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La vita sessuale di Immanuel Kant
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il manifesto - 1.08.2001
Cattedre e bordelli
di UBALDO FADINI
Nel singolare libretto di J. B. Botul (vera e propria maschera filosofica, dietro cui forse si nasconde il curatore Frédéric Pagès) su La vita sessuale di Immanuel Kant (Ombre Corte, pp. 94, L. . 15.000, traduzione e postfazione di Luca Toni) ci si interroga ancora una volta sul "vizio" filosofico di chiudere il proprio discorso in termini autoreferenziali, rimuovendo le ragioni del confronto con l'esterno, l'altro da sé, ciò che sta "fuori". Ma quest'ultimo inevitabilmente ritorna, in modalità spaesanti, bizzarre, appunto eccentriche, negli sviluppi stessi dell'esistenza dedicata all'impegno filosofico, come quella di Kant, oltre che nei percorsi della ricerca, nelle pratiche di concettualizzazione. E' la solita storia: al concetto si sacrifica la vita, ma i costi sono comunque assai elevati. La tesi provocatoria di Botul è quella di indicare nella banalità dell'esistenza di Kant (rimasto letteralmente inchiodato per tutta la vita alla sua città sulle rive del Baltico: Koenigsberg) qualcosa di consustanziale alla sua filosofia e alla "filosofia in generale": si tratta infatti di una monotonia coltivata, riassunta nella questione del celibato, che "fa parte dell'essenza stessa della filosofia". Non sarebbe dunque un caso che la filosofia si tenga lontana dalla sessualità e che "il filosofo degno di questo nome" non si sposi, anche se poi ciò che viene rimosso - le ragioni del corpo, in tutte le sue espressioni - riaffiora all'interno dello stesso testo filosofico, in particolare nelle sue oscurità, nelle ombre che lo accompagnano e in qualche misura lo contengono, rendendolo instabile, teso e intimamente insicuro. Un sollievo apparente a questa condizione è offerto dal culto (e dalla ricerca mai pienamente soddisfatta) degli universali, rispetto al quale sembra opportuno sacrificare molto, rinunciare cioè alle differenze: Botul lo dice bene quando afferma che la morale kantiana fonda "un regime che ha la forza di una città religiosa senza gli inconvenienti del clericalismo", il che può spiegare, almeno in parte, il perché del suo "successo", data la forza di convinzione che hanno i precetti universali in età di crisi.
Il kantismo è innanzitutto un modo di vivere, opportunamente tradotto nell'astrazione sistematica, che in fondo però tradisce la vita stessa nel momento in cui il matrimonio, il "commercio sessuale" regolarizzato e in generale l'intera sessualità comunque espressa, vengono considerati come dinamiche di logoramento di quella forza vitale che soltanto nell'attività a tempo pieno della filosofia potrà godere del proprio consumo. Già questo fa rabbrividire, ma Botul osserva ancora come dietro all'apparenza di una esistenza tranquilla si possano scorgere avventure ai margini dell'ignoto, "ai confini della follia". La filosofia come discorso ben ordinato e asessuato (il che vuol dire sostanzialmente "degenerato") non riesce però a cancellare le ragioni della diversità, delle differenze, che disegnano in ogni caso figure di libertà, certamente anche "mostruose" all'interno del suo spazio istituzionale di esercizio. Patologica è la condizione dell'esistenza kantiana: il "malinconico e allucinato Kant" esprime il "lato ossessivo e patologico" del suo regime di vita, rivolto alla sopravvivenza "filosofica", nel suo presentarsi come una sorta di "saggio Folle", tentato dalle creazioni di quella "libido metafisica" che va contenuta nell'ascesi della concettualizzazione "critica". Giustamente Botul ricorda come Kant indichi, alla fine della prima Critica, nel desiderio d'amore ciò che spinge alla metafisica, di fatto responsabile di disordini insuperabili, contrapponendo ad esso l'impianto complessivo del suo criticismo, del pensiero del limite. Il filosofo tedesco sembra come ossessionato dalla necessità di impedire ogni spreco di sé, qualsiasi tipo di consumo della propria energia vitale, dalla saliva allo sperma, in un senso che appare rivolto a identificare lo sperma con lo pneuma, con quel "soffio", quello "spirito", che scorre nel sangue e nel seme sotto forma di "spiriti animali". Di conseguenza, ogni "consumo di sperma" vale come consumo di pneuma, di cervello, affermando così il legame dell'inferiore con il superiore, del basso con l'alto.
L'attivazione del sesso significa perdita di midollo, cioè di cervello, spargimento di quelle sue "gocce" che portano altrove le ragioni delle vita, la salute... Il "divertimento" di Botul continua nel senso di sottolineare come Kant voglia conservare tutto: ma anche il filosofo-giudice (del tribunale della ragione) ha conosciuto dei momenti di crisi, che trovano espressione nel suo lavoro quando vi si affronta il motivo del sublime, vale a dire di uno sconvolgimento esistenziale che accade "in presenza di qualcosa che ci oltrepassa", della manifestazione concreta di un "trascendente non divino". Botul affianca ai generi di sublime noti ai lettori di Kant (dalle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime alla Critica del Giudizio) un "sublime umano", quello appunto sessuale, in grado facilmente di convertirsi nell'osceno, "che appartiene all'ordine del sacro e dell'orribile" ("stessa ambivalenza: attraente e ripugnante"). Il sublime e l'osceno conducono a una perdita di sé, rispetto alla quale il filosofo non fa altro che opporre il rimedio della costruzione del "sistema", meglio: di una gabbia di concetti capace di disciplinare la costitutiva "fragilità" dell'essere umano. Botul si diverte poi a identificare la cosa in sé, il noumeno, con la sessualità, che non è conoscibile, anzi: non va conosciuta. Lo stesso tentativo di conoscere la cosa così com'è realmente è colpevole, non è semplicemente un errore. Si potrebbe anche dire che fare della metafisica è tentare di fare del sesso, visto che si desidera la verità, la si vuole cogliere priva di veli (questo potrebbe spiegare il transito dalla cattedra al bordello così com'è stato descritto da Mann nella figura dell'angelo azzurro). Segnale dell'ipermodernità della filosofia può essere considerato il tentativo "di laboratorio" di procreare senza seme, che sembra appunto prolungare il sogno della liberazione dal destino di obbedienza legato all'istinto di riproduzione. La filosofia "critica" rappresenta proprio uno dei modi per scampare a questa automatica e specifica obbedienza. Scrive Botul: "Se la maggior parte dei filosofi furono celibi, è per testimoniare che lo scopo ultimo dell'Umanità non è quello di riprodursi. Non siamo cani, parameci o conigli. La filosofia è l'affermazione che esiste un modo non sessuale di perpetuarsi. Le eredità filosofiche fanno a meno dei geni".
A ragione il "misterioso" Botul insiste sulla malinconia che accompagna questo genere di filosofi, che fanno parte della "grande famiglia di Saturno" (che trova spazio "nelle scuole, nei banchetti e nelle università") e ci ricorda il fatto che Kant è il filosofo del limite, che il suo equilibrio è quello di chi vive in uno squilibrio che può essere raffigurato nell'immagine del filosofo che ondeggia su una corda tesa, tra il sopra e il sotto, nella visione terribile dell'abisso. Le stesse Critiche possono essere considerate "come la cura terapeutica di un uomo lacerato, di un funambolo della ragione e della sragione che sperimenta quotidianamente il richiamo del sublime e dell'orribile". Ma al di là dello stesso Kant, del suo "doppio", della presa d'atto che in qualsiasi morale universalistica è presente un "germe di perversione che è sufficiente attivare per ottenere il genocidio e lo sterminio di massa", c'è da dire ancora che si afferma, in queste considerazioni di Botul, un'idea della filosofia come un qualcosa di intimamente sterile, visto lo stretto legame tra le sue pretese sistematiche e le pratiche repressive, inibitorie, della carica libidinale. E' questa però l'immagine della filosofia o accanto (anche contro) a questa sarebbe perlomeno da porre un'idea diversa, che esalta della filosofia il carattere non sterile, produttivo di concetti risultanti dal confronto con il caos, con quell'abisso che vale come presupposto di tutte le operazioni di cervelli capaci, oltre che della filosofia, di arte, di scienza, in altre parole: di ciò che accompagna il divenire degli uomini?
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