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Antonello Petrillo (a cura di)
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Biopolitica di un rifiuto
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Le rivolte anti-discarica a Napoli e in Campania
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La repubblica - 28 ottobre 2009
QUELLE STORIE DA UN SUD ESTREMO
di Marino Niola
Discariche abusive, braccianti clandestini, ragazzi perduti, abusi edilizi, disoccupazione nera,
traffici criminali. La Campania di Gomorra sta diventando il paradigma di un nuovo modo di
raccontare il Sud. Fatto di scritture ad altezza d' uomo, sprofondate nel presente. Quello che sta
emergendo dalla letteratura, dal cinema, dai media è un minimo comune denominatore narrativo
ad alzo zero, in presa diretta sulle persone e sui luoghi che fa affiorare qualcosa che finora non si
vedeva. O meglio si vedeva, ma nessuno guardava. Non più il registro arcaico del Mezzogiorno
contadino. Né il colore picaresco di Napoli e Palermo. E neanche l' altezza retorica e utopica della
denuncia meridionalista. Adesso il tono è metropolitano tosto e total black. Anomia, anarchia,
periferia, aritmia. E il Sud diventa eterotopia, per dirla con Michel Foucault, fatta di terre di
nessuno ma preda di tutti. Dove i significati, i valori e le mappe che danno forma civile alla vita
delle collettività diventano tante parole senza nesso. Il risultato è una schizofrenia della terra e
degli uomini. Campi ben coltivati e filari secolari confinano con rovine postindustriali. E aziende
floride, come quelle tessili e conserviere, galleggiano su un mare di degrado, precarietà e illegalità.
Questo modo di interrogare il margine alla ricerca di nuove risposte sul presente e di nuove
indicazioni sul futuro del Sud caratterizza due libri appena usciti. Il primo, intitolato Biopolitica di un
rifiuto. Le rivolte anti-discarica a Napoli e in Campania (Ombrecorte, pagg. 254, euro 22), nasce da
un' indagine dell' unità di ricerca sulle Topografie sociali dell' università napoletana Suor Orsola
Benincasa, capitanata dal sociologo Antonello Petrillo. Il libro riporta tutto quello che i media non
hanno raccontato nei mesi dell' emergenza spazzatura e cioè cosa accade quando "la gestione
spaziale dei rifiuti incontra la gestione speciale delle popolazioni". Una partita biopolitica allo stato
puro dove ad essere in gioco sono la vita e la salute. L' altro è Terre in disordine. Racconti e
immagini della Campania di oggi (a cura di Maurizio Braucci e Stefano Laffi, minimumfax, pagg.
317, euro 16,50). Commissionato dalla Fondazione Campania dei Festival in collaborazione con il
Teatro Stabile di Napoli. In entrambi i casi l' intento degli autori è cercare parole che siano all'
altezza di un margine sociale che è anche margine linguistico, perché mostra il limite storico delle
teorie e delle politiche sul Mezzogiorno, e sul suo mancato sviluppo. Niente a che vedere con la
letteratura meridionalista, che riprendeva i materiali della storia per costruire un modello
genealogico di spiegazione della realtà meridionale. E insieme per proporre le sue terapie, spesso
calate dall' alto e fallite con l' avvento del mercato globale e il tramonto delle magnifiche sorti e
progressive. Questi nuovi sguardi invece sono ipertestuali, sincronici, ventre a terra. Insistono con
acribia sul terreno perché il loro oggetto è lo spazio e non il tempo. Raccontano odissee senza
lieto fine, navigazioni a vista in un cosmo fuori controllo, tragedie senza catarsi. E così si
cominciano a trovare i nomi per le forme inedite che nascono caoticamente sotto i nostri occhi.
Dando significati nuovi a quell' alterità che suggerì a Pasolini l' immagine di un Meridione che
piove sulle anime come scheggia di una storia non più nostra. Facendo parlare in prima persona
quel popolo dell' hinterland che ancora non è riuscito a cambiare la propria vita, ma almeno ha
cominciato a trovare il coraggio e le parole per raccontarla.
GLI ALTRI - Cultura - 13.11.2009
Biopolitica di un rifiuto
di Anna Simone
Andare ai resti, ascoltare la parola della miseria del mondo, rovesciare tutti i paradigmi che in questi
anni hanno fatto del meridione o un elemento di estetizzazione della politica o un processo di
vittimizzazione coatta delle "plebi", decostruzione di tutti gli ordini del discorso del potere che hanno
reso e rendono qualsiasi forma di presa di parola diretta all’interno delle cosiddette "otte territoriali"
una mera boutade anti-moderna, dire la verità. Sono solo alcune delle tante linee interpretative che
costituiscono l’intreccio formidabile costruito dall’Urit (Unità di ricerca sulle topografie sociali)
dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli in un recentissimo libro che ha come obiettivo, peraltro
assai riuscito, quello di ricostruire il contesto e le rivolte anti-discarica a Napoli e in Campania
(Biopolitica di un rifiuto, a cura di Antonello Petrillo, pp. 253, Ombre Corte, euro 22, con
un’introduzione di Lucio D’Alessandro ed una postfazione di Salvatore Palidda). La ricerca, guidata da
Petrillo e uscita a due anni dalle lotte che hanno letteralmente incendiato la Campania, appare fin dalle
prime pagine come un lavoro poco italiano, seppure assai incistato all’interno dello specifico territoriale
dell’argomento che affronta. Poco italiano, in questo caso, vuol dire fornire di un surplus di
significazione sociologica il lavoro che è stato dato alle stampe per una ragione molto semplice: raro,
anzi rarissimo, trovare nel panorama accademico delle scienze sociali in Italia lavori in grado di poter
reggere il paragone con le grandi ricerche sociali francesi a la Bourdieu, in primo luogo, o prossime alla
tradizione di Said in secondo luogo (nel caso in cui si volesse stratificare storicamente anche la portata
di alcuni fenomeni sociali). E’ rarissimo, insomma, trovare lavori sociologici in grado di scardinare
quegli stessi ordini discorsivi che fanno delle scienze sociali solo un orpello atto a significare il potere
anziché tentare la carta, assai più rischiosa, del “dare la parola” a chi quello stesso potere lo subisce
mostrandocelo nudo e crudo. Questo libro lo fa, dalla prima all’ultima pagina, fornendoci alla fine una
chiave di lettura delle lotte di Pianura, Chiaiano, Napoli-Gianturco, Marigliano, Sant’Arcangelo
Trimonte, Savignano Irpino e la stessa Napoli del tutto diversa rispetto alle cronache, pregne di squallidi
stereotipi, donateci dai mass-media in quei terribili, ma anche interessantissimi, mesi di rivolta. E così
quelle donne e quegli uomini che per mesi hanno bloccato eventuali siti ove collocare le discariche
piene di rifiuti tossici, quelle donne e quegli uomini che hanno denunciato a tutti noi l’alto tasso di
mortalità per cancro nelle loro zone, quelle donne e quegli uomini pestati dai manganelli della polizia,
mentre davano fuoco ai cassonetti appaiono, in questa trama, le prime voci narranti di una catastrofe
politica, prima ancora che sociale. Sottolineamo questo aspetto proprio perché - come scrive a giusto titolo Petrillo nel libro - loro, i ribelli contro le discariche, erano lì innanzitutto a parlarci del fallimento
della politica istituzionale, dell’impossibilità stessa di potersi fidare del loro operato che, almeno sino a
quel momento, aveva prodotto solo morte e disperazione. Il processo di soggettivazione che in quei
mesi invase chiunque, dalle massaie alle pensionate (ricordiamo l’enorme presenza delle donne nelle
lotte), va pertanto letto all’interno di un movimento che delegittimava la politica "politichese" ma, al
contempo, anche quella fatta dai "professionisti dei movimenti", per rimettere al centro le istanze reali
di intere fasce di popolazione trattate per anni come "scarti umani", quasi alla stessa stregua del grande
oggetto del contendere: la monnezza. D’altro canto queste lotte per la vita e non solo per la
sopravvivenza all’interno di un territorio martoriato dalle classi dirigenti succedutesi negli anni si
incuneano all’interno di ciò che definiamo come paradigma biopolitico. E’, infatti, assai curioso un
paese che vuole lasciar vivere Eluana e, contemporaneamente, lascia morire centinaia di migliaia di
persone riversandogli addosso rifiuti tossici per anni, peraltro continuando a punirli anche durante le
sommosse. Infatti la gestione dei rifiuti in quel periodo è stata anche una messa in campo della
"gestione" della popolazione che vi si opponeva. Come scrive Petrillo: «Nel caso campano, il punto di
crisi è precisamente quello nel quale la gestione spaziale dei rifiuti, fatalmente, incontra la gestione
speciale delle popolazioni, biopolitica pura». La resistenza della popolazione campana, infatti, è stata
gestita alla stessa stregua della monnezza, all’interno del cosiddetto "paradigma emergenziale". La
decretazione d’urgenza ha avuto come duplice obiettivo quello di dimostrare l’efficientismo del governo
e, contemporaneamente, l’annientamento delle lotte. Eppure, come si sottolinea nel libro, l’emergenza
rifiuti non poteva e non può essere considerata come "naturale", oltre che come una sorta di calamità
eccezionale e improvvisa oltre che imprevedibile. Non era e non è una questione di mero
ambientalismo, né tantomeno una "questione" legata alla necessità e all’urgenza, ma un processo di
stratificazione del potere che ha prodotto conseguenze nefaste per tutta la popolazione campana.
Un’altra tonalità che caratterizza questo lavoro è rintracciabile all’interno delle modalità attraverso cui
sono state trattate ed interpretate le lotte di quei mesi. Secondo Petrillo abbiamo assistito ad un vero e
proprio processo di "naturalizzazione" e di "etnicizzazione" delle popolazioni campane in rivolta. Un
modo come un altro per distogliere l’attenzione dai problemi reali e anche un modo per tirare fuori tutto
l’armamentario retorico e sprezzante nei confronti di uomini e donne che Foucault, invece, avrebbe a
giusto titolo inserito nella sua memorabile "Antologia degli uomini infami". L’infame è il ribelle, non
l’anti-moderno e gretto meridionale che non vuole discariche e termovalorizzatori dietro casa sua perché
è sostanzialmente privo di una "cultura civica". E di storie di uomini infami si nutre tutta la prima parte
del libro, una cartografia della rivolta che ha visto giovani ricercatori scendere in campo partecipando
attivamente anche alle lotte (Marco de Biase, Serafina Ruggiero, Luca Manunza, Gianpaolo di
Costanzo, Chiara Pucciarelli, Stefania Ferraro). Bella anche l’ultima parte del volume in cui è possibile
comprendere la tragicità insita nella città di Napoli (Ciro Tarantino e Antonio Chiocchi). Insomma
questo libro non è solo un altro tassello di significazione politica dei movimenti territoriali No Tav, No
dal Molin etc. E’ molto di più perché non solo scardina alcuni paradigmi della sociologia positivista, ma
tenta di restituirci affetti e passioni di un mondo "plebeo" straordinariamente intenso. E’ vero, Napoli e
la Campania sono nell’immaginario comune spazi di tragedia e di passione, ma per chi li conosce bene,
sono anche spazi e luoghi in cui tutte le forme dell’agire sociale afferiscono alla sfera dell’unicum. Uno
specifico che io paradossalmente definirei globale, anziché locale. Perché Napoli, a suo modo e
nonostante tutto è l’unico luogo al mondo presso cui fare esperienza del senso ultimo delle nostre stesse
esistenze. A Napoli, infatti, tutto muore e tutto rinasce. Sempre. Come avviene in qualsiasi biografia.
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