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D. Sacchetto M. Tomba (a cura di)
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La lunga accumulazione originaria
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Politica e lavoro nel mercato mondiale
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ALIAS - il manifesto - 6 gennaio 2009
Nell'epicentro della lotta di classe
di Andrea Fumagalli
Tutte le volte che il mondo attraversa una crisi sistemica di forte intensità non ascrivibile a disfunzioni congiunturali, viene riscoperto Karl Marx, uno che le crisi le analizzava bene. "La lunga accumulazione originaria" (Ombre Corte, 18 euro) curato da Massimiliano Tomba e Devi Sacchetto (entrambi docenti dell'Università di Padova) riparte proprio da una rilettura del pensiero di Marx e dal recupero di quelle categorie che molti autori marxisti ritengono imprescindibili per leggere l'odierna attualità economica. Nella prefazione dei due autori si legge infatti: "L'attenzione (...) è rivolta all'accumulazione originaria da intendersi non come fase storica di transizione, quanto piuttosto come condizione costitutiva dei rapporti sociali che quotidianamente si esprimono. Abbiamo quindi parlato di accumulazione originaria perché se, da un lato, la cosiddetta accumulazione originaria non è confinabile alla solo protostoria del modo di produzione capitalistico, dall'altro occorre mettere in evidenza i caratteri di novità dell'odierno ciclo di accumulazione".
L'intento del volume è di rimettere al centro l'interpretazione secondo cui il sistema capitalistico si basa su un processo di espropriazione violenta (una sorta di continua accumulazione originaria, appunto) insito nel rapporto di sfruttamento tra capitale e lavoro. L'essenza dell'espropriazione non si modifica e non è quindi soggetta a fasi di "transizione", anche se cambia forma in seguito all'evoluzione sociale, politica e tecnologica.
Che il sistema capitalistico si fondi sulla rigenerazione continua del processo di espropriazione è opinione condivisa e radicata nei vari marxismi. Essa, ad esempio, è ben presente nella voce sull'accumulazione originaria scritta da Sandro Mezzadra per il testo "Lessico marxiano". Le divergenze interpretative nascono, semmai, sull'analisi della dinamica di tale espropriazione. Uno dei punti nodali riguarda il passaggio dalla "sussunzione formale" alla "sussunzione reale" del lavoro al capitale, che ha inizio con l'accumulazione originaria - la quale ci conduce nel capitalismo vero e proprio. Come scrive lo stesso Marx la fase dell'accumulazione originaria è caratterizzata dall'estrazione di "plusvalore assoluto" (ovvero di un plusvalore ottenuto con la continua estensione della giornata lavorativa). E' la fase in cui "il modo di produzione capitalistico non ha ancora carattere specificatamente capitalistico": la prestazione lavorativa, pur soggetta a dominio e sfruttamento, non è stata ancora direttamente organizzata dal capitale attraverso la sua trasformazione in lavoro salariato. Il passaggio alla "sussunzione" reale, e quindi alla prevalente estrazione di "plusvalore relativo" - tramite l'ammodernamento delle tecniche (variazione della composizione organica del capitale) e con il crescere dell'intensità di sfruttamento (saggio di sfruttamento) - rappresenta il moderno sistema di produzione e di organizzazione capitalistica. L'analisi del rapporto tra sussunzione formale e sussunzione reale viene oggi rivisitato alla luce dei processi di globalizzazione che hanno interessato l'economia mondiale negli ultimi tre decenni. I contributi del testo curato da Sacchetto e Tomba "si interrogano (...)sul significato di mercato mondiale e sulle categorie necessarie a comprenderne i mutamenti" (p. 9). Essi riaffermano la centralità del rapporto capitale-lavoro come luogo dove cogliere che le condizioni di lavoro presentano le caratteristiche dell'estrazione di plusvalore assoluto. Secondo gli autori, il Marx de Il Capitale torna così ad essere lo strumento concettuale più adeguato alla comprensione del sistema capitalistico, mentre i Grundrisse svolgono un ruolo preparatorio alla stesura de Il Capitale, a dispetto di chi (come i neo-operaisti) ritiene i Grundrisse un'opera compiuta e autonoma e anche più idonea alla comprensione "marxiana" dell'oggi.
E' questo in ultima analisi lo scopo del volume. Soprattutto nel saggio di Bellofiore si dà una lettura dei Grundrisse a partire da quella de Il Capitale. L'intento - oltre alla critica delle analisi dell'operaismo teorico italiano di Tronti e Negri - è quello di evidenziare come non esistano due Marx (quello de Il Capitale e quello dei Grundrisse), ma una sola continuità teorica che parte sin dai Manoscritti Storico-filosofici del 1844 e che va a Il Capitale per poi tornare a ritroso ai Grundrisse. Viene così negata la distinzione tra un Marx più "teorico-analitico" teso a cogliere le tendenze principali dell'evoluzione delle forme capitalistiche di produzione (Grundrisse) e un Marx più "politico" teso ad analizzare la struttura del capitalismo così come si presentava ai suoi occhi con lo scopo di coglierne le contraddizioni interne e quindi operare sul piano dell'azione politica (Il Capitale).
Nel saggio di Caffentzis, la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, ad esempio, viene analizzata alla luce della dinamica della composizione organica del capitale, che si riduce nei settori non investiti in pieno dal progresso tecnologico o nelle aree di più recente industrializzazione - a minor contenuto tecnologico. Ciò non comporta il crollo del sistema capitalistico o il suo superamento grazie al poderoso sviluppo della scienza e del general intellect come profetizzato da Marx nei Grundrisse.
I contributi di Basso e Finelli pongono l'accento sulle peculiarità del modo di produzione capitalistica come sistema sociale nel quale l'individuo (la sua soggettività, diremmo noi) diventa soggetto che si definisce nel suo antagonismo al capitale. Finelli, inoltre, vede nel Marx dei Grundrisse il limite di una filosofia della storia che evidenzia fasi progressive come costituenti il percorso della storia. A simili conclusioni arrivano anche Bonefeld e Tomba. Il primo sostiene la tesi che il sistema capitalista può essere inteso come una perenne "accumulazione originaria". Di conseguenza, come sostiene anche Tomba nel suo saggio, non è possibile una concezione lineare e progressiva della storia, ma, piuttosto, una dialettica che ripropone fasi alterne che si rincorrono a seconda della combinazione di plusvalore assoluto e relativo.
De Angelis analizza la crisi dei subprime e la crisi economico-finanziaria globale come un meccanismo che tende a due obiettivi, sui quali concordiamo: da un lato, il controllo del lavoro vivo nelle sua più moderne forme, dall'altro, la necessità di imporre nuovi patti sociali in grado di delimitare il grado di conflittualità che la situazione di crisi rischia di far emergere. Il riferimento all'esperienza del New Deal è palese. Rimane aperta tuttavia la questione se oggi vi siano le condizioni per la definizione di un nuovo patto sociale adeguato ai nuovi processi di accumulazione. Ancora più concreto è il saggio di Sacchetto che analizza i processi di organizzazione e ristrutturazione della produzione nei Paesi dell'Est Europa. Forte di un'attività di ricerca sul campo che è unica nel suo genere, Sacchetto evidenzia come il tentativo di fare di alcuni paesi orientali una sorta di enclave produttiva sul modello delle zone di libera esportazione di tradizione cinese incontri non poche difficoltà nell'opposizione delle soggettività operaie che ivi emergono e si organizzano.
Il piano dell'organizzazione - o meglio dell'autorganizzazione - rappresenta il leit motiv degli ultimi due saggi del libro, quello di Goldner sulle lotte operaie in Corea del Sud e di Silver e Lu Zhang sulla dinamica produttiva della Cina. I due saggi sono accomunati dalla constatazione del fallimento del tentativo di politiche di dumping salariale a danno dei lavoratori di questi due Paesi. Se le lotte degli operai coreani sono sufficientemente note, il caso della Cina riveste particolare interesse, nel momento stesso in cui, secondo Silver e Lu Zhang, il grande paese asiatico sta diventando l'epicentro della nuova lotta di classe, "smentendo così le teorie dello scivolamento verso il fondo delle condizioni di lavoro a livello internazionale". Questa conclusione è particolarmente interessante. Essa ci dice che la storia solo apparentemente si ripete. Nella sostanza del conflitto sociale e delle soggettività, mai.
Il lavoro non è finito
di Daniele Balicco
È sempre più difficile trovare studiosi che si assumano la responsabilità di ricostruire i nessi reali fra i fenomeni che invadano la nostra vita quotidiana e le danno forma. Ed è sempre più difficile, allo stesso modo, trovare intellettuali politici veri, vale a dire persone capaci di mediare necessaria conoscenza specialistica e discorso comune condiviso. Di tracciare una mappa del mondo, ma dal punto di vista della possibilità della sua trasformazione. È stato fatto di tutto, in questi ultimi trent'anni, perché un profilo intellettuale all'altezza del presente non venisse insegnato alle nuove generazioni. Ed ha perfettamente ragione Sergio Bologna quando scrive su questo quotidiano che, quando va bene, i giovani politicizzati italiani leggono tutt'al più Internazionale: conquistati dall'esotico o dai problemi sociali delle grandi metropoli mondiali la maggior parte di loro è del tutto incapace anche solo di indicare quale sia il settore produttivo più importante della propria città. Questo però è un punto dirimente: è stata formata un'intera generazione incapace di riconoscere i passaggi, i nessi, le mediazioni che aggrovigliano il piccolo mondo quotidiano che la circonda e il mondo grande del mercato mondializzato in un unico meccanismo, sincronico, di sfruttamento e devastazione. Ma se serve a qualcosa la formazione intellettuale, serve proprio a vedere questo. Per fortuna, per quanto l'orizzonte possa apparire cupo per dismissione e irresponsabilità, come sempre esistono contro-tendenze. Lo dimostra la recente pubblicazione curata da Devi Sacchetto e Massimiliano Tomba per le edizioni Ombre Corte intitolata La lunga accumulazione originaria. Politica e lavoro nel mercato mondiale. Quello che, prima di ogni cosa, va messo ben in chiaro di questo prezioso libretto è proprio la fisionomia intellettuale proposta. Nell'introduzione al volume i curatori sono espliciti: non si dà sapere senza una rigorosa analisi critica delle premesse teoriche che si utilizzano, pena la condanna a forme di conoscenza approssimativa e rapsodica. E non si dà sapere senza uno studio storico ed empirico che verifichi la tenuta delle categorie su specifiche situazioni concrete. Studio teorico e analisi circostanziata vanno inoltre condotte "tenendo ben salda nella mano sinistra la lista delle questioni della nostra contemporaneità" (p.9). Il libro, che raccoglie i lavori di un precedente convegno tenutosi a Padova ad inizio dell'anno scorso, è un potente strumento di analisi del nostro presente politico e sociale: propone una critica rigorosa ed intensa di alcune categorie marxiane (su tutte: mercato mondiale, crisi e controtendenze, accumulazione per valorizzazione e per spossessamento) lette verificandone limiti e tenuta all'altezza delle trasformazioni del nostro presente: crisi dei subprime, riorganizzazione del mercato del lavoro nella nuova Unione Europea allargata, analisi delle straordinarie lotte operaie Sud-Coreane o della Cina, letta come nuovo epicentro mondiale del conflitto capitale/lavoro. I primi sei saggi, d'impostazione teorica, discutono alcune categorie marxiane a partire da quello straordinario laboratorio intellettuale che sono i Grundrisse. Questo insieme eterogeneo di appunti personali, scritto poco più di centocinquant'anni fa, fra il 1857 e il 1858, nel bel mezzo di un'altra devastante crisi economica, mette, per primo, all'ordine del giorno, il problema teorico del mercato mondiale; e della crisi capitalistica insieme alle sue conseguenze più imprevedibili - fra cui la ripresa dell'accumulazione su basti extra-economiche, vale a dire attraverso l'uso della pura e semplice violenza. L'interesse degli autori per queste pagine non è certo un interesse semplicemente storico o filologico: è un interesse politico. È l'urgenza del presente che costringe a verificare se la globalizzazione capitalistica e la sua crisi attuale possano trovare in alcune piste marxiane, depositate in quelle lontane pagine non destinate alla pubblicazione, delle chiavi di lettura plausibili. Si dirà: niente di nuovo. Proprio i Grundrisse, infatti, in Italia, sono stati, fra i testi marxiani, quelli più strumentalmente piegati ad un uso immediatamente politico: rappresentano infatti il testo sacro dell'operaismo italiano più noto. La differenza con questa tradizione di lettura è però fondamentale: ad un'impostazione tutta giocata, in un presunto conflitto fra Grundrisse e Capitale, a favore dei primi, la linea teorica difesa da questo volume si pone su un'ottica di continuità critica. Semmai lettura a ritroso, dei Grundrisse a partire dal Capitale, a partire cioè dal ripensamento profondo che Marx fece delle proprie categorie teoriche, e soprattutto economiche (ripensamento della legge del valore, del rapporto fra Capitale in astratto e concorrenza fra capitali, ridefinizione della teoria della caduta tendenziale del saggio del profitto), alla luce della ripresa dell'accumulazione dopo la crisi, su cui aveva puntato come crollo. Sono soprattutto Massimiliano Tomba e Riccardo Bellofiore i teorici che impostano e propongono questa nuova lettura dei Manoscritti del 57/58. Il secondo attraverso una meticolosa lettura delle trasformazioni che Marx impone ad alcune categorie fondamentali del suo pensiero. Per esempio, come il Moro passi da un abbozzo di teoria del denaro come simbolo nei Grundrisse - teoria che, per altro, può servire oggi a comprendere la natura dell'attuale globalizzazione finanziaria, essendo "la manipolazione simbolica della moneta parte essenziale delle nuove forme di politica economica" (p.37) - ad una compiuta teoria del denaro come merce nel Capitale. Forse, però, fra le molte piste che rendono utile questa lettura a ritroso, quella più interessante è quella che verifica la correzione che gli scritti più tardi imporranno all'ambiguità di una categoria centrale del sistema teorico marxiano: quella di lavoro. Nei Grundrisse, infatti, Marx spesso non distingue ancora fra lavoro vivo che è la prestazione lavorativa vera e propria e forza lavoro che invece è semplice lavoro potenziale come attività generica. Da questa oscillazione deriverebbe, secondo Bellofiore, il nocciolo centrale del fraintendimento operaista che "appiattisce il lavoro come 'attività' sul lavoro come 'capacità lavorativa' e che riconduce il 'lavoro vivo' alla mera soggettività dell'essere vivente" (p.28). L'obiettivo teorico di Massimiliano Tomba sta, invece, nello scardinare, una volta per tutte, quella rozza filosofia della storia stadiale che una parte dell'operaismo italiano ha contribuito a diffondere, anche attraverso una lettura ingenua ed unilaterale dei salti tecnologici. Contro quest'idea evoluzionistica di sviluppo, Tomba pensa il capitale come processo sincronico capace, per la sua natura universale, di organizzare forme anche diversissime di sfruttamento in un'unica e simultanea catena di valore. Bisogna essere chiari: se esiste un unico mercato mondiale esiste un'unica storia mondiale. Non ha senso, dunque, concepire lo sviluppo capitalistico come un'evoluzione per stadi differenziati, per di più circoscritti a singole aree geografiche. Non c'è evoluzione, per il capitale, fra schiavismo e post-fordismo: ma simultaneità di sfruttamento. Tutti i saggi teorici della prima parte del volume (Finelli, Basso, Caffentzis, Bonefeld) approfondiscono questa lettura sincronica del capitale: ricorderò solo il bellissimo saggio di Werner Bonefeld che attraverso una puntuale analisi linguistica chiarirà, una volta per tutte, il significato corretto di "accumulazione originaria": non qualcosa di primitivo e di antecedente, quanto primo manifestarsi di un meccanismo che si ripete in un processo di continua intensificazione di se stesso, della propria dinamica e dei propri presupposti (ed è questo il tema approfondito dal bel saggio di Roberto Finelli). È un movimento spiraliforme quello del capitale, non rettilineo. L'accumulazione originaria va semmai pensata come iniziale accumulazione per spossessamento ed espropriazione che il processo di valorizzazione conserva, trasformandolo in logica della separazione. E ripetendo questo giro ogni qualvolta sia necessario. Nella seconda parte del volume, si possono leggere quattro saggi di ricerca empirica (De Angelis, Sacchetto, Goldner, Silver-Zhang) che corroborano, con analisi circostanziate, la validità di questa lettura sincronica. L'attenzione di tutti i lavori è rivolta tanto alle insorgenze soggettive che si sono opposte, in questi ultimi decenni, alla devastazione dell'accumulazione, quanto alle strategie di sistema (disciplina, controllo, ri-organizzazione dello spazio e del tempo) messe in atto dal capitale come risposta. Massimo De Angelis mostra, per esempio, come l'attuale crisi dei subprime possa essere correttamente letta anche come nuovo giro di accumulazione per spossessamento, attraverso nuove recinzioni e discipline del lavoro in vista di futuri patti sociali adeguati alle forme di sfruttamento futuro. Devi Sacchetto analizza, invece, i flussi di investimento diretti da Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e, in misura minore, Italia verso i paesi dell'Est Europeo. La sua analisi descrive molto bene il configurarsi del nuovo mercato del lavoro dell'Europa a 27. Un mercato del lavoro organizzato gerarchicamente come spazio di sfruttamento stratificato per contratti, salari, qualità di lavoro, gestione politica della disoccupazione, delle migrazioni e della xenofobia. Ed è incredibile come di fronte ad una così radicale ristrutturazione della produzione e dello spazio sociale europeo, gli studi più accreditati degli ultimi decenni abbiano invece celebrato la fine del lavoro (Rifkin), crescenti processi di individualizzazione (Beck), l'eclissi della lotta di classe per l'avvento della società dell'informazione (Castells). Gli ultimi due saggi del volume spostano infine lo sguardo sull'Asia. Loren Goldner descrive la storia poco nota dell'incredibile radicalità della classe operaia Sud Coreana e della sua capacità di reagire, con lotte intense e spregiudicate, all'imposizione di una ben nota precarizzazione dei contratti di lavoro. Beverly Silver e Lu Zhang verificano, ancora una volta, come una lettura sincronica del capitale consenta di comprendere i due grandi cicli di sollevazione popolare cinese come reazione ad una logica accumulativa per spossessamento ed espropriazione almeno fino al 1994; e ad una successiva logica di separazione di cui la Nuova Legge sui contratti di lavoro promulgata nel 2008 è risposta politica: tentativo da parte del Partito Comunista Cinese di controllare una potenziale e pericolosa ingovernabilità. In un passaggio dei Grundrisse, Marx sostiene che ci vuole una coscienza enorme per vedere che in tutto quello che il capitale costruisce non c'è altro che del lavoro estraniato. Forse il contributo più importante di libri come La lunga accumulazione originaria sta proprio in questo: nel continuare il faticoso lavoro di non smettere di vedere.
CARTA - 26-29 gennaio 2009
di veronica Redini
Ci sono modi diversi di commemorare gli anniversari. Uno, purtroppo il più consueto, è quello che evoca una visione della storia e un succedersi degli eventi come se si trattasse di agenti autonomi rispetto ai quali non si può non sentirsi estranei. L'altro, ben più difficile ma l'unico per certi versi che dovrebbe essere praticato, è quello che invece guarda alla storia come a una attività degli uomini e che ne fa parte attiva dell'attualità, sollecitazione all'azione nel presente che stiamo vivendo. Questa sembra essere la scelta alla base del volume curato da Devi Sacchetto e Massimiliano Tomba La lunga accumulazione originaria. Politica e lavoro nel mercato globale (ombre corte, Verona, pp. 2006, 18 euro) che raccoglie i contributi di diversi studiosi che hanno saputo fare dei 150 anni dalla stesura dei Grundrisse di Marx non solo un'occasione di riflessione, ma una lente attraverso la quale guardare alla modernità capitalistica, leggere criticamente le sue trasformazioni e l'attuale crisi. Non separando mai le categorie analitiche dalle situazioni concrete, i diversi saggi di sociologi, filosofi e economisti raccolti nel volume forniscono un contributo fondamentale per l'analisi dei processi di accumulazione capitalistica a livello internazionale e di una crisi finanziaria che "può essere tutt'altro che l'anticamera del crollo, ma piuttosto un nuovo stimolo all'accumulazione attraverso modalità extraeconomiche, di pura e semplice violenza" (p. 9). Al centro dei diversi lavori c'è infatti proprio il concetto di accumulazione che, lungi dal rappresentare nelle sue varie declinazioni - originaria e capitalistica - una fase storica delimitata e conclusa, diventa espressione emblematica dei rapporti sociali che si esprimo quotidianamente sul lavoro. Interrogandosi sul significato di mercato mondiale e sulle categorie necessarie per comprenderne i mutamenti, le autrici e gli autori ci restituiscono così il panorama "di una lunga accumulazione capitalistica che […] batte il tempo dell'intera storia capitalistica, combinando in forme sempre nuove le diverse modalità di sfruttamento e sussunzione" (p. 8). Riuscendo a coniugare perfettamente la riflessione sulle categorie marxiane e l'analisi di alcune situazioni concrete come quelle della riorganizzazione del lavoro e del conflitto sociale in Europa orientale, Cina e Corea, gli autori portano un contributo decisivo su due questioni di cui non è certo il caso di riaffermare l'attualità, ma a cui ben pochi finora hanno saputo dare il giusto risalto. La prima è quella di una riflessione teorica che, passando in rassegna i temi affrontati da Marx nei Grundrisse, riesce a restituire in maniera esemplare la natura di "organismo" del sistema di produzione capitalistico. La seconda è quella invece di mostrare, a partire da un'interpretazione attenta e filologica di quelle stesse categorie, come i processi economici siano "imbevuti" di soggettività e di corporeità cioè de-reificati già nel pensiero marxiano e quindi utili a leggere gli episodi di conflittualità operaia che insorgono proprio nella misura che il lavoro vivo è un'attività del lavoratore, un soggetto sociale determinato che può resistere. Roberto Finelli, ad esempio, nel quadro di una analisi sui diversi paradigmi teorici che caratterizzano l'opera marxiana, ricostruisce come e attraverso quali contributi si definisca a partire dai Grundrisse la posizione di Marx sul capitale come soggetto di riflessione non-umano, astratto e destinato alla quantificazione maggiorata di sé. Un soggetto che, come ribadisce l'autore, "riproduce e pone i propri presupposti, […] riscrive costantemente il proprio ambiente economico, sociale e culturale, traducendo l'esterno nell'interno e tendendo ad assimilare alla propria logica identitaria e omologante tutto ciò che eterogeneamente appartiene a economie, tempi e culture diverse" (p. 79). Una posizione che emerge anche nel saggio di Werner Bonefeld che mostra come la qualificazione dell'accumulazione- primitiva e/o capitalistica - tradisca una visione della storia per fasi, in cui la genesi si stacca dall'esistenza, e distorca la natura stessa del concetto di accumulazione primitiva "che non si limita a descrivere il periodo di transizione che ha condotto all'emergere del capitalismo. Il senso dell'accumulazione primitiva è l'accumulazione capitalistica" (p. 89). A partire da questo, il saggio di Massimiliano Tomba rimarca con forza l'impossibilità di leggere il processo storico in chiave lineare e progressiva. Una posizione che consente di leggere la modernità senza l'alibi dell'anacronismo e di interpretare le forme di schiavitù che animano la contemporaneità non come arcaismi, ma come prodotti dell'attuale modo di produzione capitalistico dal momento che le "forme di estorsione di pluslavoro mediante la coazione diretta e all'interno di rapporti di produzione a basso grado di innovazione tecnologica sono necessarie affinché la forza produttiva media del lavoro sociale resti sufficientemente bassa da garantire la produzione di plusvalore straordinario nelle branche high-tech, dove viene sfruttato lavoro con peso specifico superiore" (p. 114). Il lavoro di Riccardo Bellofiore passa in rassegna le "ambiguità" così come l'attualità dei Grundrisse soffermandosi sull'inclusione organica del lavoro come soggettività nel capitale. Si tratta di quel "fluido" cioè del lavoro vivo da estrarre dai lavoratori in quanto portatori della potenziale capacità di lavorare e che, in quanto tali, possono opporre resistenza. Un tema centrale questo nelle analisi del capitalismo che troppo spesso invece trascurano le dinamiche conseguenti alla considerazione delle persone come cose nei processi produttivi e su cui Marx, come ricorda Bellofiore, aveva già detto tutto scrivendo nei Grundrisse che "se il capitale potesse ottenere il lavoro senza i lavoratori, questo, per lui, sarebbe il massimo" (p. 36). Questi aspetti emergono bene anche nell'analisi di Luca Basso che, focalizzando l'attenzione sulle nozioni di individuo e di società, mostra efficacemente come esse informino rapporti sociali che nel capitalismo assumeno i tratti di rapporti di dominio perché segnatamente contraddistinti dal valore di scambio. Il potere sociale è cioè direttamente proporzionale al possesso di denaro e la libertà e l'uguaglianza sono tali sono a un primo sgurado, dal momento che la libertà senza mezzi per tradursi in atto si rivela indigenza e l'uguaglianza, di fronte al denaro, solo diritto del più forte. Tuttavia, nell'impossibilità di pensare o anche solo separare il concetto di forza-lavoro dalla corporeità di colui che lavora, sta sì l'efferatezza del capitalismo che fa dell'"essere un operaio produttivo non […] una fortuna ma una disgrazia" (p. 72) ma anche il suo peggiore antagonista strutturale. Anche il saggio George Caffentzis riflette su questi temi prendendo in esame il diverso ruolo attribuito da Marx alla scienza e alla tecnologia dai Grundrisse al Capitale. In linea con il ripensamento che il sistema capitalistico crolli attraverso lo sviluppo tecnologico, anche il movimento anti-capitalista statunitense ha assunto posizioni tecno-scettiche proprio in relazione alla capacità del capitalismo di "rigenerarsi" attraverso una diversa distribuzione della tecnica con industrie high-tech da un lato e laboratori del sudore dall'altro. Il saggio di Massimo De Angelis prende spunto dalla recente vicenda dei sub-prime per evidenziare il ruolo che essi svolgono nel rapporto tra riproduzione della forza lavoro e "capitale fittizio" rendendo, tra l'altro, i debitori più vulnerabili e meno propensi alle lotte e stimolando il loro coinvolgimento sul lavoro a fronte di un possibile "premio". Ma soprattutto egli sottolinea come le crisi ricorrenti siano parte di un meccanismo di recinzione e disciplina del lavoro sociale e contemporaneamente siano capaci di mettere in concorrenza le diverse condizioni della riproduzione "attraverso la disciplina imposta dai mercati delle valute (che governano i valori delle monete e quindi il valore generale della forza lavoro in diverse aree monetarie) o la "concorrenza delle tasse", per la quale paesi diversi sono in competizione per attrarre capitali riducendo la pressione fiscale" (p. 127). Come emerge nel saggio di Devi Sacchetto questa concorrenza tratteggia nuovi bacini geografici, salariali e di manodopera. Attraverso una esperienza pluriennale di ricerca sul campo in alcuni paesi dell'Europa orientale, Sacchetto riesce a segnare le tappe del capitale che si muove e a ricondurre in un orizzonte di senso unitario fenomeni apparentemente lontani come quello della delocalizzazione delle aziende occidentali a est, il razzismo nei confronti dei migranti giunti all'ovest, la riduzione dei livelli locali di sindacalizzazione. Le aree geografiche est europee si presentano come enclave produttive differenziate i cui confini segnano il diverso valore delle merci e degli individui e entro le quali le imprese delocalizzano e rilocalizzano secondo una logica per cui "l'evoluzione verso una maggiore qualificazione della forza-lavoro è almeno pari a quella di un'ulteriore dequalificazione; coesistono così programmatori e dirigenti […] e diverse migliaia di lavoratori e lavoratrici spesso migranti all'interno degli sweatshop" (p. 153). Una ricollocazione geografica della produzione al centro anche dell'analisi svolta da Berverly J. Silver e Lu Zhang che mettono a fuoco le insorgenze di conflittualità e potenzialità che caratterizzano quella nuova classe operaia formatasi in aree ad altra concentrazione della produzione. In questo caso allora la Cina diventa campo di indagine non solo per una riflessione sulla "caduta verso il basso" del potere e delle condizioni di vita dei lavoratori, ma anche di un'analisi attenta a individuare l'insorgere del conflitto là dove arriva il capitale. Dallo stesso punto di vista della condizione dei lavoratori prende spunto infine il lavoro di Loren Goldner che ricostruisce le fasi di ascesa e declino delle lotte operaie nella Corea del Sud evidenziandone il ruolo politico svolto in passato nella caduta dei regimi scarsamente democratici e oggi nel porre al centro dell'attenzione internazionale la precarietà del lavoro. Il caso studiato da Goldner diventa allora emblematico di una situazione che non può certo essere circoscritta alla sola Corea e che dimostra, da una parte, l'efficacia dei processi di desolidarizzazione sul lavoro - che vedono opporsi ai precari i lavoratori stabili - ma, dall'altra, della straordinaria potenzialità antagonista di cui il movimento dei lavoratori è ancora capace.
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