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Il comunismo del capitale
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Finanziarizzazione, biopolitiche del lavoro e crisi globale
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il manifesto - 5 Novembre 2010
Il potere alienato dalla folla
di Toni Negri
La raccolta di saggi "Il comunismo del capitale" di Christian Marazzi* ripercorre le
trasformazione del capitalismo contemporaneo dove la finanza è diventata strumento di
governo dello sviluppo economico. La dismissione del welfare state e la precarietà dei rapporti
di lavoro risultano, così, due momenti della appropriazione privata del "comune". Il libro
dell'economista di origine svizzera non si limita, però, a una rassegna dei cambiamenti
avvenuti, ma si pone l'obiettivo di fornire strumenti per la trasformazione.
Sono stati scritti in un decennio, questi saggi di Christian Marazzi raccolti nel volume Il
comunismo del capitale (Ombre corte, pp. 160, euro 23). Hanno il buon sapore che si sentiva
nel bel volume che ha reso questo economista di origine svizzere abbastanza noto in Europa e
negli Usa: Il posto dei calzini (pubblicato dalla casa editrice Casagrande nella Svizzera italiana
e ripreso poi da Bollati Boringhieri). Lì, per la prima volta, il postindustriale era coniugato con la
sovversione femminista ed il postmoderno trovava non una voce debole o molle per dichiararsi
(come ci avevano abituato i suoi fondatori) ma mostrava i muscoli della rivoluzione sociale.
Leggo qui con voi le prime due parti di questo libro: la prima, "Biocapitalismo e
finanziarizzazione" e la seconda, "Il lavoro nel linguaggio". Parto da una questione posta da
Marazzi che sembra, a prima vista, bizzarra e mi chiedo con lui: perché i manager sono spesso
dislessici? Perché - risponde Christian -se la difficoltà di focalizzare e decodificare i fonemi
sviluppa nei dislessici, in generale, la capacità di vedere o percepire molto rapidamente il
quadro d'assieme, il contesto nel quale si trovano ad operare i manager trasforma la condizione
di dislettica nella facoltà di alterare e creare percezioni, organizza un'estrema consapevolezza
dell'ambiente nel quale sono immersi. Pensiero ed intuito si applicano insieme su scene
multi-dimensionali e qui esprimono potenza e creatività.
Quando Marazzi ci racconta queste avventure che capita ai manager di vivere, non lo fa proprio
per riconoscere loro qualche dono sublime, per definirli come geni romantici - lo fa piuttosto per
scavare, attraverso quella specifica competenza imprenditoriale, le caratteristiche della
produzione postindustriale e la dinamica linguistica della nuova economia. Economia digitale e
sociale, economia immateriale e cooperativa. La tesi è precisa: la nuova economia non conosce
più quella delega tecnologica che costituiva il perno della divisione del lavoro nell'economia
industriale (attraverso le macchine gli operai erano massicciamente delegati alla produzione);
neppure conosce una struttura lineare, liscia e continua. Al contrario: in un ambiente arredato
da tecnologie multimediali, dove è mobilitata l'attività vitale di tutti gli organi del corpo umano, ivi
predomina una divisione cognitiva del lavoro e tecnologie discrete tendono a sostituire le
vecchie tecnologie accumulative dell'industria fordista.
La potenza del dislessico
Il dislessico non può che trovarsi bene in questo ambiente. Non solo manager ma anche
semplice operatore linguistico. La discontinuità dislessica diviene inventiva. Il processo
industriale non procede più attraverso innovazione (quantitativa, dialettica, schumpeteriana) ma
attraverso convenzioni sociali nutrite da connessioni di conoscenze e di affetti, da invenzioni
vere e proprie, che interiorizzano l'intero insieme delle condizioni sociali al processo produttivo.
"Ciò dipende più dall'immaginazione che dalla logica, più dalla poesia e dall'umore che dalla
matematica". (Non sarà dislessico anche Marazzi? Ed anche noi non vorremmo esserlo? È
chiaro che sì.). Tuttavia quel capitalismo che imprigiona il linguaggio e fa di questo la sua
materia prima, trova in questo anche il suo limite. "Nel capitalismo dislessico la potenza
creativa dell'agire umano si affranca dalle condizioni poste dalla logica lineare dell'economia di
mercato. La crisi rivela questo suo interno divenire, l'alternarsi "delirante" tra creatività
multi-sensoriale e ordine economico disciplinare". È così che avanziamo nella conoscenza del
capitalismo contemporaneo. Capitalismo di crisi -è evidente: perché esso regola una materia
vivente, perché pretende di eccitare all'invenzione produttiva dispositivi di soggettività che deve,
al tempo stesso, controllare. Conseguentemente "l'impresa irresponsabile è la forma del
comando capitalistico su una cooperazione sociale che, per manifestarsi come attività tesa
all'innovazione e allo sviluppo economico, tanto dev'essere libera, ma altrettanto dev'essere
piegata nel rapporto sociale di produzione".
Ma il capitale non è solo mascalzone (e neppure lo sono semplicemente gli imprenditori). È
chiaro che nel postindustriale e nei regimi economici dove la valorizzazione è estorta alla forza
lavoro intellettuale, sociale e cooperante, la legge del valore non funziona più nella stessa
maniera di prima -poiché la misura della produttività sociale (cioè la funzione di controllo dello
sviluppo ed eventualmente della crisi) deve esser comunque determinata. La finanziarizzazione
dei processi economici risponde a questo scopo. Non deve dunque esser vista come una
perversione speculativa e neppure come una semplice prolungazione delle forme classiche del
capitale finanziario (alla Hilferding) -questa finanziarizzazione non sta fuori ma dentro la
produzione sociale.
La fusione tra salario e reddito
In conseguenza di questa interiorità, il capitale finanziario rappresenta la fusione dell'insieme
delle funzioni della moneta: la tradizionale distinzione tra salario diretto e salario socializzato,
fra salario e reddito è in via di estinzione. Smettiamola di piagnucolare sulla distanza
dell'economia finanziaria da quella reale! Se la comunicazione, il linguaggio e la cooperazione
intersoggettiva stanno al centro dei processi di valorizzazione del capitale, questa interiorità è
divenuta la forza del capitale. Ma è divenuta anche la sorgente di ogni sua crisi - è lì, nella
contradizione fra linguaggio come bene comune e la sua appropriazione privata. "La new
economy rivela la crisi di commensurabilità che è stata la chiave del suo stesso successo. (...) I
mercati finanziari hanno assunto un ruolo che in passato aspettava allo Stato keynesiano,
quello della creazione della domanda effettiva indispensabile per assicurare la continuità della
crescita. Lo spostamento del risparmio dal debito pubblico ai mercati borsistici (...) ha dato
origine alla prima quotazione del general intellect".
Quando il dominio capitalistico investe la vita e quando la finanziarizzazione si rivela come un
vero e proprio campo di esercizio del biopotere, quando il capitale si appropria non più
solamente dei mezzi di produzione ma di una forza lavoro disgregata e delle sue forme di vita,
che cosa avviene allora? Quale sarà, in queste condizioni, il nuovo comune dei lavoratori? Una
riappropriazione comune di tutto ciò che è privato? Una democrazia come forma di vita -sociale
ed economica, linguistica e politica?
Un vademecum per colpire i rentier del comune
di Carlo Vercellone
Il comunismo del capitale è uno dei migliori saggi usciti sulla crisi
globale del capitalismo contemporaneo. Al tempo stesso in modo preciso e
pedagogico, Marazzi* spiega il lessico e la grammatica della
finanziarizzazione e, saggio dopo saggio, guida il lettore nella
ricostruzione dei meccanismi che hanno condotto dallo scoppio della
bolla della new-economy a quella dei subprime. Ne risulta un'analisi
acuta del carattere strutturale della crisi e delle tendenze
deflazionistiche che condannano i paesi dell'Ocse a una lunga fase di
stagnazione e d'instabilità sociale, geo-politica e monetaria. Nel
quadro di questa recensione, vorrei insistere su due aspetti
particolarmente stimolanti della lettura della crisi proposta da
Marazzi: il suo senso e la sua posta in gioco. Il primo aspetto parte
dal rovesciamento del presupposto comune alla grande maggioranza delle
interpretazioni della crisi secondo cui la sua origine si troverebbe
nella crescita abnorme del potere autonomo della finanza. La finanza,
insomma, come una forza esogena, avrebbe preso in ostaggio il "buon
capitale produttivo" dell'epoca fordista e soffocato l'economia reale
imponendo le sue norme di rendimento e una drastica compressione dei
salari. Marazzi rifiuta tale visione fondata sull'ipotesi di una
dicotomia tra economia finanziaria e reale cosiccome di un conflitto tra
le differenti frazioni del capitale. Per Marazzi è nella metamorfosi che
la crisi del fordismo e lo sviluppo di una economia fondata sulla
conoscenza ha indotto nei meccanismi d'estrazione e di realizzazione del
plusvalore che bisogna cercare le origini del processo di
finanziarizzazione e le sue caratteristiche completamente inedite: in
particolare la sua natura né ciclica, né circoscritta ma strutturale,
pervasiva e consustanziale a una nuova logica dell'accumulazione che
ingloba l'insieme delle componenti del capitale. Due punti della
dimostrazione di Marazzi sono a questo proposito essenziali. La finanza
é ormai plasmata sull'insieme del processo di produzione e di consumo,
penetrando, come per l'utilizzo della carta di credito, in ogni singolo
atto della nostra vita quotidiana. Il capitale cosiddetto produttivo,
lungi dal subirlo, é stato uno degli attori del processo di
finanziarizzazione in quanto modalità adeguata del controllo e dello
sfruttamento di un'economia fondata sul ruolo motore del sapere e la sua
diffusione. L'espropriazione del comune. Nel nuovo capitalismo, la
finanza non è infatti che la manifestazione principale di una
moltiplicazione delle forme rentières d'accumulazione, e più
precisamente, di quanto si può chiamare "il divenire rendita del
profitto". In altri termini, il capitale tende sempre più a catturare il
valore a partire dall'esterno del processo di produzione, senza più
giocare alcun ruolo positivo nell'organizzazione del lavoro e nello
sviluppo delle forze produttive. Questa evoluzione si manifesta
attraverso due modalità principali che Marazzi illustra con molteplici
esempi. Da un lato, è sempre più al di fuori delle frontiere delle
imprese che il capitale ricerca le conoscenze e le competenze necessarie
alla propria valorizzazzione, come attesta anche il ricorso massivo alle
strategie manageriali di "crowdsourcing, ossia di messa a valore della
folla (crowd) e delle sue forme di vita". Ne consegue un formidabile
innalzamento del tempo di lavoro non retribuito che contribuisce a
spiegare il mistero della "crescita dei profitti senza accumulazione di
capitale" che ha preceduto e in parte determinato la crisi. Dall'altro,
che si tratti della finanza, dei diritti di proprietà intellettuale o
ancora della privatizzazione del Welfare, l'estensione della proprietà
privata e della logica della merce comporta ormai la creazione di una
scarsità artificiale di risorse e si traduce in un freno al processo di
circolazione e di produzione di conoscenza. In questo senso, la crisi,
al di là dei meccanismi congiunturali e strettamente finanziari che
l'hanno innescata, ha un carattere sistemico. Essa esprime la
contraddizione strutturale che oppone il nuovo capitalismo, cognitivo e
finanziarizzato, e le condizioni sociali e istituzionali della
produzione del comune proprie a un'economia fondata sulla conoscenza. La
rendita è insomma il modo di espropriazione del comune. Con questo
concetto si deve intendere non solo la moltiplicazione dei beni
informazionali e conoscenza, non rivali, non esclusivi e quindi
teoricamente disponibili in quantità illimitata. Si deve intendere anche
e soprattutto l'egemonia tendenziale del lavoro immateriale e cognitivo
che va di pari passo con una "crescente perdita di importanza strategica
del capitale fisso e il trasferimento di una serie di funzioni
produttive-strumentali nel corpo vivo della forza-lavoro". Abbiamo qui,
come mostra Marazzi, le fondamenta di un nuovo modo di produzione che
punta al di là del capitale. Esso trova la sua figura emblematica nel
"modello antropogenetico" dove la produzione di merci a mezzo di merci
cede il passo a quella della produzione dell'uomo mediante l'uomo
secondo una logica dominante nei servizi del Welfare (salute,
educazione, ecc.) e che in gran parte sfugge alla razionalità economica
del capitale. Su queste basi, un secondo aspetto centrale dell'analisi
di Marazzi è di invitarci a riflettere sulle condizioni di un processo
di uscita dalla crisi capace di superare i termini della tradizionale
alternativa tra Stato e mercato, ossia della scelta tra
l'assoggettamento alla dittatura delle finanza e la nostalgia socialista
di uno stato-piano dirigista in cui il pubblico si pone come la
negazione del comune. La questione che qui si pone può essere formulata
nei termini seguenti : come pensare, - non abbiamo paura delle parole -
una pianificazione decentralizzata del comune che salvaguardi al tempo
stesso le caratteristiche della democrazia radicale propria a
quest'ultimo? Per abbozzare una risposta a questa domanda, l'analisi di
Marazzi ci offre alcuni spunti fondamentali: l'incontro tra
intellettualità di massa e tecnologie digitali apre possibilità inedite
di coordinazione della produzione e dei bisogni su una scala non solo
locale ma globale; la risocializzazione della moneta e la sua messa al
servizio di un piano di rilancio fondato sulle produzioni dell'uomo
mediante l'uomo e la riappropriazione democratica delle istituzioni del
Welfare; l'instaurazione di un reddito garantito. Potrei continuare. Ma
mi fermo qui ricordando il monito con cui Marazzi conclude
l'introduzione al suo libro: "il primo passo per costruire nuovi
paradigmi alternativi, nuove forme di governo del comune, è tutto
soggettivo. Qui non ci sono ricette predefinite, c'è solo la dura
consapevolezza che qualsiasi futuro dipende da noi".
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