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Quando il cinema si fa politica
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Saggio sull'Opera d'arte di Walter Benjamin
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Alias - il manifesto, 12 giugno 2010
Quando il cinema si fa politica
di Roberto Ciccarelli
Quando nel 1936 concluse la prima versione della sua Opera d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica, Walter Benjamin scrisse che il "naturale destinatario" di questo testo fondatore di una visione politica del cinema era la "Russia Sovietica". Iniziavano i primi processi stalir?iani e Benjamin registrava "il tentativo di arrestare nellavita dello Stato la dinamica del processo rivoluzionario - si è entrati, lo si voglia o no, nella restaurazione". A Mosca dieci anni prima, ricorda Fabrizio Denur?zio in Quando a cinema si fa politica. Saggi su L'Opera d'arte di Benjamin (ombre corte, pp. 105, euro 10) il filosofo e giornalista tedesco aveva potuto constatare la presenza del cinema nella vita quotidiana dei suoi abitanti. E il cinema faceva delle masse il proprio soggetto.
Fu quello il momento del più grande cinema di agitazione che mai sia stato prodotto. Pudvokin ne La madre s'interessò al progredire della coscienza e ai suoi salti qualitativi politici. Vertov inserì la vita fino ad allora pre-politica e preistorica nel ritmo del montaggio del suo Uomo con la macchina da presa. Eisenstein introdusse nel cinema tutte le leggi della dialettica dando così a quest'ultima un senso propriamente cinematografico. Al montaggio parallelo di Griffith, Einsenstein sostituì un montaggio di opposizioni, al montaggio eonvergente o concorrente, sostituisce un montaggio di salti qualitativi (montaggio balzante). La sua era la nuova concezione del primo piamo, del montaggio accelerato, montaggio verticale, montaggio di attrazioni, montaggio intellettuale o di coscienza.
Il regista di Ottobre e Poternkin poteva pensarsi come caposcuola del cinema russo perché era penetrato dalla terza legge della dialettica, l'umo che diventa due e ridà una nuova unità, riunendo il tutto organico e l'intervallo patetico. Erano tre i modi di concepire un montaggio dialettico, e nessuno di essi doveva piacere alla critica stalinista. Ma quel che era comune a questi modi era l'idea che il materialismo fosse anzitutto storico e che la natura fosse dialettica solo perché sempre integrata a una totalità umana. E così Benjamin, che a Eisenstein dedicò nel 1935 un importante saggio, introdusse il montaggio cinematografico nella filosofia.
Radicale distanziamento dalla dialettica hegeliana esposta nella Fenomenologia dello Spirito. Hegel conosce il tempo - l'oggetto fondamentale della dialettica cinematografica - solo nella forma della psicologia dell'Io, non come una vera dialettica delle differenze interne del tempo. Pudvokin prima, e più organicamente Eisenstein poi, strappano il tempo a unavalutazione solamente empirica o estetica e ne fanno unconcetto essenzialmente dialeffico nel quale le differenti sequenze montate in un racconto ricreano la realtà a un altro livelio. "Fra le fratture delle formazioni artistiche - scrive Benjamin - il film è una delie più nette. Sorge con esso una nuova regione della coscienza. Esso è l'unico prisma nel quaie si dispiegano all'uomo od erno l'ambiente immediato, gli spazi nei quali vive, attende alie sue faccende, si diverte". Non già, e non più, rispecchiamento d un protagonismo delie masse, ma creazione d uma regione storica virtuale che queste masse possono raggiungere a condizione di costruire la propria storia in maniera dialettica.
L'arte cinematografica è dunque creazione d concetti, attività pofitica che trasforma la fiIosofia ideafistica in creazione di possibilità percettive e teoriche al d là delI'individuo. In questo risiede la pofiticità del cinema che la censura stalinista aveva colpito molto prima del 1936. Eisenstein impiegò quasi d eci anni per tornare a girare in Unione Sovietica dopo il suo A1exander Nieusky. Fatto salvo il suo miracoioso, ed incompleto Que viva Mexico! - pura appficazione della sua fiiosofia del montaggio - il suo cinema registrò il faUimento delia rivoluzione mettendo in scena ii dittico Ivan il terribile e La congiura dei Boiardi, la traged a del popufismo totalitario in cui è ii dittatore che crea ii popolo e lo mette in scena nelio spazio mentale del potere, non in quello storico in cui un popolo si costituisce e mette m scena una rivoluzione.
Il cinema è pofitico quando spalanMla possibilità reale di una trasformazione nello spazio delia coscienza, ind ca che ciò che non appare ora nella reaità è visibile grazie a un montaggio che attualizza una potenzialità virtuale. Le sorti convergenti delle riflessioni d Eisenstein e d Benjamin davanti aila sconfitta della rivoluzione, d cui lo stesso fiiosofo tedesco aveva fatto esperienza nel 1923 a Berlino, si spiegano con una presa d'atto: il popolo manca, deve costruirsi aitrove. Non esiste più coscienza, evoluzione e poi rivoluzione finaie come vorrebbe lo storicismo o ii naturalismo cinematografico. Lo schema del capovolgimento, che la scuola russa ha perseguito con entusiasmo, è ormai impossibile. Non ci sarà conquista del potere da parte del proletariato o di un popolo unito o unificato in un unico soggetto organico.
Ai tempi e ai motdi di questa presa di coscienza d Benjamin Denunzio dedica un approfondimento nel suo libro, non trascurando come essa proceda msieme alia stesura del progetto dei Passagen-Werk che ha per titolo Parigi, la capitaie del XIX secolo, opera colossaie in cui ii montaggio diventa ii metodo per pensare la storia e non solo per costruire immagini ideali secondo un metodo micrologico e monadologico. Ma quella sconfitta agli occhi d Benjamin apre a un'altra politica che il cinema guevarista di Glauber Rocha, ii nasserismo di Chanine e il cinema nero americano avrebbero riscoperto negfi anni Sessanta. Il cinema pofitico moderno si fonda suila frammentazione d ogni unità tiranmca che, in nome della rivoluzione, si ritorce contro ii popolo. Ii popolo non esiste che allo stato di minoranza, per questo è assente. Non è più in questione la costruzione dell'immagine del Proletario, dell'Uomo di Ferro o del Negro. Il popolo va inventato e deve farlo ii popolo stesso. Tutta la memoria dell'oppressione va spezzata e ricostruita secondo linee e tipi che annunciano ii futuro e lo spalancano nel cuore del presente.
Il cinema svolge una funzione così mobilitante. L'interesse di Benjamin per Chaplin si spiega anche per la sua capacità di coniugare il riso con il pensiero, il divertimento dell'alienazione quotidiana con la prefigurazione di una politica diversa. Una trasformazione che viene messa in scena nel corso di un film e anticipa quella che può essere nella storia. E' questo il modo in cui, dialetticamente, una totalità diventa concreta, un insieme si ripruduce nelle sue parti in maniera immanente. E' questo il modo in cui la storia politica non cessa di riprodursi e di crescere. Le cose affondano veramente nel tempo e diventano immense, vi occupano un posto infinitamente più grande di quello che le parti hanno nell'insieme o che l'insieme ha in se stesso. La rivoluzione è ogni giorno, sta nel tempo del racconto. Il racconto di una rivoluzione è sempre possibile.
Il Mattino di Napoli - 8- giugno 2010
di Giovanni Fiorentino
Destino singolare quello di un testo come L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilitàtecnica. Tanto noto quanto poco conosciuto nelle sue vicende editoriali: quattro stesure concepite da Benjamin tra il1935 e il 1939, un percorso segnato da tagli e censure operate sul testo a insaputa dell'autore, nel quale siinscrivono i rapporti conflittuali con Max Horkheimer, un'elaborazione complessa che si sviluppa tra l'esperienza inRussia, e il movimento tra Francoforte e Parigi. Un testo del quale a turno in Italia sono state offerte letturefilosofiche, estetiche e sociologiche. Ora un libro specialistico, raffinato e incisivo, ne offre una lettura in chiavepolitica. Fabrizio Denunzio, sociologo dell'università di Salerno, studioso di teoria del cinema e già curatore di Illinguaggio del dr. House (Liguori), manda in libreria Quando il cinema si fa politica. Saggi su L'opera d'arte diWalter Benjamin per Ombre corte, del quale discuteranno questo pomeriggio alle 18, nella libreria Loffredo, GinoFrezza, Vittorio Dini e Gabriele Frasca. Sette saggi brevi e puntuali, autonomi l'uno dall'altro, per analizzarecircolarmente il lavoro di Benjamin e lasciarne emergere - nella lettura di Denunzio - tra passato, presente e futuro,uno strumento per agire nel mondo. Al centro il cinema con le sue straordinarie risorse concettuali, il mediumnuovo, da ragionare oggi anche in una prospettiva altra e digitale, accostato ad alcuni concetti chiave delmarxismo. Innanzitutto le masse in quanto spettatori, che decretano la fine del valore tradizionale dell'opera d'arte, ilsuo essere unica e irripetibile, e si spostano di fronte alle immagini di Chaplin e l'universo di Disney, costituendosi inquanto soggetto culturale e quindi politico. E poi il montaggio e la dialettica, la comparazione tra il cinema e le altreforme artistiche, il teatro, la pittura cubista, l'avanguardia dadaista, o le forme di conoscenza ad essocontemporanee, per tutte la psicoanalisi.
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