricidio e dalla follia fino alla morte.
Straordinario merito va dunque al libro recentemente uscito di Fabio Raimondi2 (Il custode del vuoto. Contingenza e ideologia nel materialismo radicale di Louis Althusser, edito da ombre corte3) il quale senza nulla concedere a tutti i pregiudizi "di destra" o "di sinistra" ne fa riemergere i testi in tutta la loro vitalità intellettuale, instaurando con essi un "corpo a corpo" volto a "chiarire alcuni snodi del suo pensiero politico" e a "sfatare alcuni luoghi comuni radicatisi anche nelle letture più acute"4. Ma Gianfranco Borrelli, su "Il manifesto"5 ha allargato ulteriormente la portata del lavoro di Raimondi iscrivendolo nell'"impegno teorico" oggi "indispensabile", "a fronte della rimozione conseguente al fallimento dei socialismi reali", per proseguire "l'attività di interrogazione filosofica, permanente e autocritica, sui problemi aperti dalla scienza marxiana e sugli esiti disastrosi delle politiche ispirate dallo stalinismo". Un ampliamento problematico, questo, del tutto contemplato da Il custode del vuoto, visto l'intento dichiarato di presentare l'opera di Althusser come "lavoro fecondo, proprio perché aperto e incompiuto, bisognoso di essere proseguito, rettificato, riproblematizzato e fatto interagire con altri saperi"6.
Provando a collocare il mio commento in questa apertura richiesta dallo stesso Raimondi, proporrò alcune osservazioni non tanto sul suo testo, quanto su alcune conseguenze problematiche di cui questo testo, per compattezza e intensità, è premessa indispensabile. Farò dunque del tutto mio il testo di Raimondi come del resto Raimondi fa coi testi di Althusser, con tutti gli inevitabili tradimenti e furti, in entrambi i casi.
Quattro sono gli argomenti maggiori de Il custode del vuoto su cui propongo le mie brevi chiose: 1) sul metodo di lettura, 2) sull'ideologia, 3) sulla scienza, 4) su lotta di classe e politica. Parole grosse, come si noterà, ma tant'è: in nome di Althusser è a questo livello inevitabilmente ambizioso che ci si trova interpellati, a meno di non banalizzarne la lezione in quel senso accademico che Raimondi sa ben tenere alle dovute distanze.
1) Il metodo che egli ha scelto per riproporre il nucleo più denso dell'opera Althusser si presenta giustamente come "corpo a corpo". Raimondi si sforza dunque di ripensare il pensiero di quest'ultimo nella più completa interiorità, facendo il vuoto, è proprio il caso di dire, attorno a tutti gli altri commentatori. Questi infatti sono sì censiti accuratamente ed esaustivamente, ma sempre citati quasi di sfuggita, per rimarcarne la frase o la presa di posizione favorevole o contraria all'interpretazione data da Il custode del vuoto. Così leggendo questo libro spesso il ragionamento dell'autore pare sovrapporsi fino a coincidere con quello di Althusser in una sorta di dialogo che rasenta il monologo o il duetto. Ma non si tratta certo di ripetizione pedestre, bensì di una ripetizione intensamente ripensata, con tutta l'eccedenza significante che ne consegue e che apre oltre, in una tensione volta a mostrare l'inesauribilità della fonte. Ad assicurare la tenuta di tale lettura è il continuo richiamo al tutto dell'opera: tutto che è configurato non tramite un vaglio enciclopedico a pretesa onnicomprensiva, ma confrontando ogni passaggio concettuale con l'insieme di avanzate, ritirate, digressioni e oscillazioni compiute da Althusser sugli stessi argomenti nel corso del tempo. Proprio come lui stesso teneva a fare con i testi e gli autori più amati, di cui, civettando con la psicanalisi, consigliava una lettura per "sintomi". In sintesi, dunque, Raimondi legge e pensa Althusser in sua compresenza, come assumendo fino alle più estreme conseguenze la sua stessa ricerca.
Ecco quindi che Il custode del vuoto può dirsi un testo di filosofia politica. In effetti, il rapporto tra filosofia e politica è stato decisivo per Althusser, che si è sempre attenuto a una concezione particolarmente scarna della filosofia in quanto tale. Così il vuoto cui fa riferimento il titolo del libro di Raimondi, e come tiene a sottolineare egli stesso, non è un "vuoto d'essere"7, ma indica invece il centro di una "contingenza relativa" irriducibile a qualsiasi determinazione necessaria.
Non pertinente è chiedersi cosa qui s'intenda per "essere", in quanto essere. Althusser, in effetti, non si è mai curato di elaborare una propria ontologia, come, ad esempio, ha poi fatto uno dei suoi allievi, Badiou8, per il quale il vuoto è proprio uno o il nome dell'essere, quale le matematiche pure rendono pensabile9. Cosa significhi questo concetto di contingenza relativa che sottotitola il libro di Raimondi va invece cercato addirittura al di fuori della stessa filosofia: tra le scienze e/o nella lotta di classe. Ciò dipende dal fatto che in fondo Althusser ha sempre pensato la sua ricerca al servizio di altre: per tutti gli anni '60 soprattutto delle scienze, in primis, quella marxista; dopo l'autocritica del 1970, soprattutto al servizio della lotta di classe. La politicità della sua filosofia è sempre consistita anzitutto in questo suo essere al servizio. E non è mai mancata. Anche quando, negli anni '60, il riferimento era alle scienze, egli puntava a due maggiori obiettivi politici: da un lato, elevare la scienza del materialismo storico a livello dell'intenso dibattito epistemologico e strutturalista allora in corso in Francia; dall'altro, riscoprire la portata innovatrice di tale scienza per dissociarla dalla ideologia di quei Partiti Comunisti i quali invece pretendevano di detenerne il monopolio, annacquandone la radicalità in favore di un umanismo sbandierato quasi esclusivamente per scopi elettorali, nonché a sostegno di quella strategia diplomatica che allora si chiamava di "coesistenza pacifica", tra comunismo e capitalismo.
Il testo di Raimondi mira a valorizzare questa politicità della filosofia di Althusser, ma non senza approfondire quella che è stata la maggiore novità in termini di disciplina del pensiero e del sapere prodotta da quest'ultimo: la teoria dell'ideologia. Tale teoria è stata voluta anch'essa al servizio delle scienze, del materialismo storico e delle lotte di classe, ma ha finito per prefigurare un campo problematico inedito, tale da far ripensare in modo nuovo anche tutti i suoi presupposti. In particolare, così non si è avuta solo una valorizzazione del ruolo di quella che il marxismo chiamava sovrastruttura e che includeva l'ideologia, ma si è avuta anche una profonda rimessa in discussione persino dell'annodarsi tra scienza, ideologia e politica, così come è stato concepito ed esperito in nome del marxismo. Fin dove questa importante elaborazione sia arrivata e con quali conseguenze è un dibattito aperto che il libro Raimondi rilancia più che mai.
Tra le cose da discutere credo però ci sia proprio se la filosofia politica sia il campo problematico più proficuo di e a proposito di Althusser. Il perché di tali dubbi può essere presto detto, sia pur con inevitabili semplificazioni. In effetti, si può convenire che ogni filosofia per averne i titoli non può non porsi dal punto di vista dell'eterno, ovvero di ciò che gli strutturalisti, con riferimento più o meno diretto alla linguistica, chiamavano "struttura" e che in parole povere si può dire consista in ciò che non varia nel variare del divenire, come appunto il linguaggio in quanto tale10. Ora, col tramonto dello strutturalismo, che coincide più o meno con la fine degli anni '6011, tenere sulla dimensione dell'eterno è diventato più problematico che mai12. È, credo, anche in questo senso che vada interpretata la stessa autocritica di Althusser, il cui pensiero da quel momento in poi sarà meno propriamente filosofico e più marcatamente politico. Ciò che emerge in questa che può essere considerata una seconda fase del suo pensiero non è forse proprio la difficoltà di sviluppare una teoria dell'ideologia mantenendo la "cabina di regia" nella filosofia, col suo sguardo ampiamente panoramico, al di sopra del variare del tempo - ovvero che pensa ogni variazione alla luce di ciò che non varia? E ciò non dipende forse dal fatto che, specie dopo il '68, Althusser si rende conto che società e ideologia comunque cambiano, non diciamo sempre, ma di tanto in tanto e, a volte, per sussulti di inaudita profondità? E che quindi senza stare dentro le possibilità anche infime di simili cambiamenti, senza cercarle, esperirle e pensarle "in diretta", nessuna direzione pertinente può venire né per la conoscenza del sociale, né dell'ideologico, quindi neanche per la politica?
Se tutte queste domande trovassero una risposta affermativa vorrebbe dire che il suo lascito intellettuale più rilevante è sì sempre da cercarsi tra la filosofia e la politica, ma che tra esse sarebbe anche il caso di postulare un nuovo vuoto: un nuovo vuoto, dei cui margini, in gran parte incogniti, le ricerche di Althusser sarebbero da considerarsi prime perlustrazioni. Dare la priorità a queste innovazioni problematiche significa provare a leggere il suo come un materialismo non tanto della contingenza, quanto nella contingenza: in interiorità a una contingenza. Il che, sia chiaro, non implica cieco sul resto; ma vuol dire: capace di pensare l'insieme del divenire, non partendo da ciò che permane, ma dalla singolarità di una sequenza - o, se si preferisce, civettando con una frase altrimenti famosa, sempre a partire dall'"analisi concreta di una situazione concreta".
Non c'è da rivendicare alcuna disciplina nel frattempo consolidatasi in tal senso, ma solo un certo numero di ipotesi, comunque già - sia pur molto sommessamente - messe alla prova da qualche anno. Basti a questo riguardo solo qualche telegrafico accenno utile a puntualizzare come il mio metodo di lettura si differenzi da quello di Raimondi proprio su questo terreno della novità dell'opera di Althusser, come novità irriducibile non solo alla (sua) filosofia, ma anche alla progressiva politicizzazione della sua filosofia. Si tratta essenzialmente di due ipotesi maggiori (su cui tornerò alla fine del punto 4). Da un lato, quella che al seguito di alcune suggestioni a suo tempo avanzate da Sylvain Lazarus proprio in merito ad Althusser13, può dirsi di una nuova versione del materialismo: un "materialismo politico", che pensi il possibile e/o l'impossibile della politica, della sua storia, delle sue filosofie, a partire da un presente singolare e da quanto se ne può conoscere tramite la sperimentazione dell'altra ipotesi. Seconda ipotesi, che, sempre al seguito di Lazarus14, ma anche altrimenti sviluppata15, si può chiamare un "materialismo antropologico o etnografico" volto a conoscere il pensiero di popolazioni governate all'interno dei luoghi dove tale governo si esercita. In entrambi i casi, con la precauzione di un uso certamente "aleatorio" del materialismo, in riferimento soprattutto all'incertezza sullo stesso statuto della "materia" che viene dagli sviluppi della fisica contemporanea.
2) La distinzione tra ideologia e scienza, che (come ampiamente mostrato da Raimondi) è tema ricorrente in tutta l'opera di Althusser, aveva un preciso oggetto polemico: la loro confusione stalinista, che identificava nel Partito la guida tanto dell'ideologia quanto della scienza al servizio del proletariato, come era scritto in Principi del leninismo e Materialismo storico e materialismo dialettico, testi su cui si sono formate intere generazioni di comunisti. Se il filosofo francese si permette di farvi espliciti riferimenti e di avercela con la critica del "culto della personalità" di Stalin quale era uscita dal XX congresso del Pcus è perché il suo materialismo era davvero "radicale" - come è scritto nel sottotitolo de Il Custode del tempo: puntava sempre ad andare alla radice delle questioni. E la radice dello stalinismo per lui non stava in fenomeni come l'autoritarismo, il totalitarismo o l'inumanità, ma stava nell'interiorizzazione, nella somatizzazione, da parte del partito, delle necessità statali. Cosa questa che diventa un obbligo per qualsiasi partito quando si pretende che lo Stato sia divenuto più "umano" e quindi essenzialmente democratico, come appunto, contrariamente a quanto la vulgata antiautoritaria tenta di far credere, era avvenuto nell'Urss staliniana - basta leggersi la Costituzione del '36. Per Althusser difendere il vuoto tra scienza e ideologia equivaleva cercare di porre un distanziale tra Stato e partito, sostenere che tra il primo e il secondo termine non v'è alcuna logica conseguenza: che al centro di tutto c'è la contingenza su cui si tratta di prendere posizione, impegnarsi, far politica. L'ideologia marxista, in questa prospettiva (elaborata soprattutto nelle riflessioni attorno a Machiavelli, cui Raimondi dedica parti importanti del suo testo) avrebbe dovuto tenersi a distanza dello Stato e non discendere direttamente dall'analisi scientifica della situazione economica e sociale determinata dal capitalismo. Prioritario era invece mettersi all'""ascolto" delle masse, per comprenderle"16. Qui chiaramente riecheggia il tema maoista dell'inchiesta tra le masse come presupposto obbligatorio a ogni intervento politico. Ma per Althusser neanche Gramsci, né Mao sono riusciti ad arrivare a formulare una teoria materialistica dell'ideologia, del Partito e dello Stato17.
Che dirne dunque oggi, dopo quasi quarant'anni che cose simili sono state scritte? Una domanda, questa, che, coerentemente al suo metodo di lettura, Raimondi non si pone mai, almeno direttamente, ma che è inevitabile se si interpella Althusser come pensatore materialista in interiorità alla (sua) contingenza.
Inutile dilungarsi su quanti sarebbero i libri necessari per chiarire tutte le differenze tra l'"ora" e l'"allora". Vediamo piuttosto alcuni tratti di demarcazione più lampanti.
Che l'epoca delle ideologie sia finita, che il comunismo abbia perso in gran parte o tutta la sua credibilità, che i partiti d'oggi non hanno nulla o quasi a che fare con quelli storici e ideologici di quarant'anni fa, che gli Stati, la loro sovranità nazionale, contino sempre meno: tutte queste sono oggi certezze ovunque e comunque date per scontate. Il che vuol dire, non che siano assolutamente fuori discussione, ma che quando si discute di tali argomenti è da simili vere o presunte certezze che occorre partire. Ecco una o la grande differenza epocale rispetto al tempo di Althusser.
Tra il concetto di ideologia elaborato da quest'ultimo e quello implicato dal tema della "fine delle ideologie" c'è ben poco in comune. Ma supponiamo che le ideologie siano davvero finite, e chiediamoci se se ne debba dedurre che quanto a tal proposito ha teorizzato Althusser sia tutto da buttare. Una domanda non troppo dissimile se la pone, ad esempio, Recalcati, il quale, supponendo la scomparsa dell'inconscio nell'uomo contemporaneo, si chiede se tutto quello ne hanno elaborato Freud e Lacan sia diventato irrimediabilmente anacronistico18. In entrambi i casi la risposta non può che essere assolutamente negativa.
Vediamo allora in che senso ci sarebbe ancora qualcosa da trarre dalla concezione althusseriana dell'ideologia, quand'anche si dovesse ammettere l'attuale dileguarsi di quest'ultima.
Di sicuro, a essere scomparsa non è certo ogni struttura immaginaria capace di condizionare realmente gli individui. Almeno due novità però trovo vadano necessariamente constatate. In primo luogo, non ci sono più ideologie, al plurale: a dividere il mondo non ci sono più ad esempio il comunismo e l'anticomunismo, come ai tempi della guerra fredda, né ci sono i nazionalismi come prima, durante e dopo la prima guerra mondiale. In secondo luogo, conseguente al primo, in assenza di concorrenti si è venuto imponendo una sorta di monopolio da parte di "un'unica struttura immaginaria" capace di condizionare realmente gli individui: anziché più ideologie oggi ve ne è dunque una, unica, talmente dotata di potenti mezzi di propaganda e persuasione, da non doversi più presentare come tale, e che anzi fa della contestazione di tutte le ideologie uno dei suoi argomenti preferiti.
Per caratterizzare questa inedita situazione, personalmente rubo un termine a Perniola che lo ha utilizzato in tutt'altro modo19: "senso-logia". Si tratterebbe quindi di un'ideologia che, condannando ogni ideologia, rinuncerebbe a ogni idea politica, proponendosi semplicemente come logica rispondente alla sensibilità umana, la più umana che sia mai stata possibile. Il nostro tempo sarebbe allora caratterizzato dal trionfo di quell'umanismo in cui Althusser aveva già identificato (con analisi quanto mai attuali) una figura decisiva dell'ideologia capitalistica. A confermarlo, tra l'altro, ci sarebbe l'importanza acquisita a livello internazionale dai "Diritti Umani" e dalla loro difesa, in verità più che mai aggressiva - da parte, quasi inutile sottolinearlo, soprattutto dagli Stati Uniti e i suoi alleati, i quali nonostante tutte le tendenze contrarie continuano a essere leader nelle strategie capitalistiche globali. Ma a confermarlo ci sarebbe anche quel modello (sempre di origine statunitense) di "democrazia" tout court, senza qualità né idee politiche, che ammette solo "valori" (etici e borsistici) e che si è imposta nel mondo, delegittimando di fatto qualsiasi altro tipo di regime.
Senza l'antiumanismo cui addestra l'opera di Althusser (e ora anche la sua meditata sintesi operata da Raimondi) è impossibile vedere tutto ciò con la dovuta distanza critica.
Ma la concezione dell'ideologia di cui Il custode del vuoto dà conto riserva ancora molti altri stimoli non solo in termini di analisi critica. Indicazioni preziose se ne possono trarre anche per la ricerca di possibilità alternative alla "senso-logia" dominante. Quando Althusser - come più sopra ricordato - richiamava alla necessità di mettersi all'ascolto delle masse giustificava questa esigenza osservando che esse, malgrado siano sempre assoggettate a forme ideologiche, "ora più che mai" (corsivo mio), "anche nelle peggiori condizioni", sono sempre "in movimento", e in direzioni "imprevedibili"20 .
Questo si può dire sia stato ben compreso dalle attuali teorie neoliberali e cognitiviste di governance, le quali sono perennemente a caccia di informazioni su chiunque, prescrivendo monitoraggi delle risorse umane, forme di partecipazione, di valorizzazione dei saperi impliciti e di empowerment personalizzati, il tutto facilitato dalla diffusione e dalle penetrazione della "rete" nei più svariati ambiti del sociale. Niente conferma di più la fine delle ideologie che l'unanime credenza per la quale tutto dipenderebbe dalle relazioni comunicative tra persone e dalle comunità fondate su diverse identità. Ma "ora più che mai", cioè forse ancor più che al tempo di Althusser, "le masse sono in movimento". E ciò non solo per i flussi migranti, cui Raimondi fa incidentalmente penetranti allusioni, ma anche perché la gabbia delle relazioni interpersonali, comunicative e comunitarie entro cui la senso-logia dominante vorrebbe rinchiudere il sociale non può e non riesce a contenere le parole e i pensieri nei quali la dimensione collettiva e impersonale emerge con domande politiche pressanti. Questo in effetti è quanto si può accertare se, come fa il Grep (Gruppo di Etnografia del Pensiero) che coordino da parecchi anni, si svolgono inchieste ad hoc, in luoghi dove la fatica e la sofferenza per lo sfruttamento condiviso fanno parlare e pensare ben altrimenti da quanto la senso-logia dominante fa ripetere ovunque21.
Resta che se le ideologie fossero davvero finite, allora neanche le idee per cui lo stesso Althusser militava, il marxismo e il comunismo, potrebbero più valere. E, sempre secondo una sua ferma convinzione, senza idee, senza teoria: niente pratica politica. Per seguirne oggi la lezione sarebbero dunque addirittura delle nuove idee politiche ciò di cui si dovrebbe andare alla ricerca.
3) Tra i maggiori meriti di Althusser c'è, come dice Badiou, di avere proposto un "quadro descrittivo" dell'"esistenza" storica e sociale che "riposa sul multiplo". Il nome di questa molteplicità senza uno, senza unità, è "pratica"22. Nel 1965 ne elenca cinque: "pratica economica, pratica politica, pratica ideologica, pratica tecnica, pratica scientifica (teorica)". Leggere Althusser, seguendo Raimondi, come custode del vuoto significa leggerlo giustamente come teorico di un reale privo di qualsiasi essenza ontologica unificante. In tale prospettiva, non c'è posto per punti di vista che si pretendano più elevati o più profondi rispetto all'insieme delle pratiche. Anche il solo cercare di osservarle tutte insieme significa già ricadere all'interno di una pratica: quella ideologica strutturata dall'immaginazione. Da qui si può comprendere perché oggi Althusser risulti così inattuale. La nostra non è forse l'epoca dell'informazione, della comunicazione, della conoscenza intesa come conoscenza fatta di informazioni e utile alla comunicazione? L'interdisciplinarietà non è forse l'imperativo prescritto in ogni luogo del sapere?
L'aumento dell'ignoranza, delle iniquità e dei rischi di crisi economiche e sociali che così si diffondono come mai non sembrano incrinare l'ideologia che le copre e che si copre al punto di presentarsi addirittura come sensibilità, come semplice sentire rispondente alla logica più umana che sia possibile: quella per la quale la comunicazione è tutto. E se poi, urtati dai costi che il reale fa pagare al mondo così sensibilizzato, si cercano delle alternative, allora si può sempre credere di trovarne una in quel "comune" che sarebbe la potenza - spirituale - della comunicazione esaltata dalla "rivoluzione informatica".
In questa notte oscura, più antiche post-moderna, in cui quel che più conta è relazionare tutto con tutto sacrificando ogni distinzione, Althusser continua a essere uno dei rari fari. In lui si trovano gli amari, ma salutari, antidoti intellettuali a ogni variante "di destra" o "di sinistra" di questa logica di tipo ideologico e a pretesa ontologica che fa dell'informazione il segreto dell'universo. Il materialismo quale risulta da Il custode del vuoto, nella più pervicace tradizione marxista, è un materialismo che impietosamente si ispira anzitutto alla fisica, con tutte le sue implicazioni inorganiche. Nel suo lessico non si parla che di materia, produzione, forze, macchine, apparati, presa e così via. Niente gli è più estraneo del biologismo che oggi impazza ovunque, con l'intento anestetico di far credere la "persona" e le relazioni interpersonali al centro di tutto. Leggendo i testi così come sono disposti e concentrati da Raimondi si vede bene come per Althusser la conoscenza sia sempre stata anzitutto produzione di sapere in rapporto a un frammento del reale, selezionato con procedure singolari e assunto come impossibile e impensabile. Cosicché risulta lampante che le scienze non hanno nulla in comune, nulla di comunicante, né tra loro stesse, né tra le altre pratiche teoriche o meno. Siamo dunque ai più estremi antipodi di quell'assessment, di quella valutazione generale di ogni sapere che da qualche tempo sta mettendo in croce ogni università, così come del resto le agenzie di valutazione finanziaria stanno facendo con l'economia.
Sia chiaro, che la modernità (da cui sono proliferate le scienze e di cui la pratica politica rivoluzionaria è stata fattore cruciale) - o quanto meno un suo primo grande ciclo - si sia esaurita mi pare difficilmente contestabile. Per cui mi pare anche incontestabile che ogni distinzione disciplinare moderna sia affetta da obsolescenza. Ma piuttosto che celebrare la confusione comunicativa prescritta dal dogma dell'interdisciplinarietà, perché non pensare piuttosto ad azzardare nuove discipline? Se non ci si bea nel perdersi nei labirinti postmoderni, se si vuol recuperare e rilanciare ciò che resta del moderno, senza arroccarsi in trincee oramai sfondate, non sono forse proprio la sfida e l'azzardo della scoperta da ritentare? Non è forse anche a questo che allude l'espressione del materialismo aleatorio? È in tal senso che (come ho più sopra segnalato) nello stesso Althusser, e più in particolare in quel che chiamava teoria dell'ideologia, sono convinto vadano cercati i prolegomeni più meno impliciti di nuove discipline a venire.
4) Nel quadrilatero tra filosofia, scienza, ideologia e politica tramite cui Althusser pensa, il termine meno elaborato è proprio politica. Dopo l'autocritica dei primissimi anni '70 esso diventa addirittura un sinonimo della lotta di classe, nonostante che, come vedremo, parecchie sue successive riflessioni non lo confermino del tutto. Ora, molti commentatori - come bene illustra Raimondi - vedono in questa equivalenza tra politica e lotta di classe un puro e semplice riferimento al marxismo. Ma non è così. Senza farla lunga, basti leggere quello straordinario testo che è la lettera del 1852 a Weydemeyer23, per accorgersi che lo stesso Marx rifiuta di essere identificato come teorico della lotta di classe, a suo dire, già scoperta e studiata da altri prima di lui come motore della storia. Ciò che questi rivendica come sua propria innovazione scientifica è invece l'avere individuato la soluzione della lotta di classe: la fatidica e famigerata dittatura del proletariato, anticamera del comunismo. Lo stesso sguardo di Marx è dunque dichiaratamente oltre la lotta di classe, oltre i con flitti tra interessi socio-economici opposti. Questo "oltre" per Marx è garantito dal divenire storico "ineluttabile" a favore del proletariato e del comunismo, ma si tratta di un "oltre" che evidentemente chiama in causa la politica e la sua organizzazione. Cosa cui lo stesso Marx ha dedicato non certo poco impegno, militando per ciò che si è chiamata la I internazionale. Che statuto problematico dare, che campo disciplinare disporre, per ripensare questa attività con cui lo stesso Marx, ma poi soprattutto Lenin e i milioni di loro seguaci hanno dato corpo all'idea di comunismo, facendone una causa soggettiva? Associare pratica politica e lotta di classe non è una risposta. Anche filosoficamente è assai insoddisfacente. Dal momento che lo stesso Althusser diceva che la filosofia era la continuazione della politica "con altre forme", come accontentarsi del semplice richiamo alla lotta di classe come forma modello24? Che si dovrebbe concludere se si applicasse qui la fine critica che lo stesso Althusser ha a suo tempo rivolto alla psicanalisi di essere sì una teoria regionale di una pratica specifica, ma sempre carente di una necessaria teoria generale25?
Il fatto stesso che egli abbia resistito nel Pcf oltre ogni limite dimostra quanto fosse convinto che senza organizzazione niente politica. Ma l'idea stessa di dovere distinguere tra scienza e ideologia era di per sé un attentato allo stesso Partito che si voleva guardiano della loro unità. Del resto, a proposito del Partito, Althusser non è arrivato mai oltre a formule critiche, il cui motivo ricorrente era il cedimento di questa figura politica a quei meccanismi statali funzionali alla riproduzione delle contraddizioni tra governanti e governati.
In ogni caso: sì all'organizzazione, e, alla fin fine, no al Partito, dunque. E sì anche all'ideologia, se teoricamente orientata, cioè mobilitata dal pensiero, cioè non sillogisticamente dedotta dalla scienza delle formazioni sociali, in quanto sovrastruttura determinata dalla base economica e quindi dagli interessi di classe contrapposti. Questa, molto all'incirca la topologia del pensiero althusseriano intorno alla politica, a prescindere dalla sua semplice equiparazione alla lotta di classe.
Ci si chieda allora chi sono i principali autori di riferimento di tale pensiero. Machiavelli e Montesquieu. Il che ha qualcosa di assai sorprendente, dal momento che si tratta di autori precedenti alla fondazione dell'economia politica, così come la concepisce il marxismo, almeno. Quindi antecedenti anche a quella che Althusser considerava la rottura epistemologica decisiva operata dal materialismo storico nella seconda metà dell'800. Ora tale antecedenza significa qualcosa di estremamente importante. Per capire cosa ci si può riferire a un testo che parla esattamente del pensiero politico prima dell'imporsi del capitalismo e della nascita dell'economia politica. Suo autore è Albert Hirschman e suo titolo Le passioni e gli interessi26. Ciò di cui parla questo testo è proprio il fatto che, detto in parole poverissime, con l'economia politica la problematica delle passioni è stata ridotta a quella degli interessi. Così si è avuta insomma una sorta di economicizzazione del pensiero politico. Se da Machiavelli in poi i sentimenti di governanti e governati (come coraggio, paura, odio, amicizia e così via) erano pensabili come molteplici logiche tra loro contrastanti e mai riducibili a una unica, ma sempre e solo riunite da contingenze singolari, dalla fine del '700, specie grazie all'opera di Adam Smith, avviene una profonda svolta. Il ventaglio delle passioni ritenute socialmente rilevanti viene a restringersi in funzione della loro utilità o meno in rapporto alla logica degli scambi mercantili.
Che tutto ciò abbia contribuito allo sviluppo del capitalismo, con le sue immani conseguenze positive e negative, è fuori discussione. Come pure ben si comprende perché Marx abbia dedicato i suoi massimi sforzi teorici per dimostrare, sullo stesso terreno dell'economia politica, che comunque il capitalismo non portava da nessun parte e che le sue principali vittime ne sarebbero prima o poi diventati becchini. Ma si capisce anche come Althusser, nel momento in cui la politica marxista, dopo gli entusiasmanti trionfi del secondo dopoguerra, si stava rivelando sempre più impotente, per ripensarne le condizioni abbia rivolto il suo sguardo a monte, verso degli autori per i quali tutto non gravitava attorno agli interessi economici e in gioco c'era ancora un ben più ampio ventaglio di passioni.
Non che Althusser sia minimamente da considerarsi un teorico delle passioni politiche. Tuttavia uno dei più riconosciuti meriti della sua opera è stato non solo l'avere riconosciuto una forza realmente determinante in ciò che la classica topica marxista chiamava sovrastruttura - sempre determinata, sia pur "in ultima istanza", dalla base economico-sociale -, ma è consistito anche nell'avere pensato che questa forza determinante della sovrastruttura fosse di diverso tipo da quella della base economico-sociale. Poco chiaro mi pare però restato, nella sua opera come tra i suoi commentatori, quanto e come questa problematica sia distante da quella degli interessi economico-sociali detti di classe. Ripensare la questione delle passioni può essere utile anche in questo senso. In ogni caso, permette di meglio capire alcune delle sue ultime suggestioni attorno a concetti come "incontro" e "presa" in quanto concetti cruciali per la politica27.
Riallargare il ventaglio delle passioni rilevanti per la politica è in effetti un modo per evitare il vicolo cieco in cui si è arenata la problematica degli interessi di classe. Al di là di tutte le profonde definizioni scientifiche che ne sono state date da Marx e i suoi seguaci, resta che esse finiscano sempre per portare all'esaltazione di un'unica passione: l'odio anticapitalista. Senza quest'odio non si giustificherebbe neanche la lotta di classe. Tuttavia, a mantenere questo centro di gravità si può comprendere ben poco di tutto quello che hanno fatto, pensato ed esperito socialisti e comunisti, diciamo, a partire da Il manifesto del Partito Comunista. Cos'altro è stato infatti se non lavorare per creare quella condizione preliminare della loro stessa esistenza politica che è stata una qualche unità, per quanto precaria e minimale, dei proletari?
Ora, per il raggiungimento di questa condizione di esistenza storica e politica, anche solo a livello infinitesimo - come fu ad esempio con la cosiddetta I internazionale -, più che l'odio (sempre immancabile - sia chiaro) non hanno forse ben più contato proprio quell'"incontro" e quella "presa" di cui parla l'ultimo Althusser? Ora, il punto è che tali termini, dal punto di vista delle passioni, possono essere interpretati nel senso dell'amicizia e della sua durata28. La questione è grossa29, ma basti qui precisare che in politica l'amicizia e la sua durata non possono non essere concepite se non con condizioni e conseguenze del tutto singolari, inapplicabili in altre casistiche. Tra le prime condizioni v'è sicuramente un'idea appassionante di giustizia sociale come è (stata) il comunismo, ma anche il suo prender corpo in un'organizzazione capace di sperimentarla. Essere amici come "compagni" è questo anzitutto che ha significato: amare la stessa idea di giustizia fino al punto di farne la propria causa soggettiva condivisa con altri e di sacrificare anche il proprio per un corpo organizzato. Così si potrebbe certo anche ammettere che "siano i corpi a precedere il pensiero" come dice Raimondi o che quindi non si possa non "pensare col corpo" come dice Negri citato da Raimondi30. Ma a condizione di non equivocare e non intendere con corpo quello della persona, che lo stesso Althusser ha sempre trattato giustamente come pura maschera della soggettività ideologica. Riprendere le sue osservazioni critiche sulle organizzazioni dei corpi collettivi non può portare a cedere alla sensibilità "ideologica" oggi dominante secondo la quale la vitalità starebbe solo nei corpi delle persone e nelle loro relazioni comunicative, mentre ogni corpo impersonale non sarebbe che burocrazia mortifera e totalitaria. Del rapporto tra Machiavelli e Gramsci che tanto ha fatto riflettere Althusser non si può dimenticare o considerare un cedimento "organicistica"31 l'accostamento del Partito Comunista al Principe. Alla luce di questo accostamento tutta la storia del '900 del marxismo appare come ultimo grande ciclo di sperimentazione moderna di quei corpi collettivi politicamente appassionati di cui il Leviatano di Hobbes e il Sovrano di Rousseau, sono stati altre due figure teoriche maggiori. Qui torna utile la discussione sulla scienza, quale Althusser l'ha impostata: come produzione teorica a partire da una certa materia prima e in vista di un determinato prodotto. La problematica del pensiero politico come pensiero di corpi che organizzano le passioni collettive può recuperare questa idea, non foss'altro che per individuare in tali corpi la condizione materiale della produzione della politica. Così il materialismo politico, di cui si è accennato più sopra, poterebbe iniziare a muovere dei primi passi. Fermo restando che, come lo stesso Althusser ha sottolineato, a fondamento di tali corpi non c'è che da vedere il vuoto della contingenza che essi occupano raggruppando senza fonderla una molteplicità di "quei luoghi dove gli uomini sono raggruppati sotto determinati rapporti"32. Ed è proprio per studiare simili rapporti che il materialismo etnografico (di cui ho pure accennato più sopra) potrebbe aver un suo ruolo.
Concludendo, il tempo delle ideologie, dei partiti comunisti, come di quelli anticomunisti e intermedi, a me pare sia da ritenersi del tutto finito. Probabilmente con il '68. Così pure del tutto finito è anche il tempo dei sacrifici militanti. Probabilmente coi seguiti dello stesso '68. Nessuna nostalgia. Ma i proletari, i governati, le masse, la gente senza potere di condizionare la vita degli altri non sono mai stati così divisi e dispersi come oggi. Non resta allora che sperare nel comune comunicativo che rilancerebbe di fatto il comunismo? Non è a questo che ci porta la lezione di Althusser.
Comunque ben lontani sono quegli anni in cui egli stesso ha elaborato le sue teorie. Allora giungeva all'apogeo, per poi concludersi, la parabola espansiva dei "trent'anni gloriosi" del Welfare e di una delle più ampie riduzioni mondiali delle differenze sociali. Se ciò è stato possibile è stato anche perché, dall'Ottobre '17 a Stalingrado, dalla costruzione del socialismo in Urss a quello cinese e così via, il comunismo con le sue organizzazioni diffuse ovunque è uscito dalla seconda guerra mondiale trionfante, seminando dappertutto entusiasmi e paure. Ma come spesso accade dopo i trionfi, le passioni che li hanno nutriti scemano e si dividono. L'opera di Althusser, quale Raimondi ripensa e ripropone, è tutta dentro questo venire meno di questa biforcazione, col progressivo prevalere del primo sulla seconda. Il Partito nelle sue riflessioni è quindi soprattutto oggetto di critiche in quanto incapace di sottrarsi ai meccanismi apatici con cui gli Stati riproducono la differenza tra governanti e governati. Ma poco è detto sul segreto che, anche a prezzo di immani sofferenze inflitte e subite, ha fatto di questo tipo di corpo il luogo di incontro, d'amicizia, di unione, di entusiasmo di tante popolazioni altrimenti umiliate e sfruttate. Althusser ne parla comunque come di "un'esistenza storica" politicamente indispensabile, su cui continuare a riflettere. Una buona domanda sta allora nel chiedersi come corpi simili a quelli dei Partiti Comunisti, potrebbero essere di nuovo possibili, senza cadere nella trappola di voler funzionare come stati, centri di potere o di una qualsivoglia forma di governo.
Il Custode del vuoto di Raimondi è indispensabile anche per continuare a chiederselo.
Note
1 L. ALTHUSSER, Contradiction et surdetermination (dove comunque non trascura di ricordare l'estrema vastità dei crimini della repressione staliniana) in ID., Pour Marx, Paris 1971.
2 Già curatore della traduzione di L. ALTHUSSER, Marx nei suoi limiti, Milano 2004.
3 F. RAIMONDI, Il custode del vuoto. Contingenza e ideologia nel materialismo radicale di Louis Althusser, Verona 2011.
4 F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., p. 7.
5 G. BORRELLI, Il primato della contingenza, in "il Manifesto", 21/6/2011.
6 F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., p. 305.
7 F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., p. 60.
8 Il quale ricorda di essere stato rimproverato dal maestro di "pitagorismo" negli atti del convegno curati da Sylvain Lazarus ed editi col titolo Politique et philosophie dans l'oeuvre de Louis Althusser, Paris 1993, p. 32.
9 A. BADIOU, L'être et l'événement, Paris 1988.
10 Vedi F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., pp. 87-88.
11 Vedi J.C. MILNER, Le périple structural. Figures et paradigmes, Paris 2002.
12 Il che non vuol dire senza soluzioni possibili: in sensi opposti, le opere di Deleuze e Badiou, ad esempio, lo attestano.
13 S. LAZARUS, Politique et philosophie dans l'oeuvre de Louis Althusser, cit.
14 Si veda il testo, in buona parte ermetico, S. LAZARUS, Anthropologie du nom, Paris 1994.
15 Si vedano V. ROMITELLI (ed), Etnografia del pensiero. Ipotesi e ricerche, Roma 2005 e ID., Fuori della società della conoscenza. Ricerche di etnografia del pensiero, Roma 2009.
16 Cit. in F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., p. 176.
17 Ivi.
18 M. RECALCATI, L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicanalitica, Milano 2010.
19 M. PERNIOLA, Del sentire cattolico. La forma culturale di una religione universale, Bologna 2001, ma, dati gli argomenti, è da menzionare di questo stesso autore anche Contro la comunicazione, Torino 2004.
20 F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., p. 176.
21 Si vedano le inchieste in Etnografia del pensiero e Fuori della società della conoscenza già citati.
22 A. BADIOU, Qu'est-ce que Louis Althusser entend par philosophie in Politique et philosophie dans l'oeuvre de Louis Althusser, cit. p. 33.
23 Si veda: www.marxists.org/archive/marx/works/1852/letters/52_03_05.htm.
24 A. BADIOU, Qu'est-ce que Louis Althusser entend par philosophie, cit., p. 43.
25 F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., p. 93.
26 A.O. HIRSCHMAN, Le passioni e gli interessi. Argomenti politici in favore del capitalismo prima del suo trionfo, Milano 1993.
27 F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., soprattutto pp.223-224.
28 Su cui ha scritto pagine interessanti quello stesso autore che a sorpresa e sia pur marginalmente Raimondi nota (in F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., p.204) comparire tra le letture tardive di Althusser: J. DERRIDA, Politiche dell'amicizia, Milano 1994.
29 Qualche riflessione a riguardo l'ho già proposta in V. ROMITELLI, L'odio per i partigiani. Come e perché contrastarlo, Napoli 2007 ma una trattazione più completa sarà nel testo in preparazione dal titolo L'amore per la politica.
30 F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., p. 279.
31 Si veda R. ESPOSITO, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Torino 2010, pp. 182-183.
32 F. RAIMONDI, Il custode del vuoto, cit., p. 279.
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