Carlo Saletti (a cura di)
Fine terra
Benjamin a Portbou
 
Il Venerdì di Repubblica, 24.09.2010

Il mistero di Walter Benjamin. Gli enigmi del suicidio e dell'ultimo manoscritto nella ricevuta di un hotel
di Tommaso Basevi

A 70 anni dalla morte, un libro, Fine Terra, raccoglie tutte le testimonianze di chi, a Portbou in Catalogna, visse i giorni più tragici e disperati dell'intellettuale ebreo che cercava di raggiungere gli Stati Uniti per sfuggire al nazismo.

Portbou. Una valigetta di cuoio nera, contenente un misterioso manoscritto. Un corpo senza vita tumulato in fretta. Date falsate. Una tomba nel camposanto "sbagliato". Il tragico epilogo dell'esistenza di Walter Benjamin, di cui ques'anno ricorre il 70 anniversario della morte, ha tutti gli ingredienti per un racconto "poliziesco" avvolto com'é da una moltitudine di interrogativi ancora irrisolti. Guarda caso, Gershom Scholem (a proposito del suo amico di una vita) ricordava come egli fosse "un appassionato lettore di romanzi gialli in particolare quelli di George Simenon e di Maurice Leblanc, l'inventore di Arsène Lupin, il ladro gentiluomo". Mettere ordine alle domande, alle risposte, ai dubbi su cosa effettivemente sia successo nella notte tra il 26 e il 27 settembre del 1940 nella stanza numero 4 dell'"Hotel de Francia" e nelle ore successive al ritrovamento del corpo senza vita dell'autore delle "Tesi sul concetto di storia" e di "Infanzia berlinese" è l'obiettivo del libro Fine Terra-Benjamin a Portbou in uscita in questi giorni per Ombre Corte (casa editrice che già nel nome rinvia a una terminologia "benjaminiana"). L'opera, curata da Carlo Saletti, assembla e presenta per la prima volta ai lettori italiani ampi stralci del lavoro collettaneo Für Walter Benjamin. Dokumente, Essays und ein Entwurf diretto dagli storici tedeschi Ingrid e Konrad Scheurmann.
"La sua esistenza e la sua tragica fine - precisa Saletti - non sono che una tessera del più vasto fenomeno dell'esilio europeo nel Novecento. La sua è stata una di quelle vite mutilate - secondo la definizione che ne ha dato Theodor Adorno - di cui è costellata la miseria morale in cui piombò il continente".
Proviamo ad immergerci in quelle convulse ore in cui Benjamin il fuggiasco, provato nel fisico e nel morale dall'esilio e dal sentimento di una catastrofe al tempo stesso individuale e collettiva, si lascia inghiottire dalla Storia e dall'inesorabile avanzata della "peste nera" che, partendo da Berlino, cuore del Terzo Reich, sta divorando l'Europa.
Il cul del sac in cui Benjamin finisce ingabbiato ha un nome catalano: Port Bou. L'estate è appena finita ma fa ancora caldo. Quello è il primo villaggio oltre il confine francese. Un borgo di pescatori e di contrabbandieri dominato da una gigantesca estación de ferrocarril e da una cupa chiesa neogotica, che sembra benedire treni fantasma. Le strade del piccolo pueblo di frontiera sono ancora costellate di macerie. Bombe italiane. Qui, come a Barcellona, gli aerei del regime mussoliniano avevano da poco finito di scaricare morte per stroncare la resistenza dei "rossi". Nella galleria che conduce in Francia, migliaia di profughi repubblicani, laceri e in rotta davanti all'avanzata franchista, si erano ammassati in cerca di salvezza: una tragica epopea passata alla storia con il nome di Retirada.
Benjamin è, come i repubblicani spagnoli, un esule. Come loro è costretto alla fuga, ad attraversare una frontiera. Solo la linea di deriva è inversa. E le date sfasate: novembre 1936-settembre 1940. Per sette anni, era vissuto in esilio a Parigi, con poche lire in tasca, passando le notti in solitudine a scrivere lettere ad amici e conoscenti dispersi per il mondo, a passeggiare lento per i boulevard della grande città in tortousa flanerie, avvolto in un malinconico anonimato. Poche ore prima dell'occupazione nazista della capitale del XIX secolo, il "vecchio Walter" era ancora curvo sui libri e inforcava i suoi occhialini da miope ripiegato su uno scranno della Biblioteque Nationale de France.
Frenato da una proverbiale incapacità a prendere decisioni di ordine materiale, dall'ancestrale sentimento di appartenere alla categoria degli "sconfitti" segnati dalla "sfortuna" (raffigurata, fin dai tempi delle reverie infantili, in una sorta di alter ego che lui chiamava il "gobbetto") si deciderà, solo dopo reiterate sollecitazioni e snervanti peripezie, a ricercare un visto che dovrebbe condurlo fino a New York, via Lisbona. Il suo status è quello dell'apolide. Privato della nazionalità tedesca, ma considerato comunque un "sospetto" dopo la dichiarazione di guerra alla Francia, Benjamin passerà tre mesi in un campo di detenzione nei pressi di Nevers. Riuscirà ad uscirne per finire a Marsiglia e poi, via treno, a Banyuls. Il Sud della Francia è infestato dai miliziani del regime collaborazionista di Vichy, da agenti della Gestapo, da informatori di ogni sorta. Bisogna tagliare la corda e farlo al più presto. La via obbligata passa per i Pirenei.
Un viaggio massacrante che sarà raccontato anni dopo da Luisa Fittko, anche lei appartenente alla cerchia dell'intellighenzia ebraico-tedesca riparata in Francia e riciclatasi in guida per i fuggiaschi sul confine pirenaico: "Quell'uomo -ricorderà la Fitkko - sembrava molto più anziano dei suoi 46 anni, e continuava a rivolgersi a me chiamandomi gnädige Frau, cortese Signora. Un'espressione desueta che, in mezzo a quelle montagne spelacchiate, con magari uno scheletro di capra al nostro fianco, produceva un effetto assurdo (...) Era qualcuno di molto particolare (...) e non riusciva ad agire istintivamente Non ce la faceva proprio. Non credo che riuscisse a prendere in mano una tazza di the bollente, se prima non aveva elaborato una teoria. Insomma, in quei tempi bisognava trovare un mezzo qualunque per tirarsi fuori dai guai. Adattarsi rapidamente a ciò che accadeva non era però il suo forte".
In paese ad aspettare Benjamin e i suoi compagni di fuga c'è la Guardia Civil. Niente visto di entrata. La mattina seguente, sono gli ordini, i fuggitivi dovranno venire riportati indietro. Benjamin con sè ha una consistente dose di morfina. Ed è pure cardiopatico: tant'è che, lungo il cammino, si era dovuto fermare più volte, sudato e senza fiato. Per ricostruire quanto successo, il primo indizio è una fattura emessa il primo di ottobre del 1940 dai gestori dell'"Hotel de Francia" e riguardante "el defunto Benjamin Walter". E' estremamente dettagliata ed ora la copia è esposta nel Centro Civico di Portbou in attesa che apra il centro culturale che, nelle intenzioni dei promotori della Fondazione Walter Benjamin, dovrà divenire un luogo di incontro (un ostello culturale) aperto ai ricercatori di ogni paese interessati ad approfondire le tante piste aperte da un filosofo che ormai è considerato, unanimente, tra i più importanti pensatori del secolo scorso.
Cosa c'è scritto in questo foglio che ha incuriosito e fatto scervellare le sempre più nutrite legioni di esegeti del filosofo e gli studiosi travestiti da detective che, negli ultimi anni, si recano a Portbou in pellegrinaggio ogni fine settembre?
Diamo un occhiata alla ricevuta: "26 settembre cena e pernottamento: totale 12 pesetas". Più 5 pesetas per il consumo di altrettante gazzose al limone, 8,80 pesetas corrispondenti a quattro telefonate (su chi rispose dall'altra parte della cornetta non ci sono certezze, ma Benjamin avrebbe tentato senza successo di contattare l'ufficio consolare Usa a Barcellona senza ottenere, però, nessun aiuto). E ancora 13 pesetas di prodotti farmaceutici consegnati all'hospes estranjero e, infine, altre quattro notti, quelle dal 26 al 30 messe in conto assieme ai cambi di biancheria e alle spese di disinfestazione, pulizia e vestizione del defunto.
Ecco la prima stranezza: Benjamin fu trovato senza vita, nella spoglia stanzetta del "Francia", la mattina del 27. La diagnosi del medico è arresto cardiaco: non c'è nessun riferimento alla morfina che invece Benjamin, che già aveva tentato una volta il suicidio, avrebbe assunto in dose letale. Sulla nota spese, poi, risultano contabilizzate altre tre notti. Forse solo un cinico modo di spillare soldi a gente in difficoltà (il gruppo che era in fuga con Benjamin). Ma tant'è: anche il cognome sul certificato di morte è errato: Walter e non Benjamin. Per questo la salma dell'ebreo errante verrà seppellita nel settore cattolico del cimitero sul mare che Hannah Arendt, alcuni anni dopo, definirà "uno dei posti più belli del mondo che mi è stato dato vedere". Dopo 5 anni, i suoi resti (mai più ritrovati) spariranno, mentre un cenotafio farà la sua comparsa poco più in là per soddisfare gli ancora sporadici visitatori alla ricerca di tracce del filosofo.
"Quando eravamo bambini, ricordo che di quella morte parlavano tutti in paese. Se ne discuteva sottovoce. La fine di quell'uomo sconosciuto era avvolta da un alone di leggenda. Noi giocavamo sotto l'hotel, oggi chiuso, dove el senor Benjamin aveva passato la sua ultima notte e ci facevamo paura a vicenda..." racconda Isidro Gubert, albergatore con il vezzo della recitazione che, l'inverno scorso, ha vestito i panni del pensatore ebreo (cui assomiglia come una goccia d'acqua) per le riprese di un film francese. E la sua valigia nera, che fine ha fatto? "La Guardia Civili inviò tutto a Figueres, ma nessuno poi l'ha più ritrovata. L'avranno buttata via con i documenti che conteneva e che saranno marciti per anni in cantina". Pare che Benjamin tenesse più al manoscritto, conservato in quella valigia, che alla sua vita. "Durante il viaggio non volle mai separarsi da essa" si legge nelle memorie scritte anni dopo dalla Fittko e tradotte qualche anno fà in italiano da Manifestolibri.
All'interno c'erano pochi effetti personali e, pare, una copia dei Passages che Benjamin voleva portare con sé negli Stati Uniti dove lo aspettavano Horkheimer e Adorno. Il lavoro di una vita, la cartografia, frammentata e asistematica, della metropoli simbolo della Modernità. Un testo che, in controluce, contiene tracce e indizi dell'incendio imminente. Il ricorso alla metafora delle fiamme non è casuale. Segnalatore di incendi è infatti il titolo di un testo anticipatore scritto anni prima da Benjamin. L'incendio si è propagato ed ha avvolto il suo segnalatore quando ormai la salvezza pareva a portata di mano. Il "gobbetto" dei sogni infantili ha riacchiappato il suo doppio a un passo dal confine.
Portbou oggi è cambiata. A settembre sulla spiaggia ci sono gli ombrelloni e, nella piccola rada, barche a vela francesi e catalane. Ma il cimitero a picco sul mare è ancora lì, con accanto un bellissimo e discreto memoriale che ti proietta giù, gradino dopo gradino, nel blu cobalto del Mediterraneo.




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Domenica 26 settembre 2010
Di Stefano Carbone

Vissuto durante gli anni più cupi della storia contemporanea europea, Walter Benjamin; filosofo tedesco, si avvicinò negli anni 30' alla "Scuola di Francoforte" (composta da sociologi e filosofi di stampo neomarxista) dalla quale, però rimase sempre distante sia per adesione che per pensiero filosofico. Pietra angolare per chiunque studi la sociologia, egli riuscì attraverso i suoi scritti ad esplicare appieno le dinamiche di alienazione dell'uomo moderno dell'800' ; attraverso l'analisi della poesia Baudeleriana e delle dinamiche dei romanzi dell'epoca. Ma i suoi meriti certo non si fermano solo a questo. Difficile sarebbe elencarli tutti. Attraverso documenti e testimonianze, Kornad Sheurmann ricostruisce, attraverso un'indagine, gli ultimi giorni dello studioso tedesco; che fu costretto, insieme a molti altri intellettuali ebrei, a fuggire da una Germania ubriaca di odio e violenza iniqua, prima verso Parigi; per poi cominciare un viaggio che avrebbe dovuto condurlo in America. Purtroppo alcuni problemi legati ai documenti, costrinsero Benjamin e coloro che insieme a lui volevano fuggire da un'Europa che li rifiutava, a passare una notte presso il paese di Portbou, in Spagna; ove si suicidò. La morte, avvenuta in circostanze sospette, è divenuta nel corso del tempo un richiamo per gli studiosi di tutto il mondo; difatti il corpo del filosofo non fu mai ritrovato, così come manoscritto al quale sembrava tenere più che alla sua stessa vita; inoltre fu sepolto nel cimitero cristiano del paese per un malinteso (si pensò che il suo cognome fosse Walter). Questo insieme alle testimonianze di amici che con lui viaggiarono (Luisa Fittko) rende il libro, pubblicato da 'Ombre corte', un interessante spunto per analizzare una delle figure più straordinarie del secolo scorso ancora oggi oggetto di culto per i suoi scritti rivelatori di un'epoca.




http://opinionsmoderate.altervista.org/terrabenjamin.html

Ricorre nel 2010 il settantesimo anno dalla tragica e prematura scomparsa del grande filosofo marxista ed ebreo del Novecento Walter Benjamin. Nato a Berlino nel 1892, morì nel paesino di pescatori catalano Port Bou dove, dopo un terribile e avventuroso passaggio dalla Francia, aveva cercato di ottenere, avendo alle spalle l'invasione nazista del suolo francese e davanti l'unica speranza di recarsi negli Stati Uniti attraverso una paese neutrale come la Spagna, la possibilità di sostare per ripartire da lì verso la salvezza.
Carlo Saletti nel suo bel testo, costruito come un vero e proprio dossier, lucido ed appassionato ad un tempo, riesce a trasmettere al lettore una forte tensione emotiva ed intellettuale: proprio grazie a queste componenti chi legge si sente trascinato dentro la Storia (con la S maiuscola ) in cui sta a sua volta la vicenda di Benjamin, che emerge da avvenimenti ricostruiti minuziosamente e tuttavia senza alcuna pedanteria. Affiorano così da quel fondo ormai lontano memorie, ma anche ellissi, afasie o amnesie vere e proprie, vengono messe in evidenza le contraddizioni fra ricordi e fatti documentari o fra le stesse memorie dei sopravvissuti. Da tale groviglio, ben dipanato e narrato dall'autore, nasce uno spaccato che può essere sintetizzato nel pensiero espresso da Saletti a pagina 14 "L'esilio politico e di classe, l'esilio civile, l'esilio 'razziale', l'esilio intellettuale si sono succeduti nel corso del secolo come altrettanti varianti di un processo che portò alla negazione del diritto di cittadinanza per quote di popolazione considerate in eccesso. A ciò, in definitiva, riconducono le ore passate da Benjamin a Port Bou". Il libro risulta composto da una introduzione di Saletti in cui viene ricostruita la vicenda di Benjamin con particolare riferimento agli ultimi anni della sua vita, trascorsi in Francia dopo che nel 1933 il filosofo era fuggito dalla Germania ormai finita sotto il potere di Hitler. Le tragiche vicende del Novecento e l'invasione nazista della Francia avrebbero poi visto Benjamin, apolide perché privato dai tedeschi della cittadinanza, dapprima prigioniero dei francesi in quanto allo scoppio della II Guerra mondiale tutti i tedeschi di origine vennero giudicati comunque sospetti, quindi, liberato, arrivare dopo varie peripezie a Marsiglia dove riuscì ad ottenere grazie ad Adorno e all'Istituto di ricerche sociali, trasferiti a New York, un visto per l'America. Ma le feroci causalità e le disgraziate casualità dell'epoca ( non è un giro di parole perché come risulta chiaramente dal testo fu proprio così), dato che non si poteva passare dalla Francia alla Spagna liberamente per arrivare al Portogallo e imbarcarsi verso la salvezza, lo portarono, insieme ad un gruppetto di altri esuli, appunto a Port Bou: qui, respinto dagli spagnoli, ottenne di passare una notte in albergo prima di esser ricacciato in Francia, che per lui era cadere in mano della Gestapo, dei nazisti, insomma la morte certa. E fu così che Benjamin assunse molte pastiglie, probabilmente di morfina, che teneva preparate da tempo per possibili tragiche circostanze, e si suicidò.
Saletti ricostruisce minuziosamente proprio le ultime ore di Benjamin, anche perché di esse esistono memorie in parte non collimanti e comunque lasciano perplessi alcune circostanze della sepoltura del filosofo, ebreo non osservante e verosimilmente suicida, nella parte consacrata e cattolica del cimitero di Port Bou. La ricostruzione è resa possibile dall'inquadramento complessivo degli avvenimenti cui nella parte iniziale del libro procede Saletti e da una serie di documenti che sempre in essa vengono riportati in modo fedele dall'originale. Si tratta dell'intervista svolta da Richard Heinemann a Lisa Fittko, una donna a sua volta esule che, su richiesta di Benjamin, lo condusse dalla frontiera francese in Spagna, della ricerca "La notte di Port Bou" di Ingrid Scheurmann in cui vengono ripercorsi con riscontri documentari i fatti e come essi sono stati tramandati, ed infine la "Memoria di un passaggio", cioè l'intervista di Ingrid e Konrad Scheurmann a Dani Caravan, grande artista israeliano che ha costruito a Port Bou un commovente "Memoriale" a ricordo di Benjamin e di tutti quelli che sono stati, sono e saranno esuli. Ed è' proprio in un segmento assai significativo del "Memoriale" che è stata incisa questa frase del filosofo tedesco " E' più difficile onorare la memoria dei senza nome che non quella di chi è conosciuto. Alla memoria dei senza nome è consacrata la costruzione storica" La seconda parte del libro consiste in una settantina di pagine intitolate Costellazione-Guida alle persone, ai luoghi e circostanze in cui Saletti ci dà una breve biografia ragionata di Benjamin (sia come autore che come protagonista a sua volta di racconti, film, letteratura su di lui post mortem ) e dei personaggi più importanti che, nominati nel libro, si sono trovati ad interagire con il filosofo tedesco realmente o a distanza, anche in epoca successiva alla sua morte, Vengono così messi in evidenza, a conclusione di ogni biografia, il documento, la lettera, la citazione, il ricordo, che legano tali personaggi a Benjamin così come, per motivi di documentazione e per coinvolgere il lettore facendogli capire gli spazi oltre che i tempi, vengono descritti i luoghi fondamentali della vicenda. Seguendo questo filo Saletti ci parla di Adorno, Arendt, Fittko, Koestler, Horkheimer, Scholem, del gruppo di donne esuli che passò con Benjamin la frontiera franco-spagnola, di Caravan, ma anche di luoghi come Marsiglia, Port Bou,Banyuls-sur-Mer e del Passaggio della frontiera pirenaica.
A chiusura è collocata un'agevole cronologia in cui sono infine riportati gli avvenimenti cruciali che riguardano la vita dell'ultimo anno di Benjamin ma anche quanto successivamente è stato fatto per tramandarne la memoria attraverso opere letterarie, filmiche, teatrali, artistiche (ad esempio l'inaugurazione del "Memoriale" di Dani Caravan), apposizioni di lapidi, intitolazione di piazze e luoghi, centri di cultura e ricerca, fondazioni bibliografiche.




http://www.retididedalus.it/Archivi/2010/dicembre/FILOSOFIE_PRESENTE/2_benjamin.htm



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