|
|
|
Costantino Di Sante (a cura di)
|
|
Italiani senza onore
|
I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)
|
|
La Repubblica - 3 maggio 2005
Uno studio sui crimini commessi dai nostri soldati in Jugoslavia durante l'occupazione
MISFATTI D'ITALIA
di SIMONETTA FIORI
La lista dei crimini è lunga: villaggi incendiati, stragi, rappresaglie, esecuzioni indiscriminate di partigiani, deportazione di migliaia di civili nei campi di concentramento, sevizie e torture. I responsabili sono quegli Italiani senza onore - cosi il titolo del libro di Costantino Di Sante - di stanza nei Balcani durante il secondo conflitto mondiale. Criminali di guerra che la nostra diplomazia ha voluto per decenni occultare, alimentando così quel mito del "bravo italiano" rivelatosi sempre più malinconicamente infondato. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951) è il sottotitolo di questo nuovo j'accuse contro generali, ufficiali, semplici soldati, poliziotti, carabinieri, funzionari civili, ritenuti colpevoli di delitti non dissimili da quelli nazisti - e contro i governanti che ne hanno lungamente assicurato l'impunità - sorretto da una nutrita documentazione proveniente dagli archivi del ministero degli Esteri e dell'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Lo pubblica, con una prefazione di Filippo Focardi, una piccola casa editrice, Ombre Corte (pagg. 270, euro 18,00). L'autore del volume, Di Sante, è ricercatore presso l'Istituto di Liberazione marchigiano, studioso dei campi di concentramento nell'Italia littoria.
Le operazioni militari di Mussolini contro la Jugoslavia ebbero inizio il 6 aprile del 1941. Come già dimostrato dalla ricerca storica più documentata (da Enzo Collotti a Davide Rodogno), la politica di aggressione fascista nei Balcani fu caratterizzata da efferatezze, "non episodi isolati, ma componenti essenziali della strategia di dominio" inaugurata dal dittatore. Nessuno degli italiani denunciati per crimini di guerra fu consegnato ai paesi che ne avevano fatto richiesta, né fu mai processato in Italia. Glo oltre 750 italiani incriminati dalla Jugoslavia, come i 180 accusati dalla Grecia o i 140 segnalati dall'Albania poterono godere di totale impunità. E questo grazie "all'azione di salvataggio organizzata dal ministero degli Affari Esteri, d'intesa con il ministero della Guerra (poi della Difesa) e con la Presidenza del Consiglio" (cosi Lutz Klinkhammer).
Fin dall'autunno del 1944, avendo saputo che in Jugoslavia era al lavoro una commissione d'inchiesta sulle violenze degli italiani, cominciò a Roma un lavoro di "controdocumentazione", teso a dimostrare le sevizie commesse dal nemico sui nostri connazionali (e a discolpare la legittima reazione dell'esercito tricolore). La "controinchiesta" confluì in una sorta di memoriale difensivo (settembre 1945) a cura dello Stato Maggiore dell'Esercito, che Di Sante per la prima volta rende pubblico.
L'aspetto più rilevante è che, pur giustificando l'operato degli italiani pesantemente vessati dal "barbaro partigiano titino", le testimonianze dei nostri soldati in sostanza confermano i delitti denunciati dagli jugoslavi. In particolare, viene riconosciuta la crudeltà dell' occupazione in Dalmazia. "Parecchi villaggi incendiati", "molti civili passati per le armi o internati", "interrogatori eseguiti con durezza e mezzi illeciti", "la popolazione ritenuta ostile bastonata o vessata con l'olio di ricino" dalle squadre d'azione di Giuseppe Alacevic (segretario del fascio di Sebenico). Di alcuni vengono evocati anche "atti ripugnanti" e "malvagità" contro le donne arrestate. Ancora più gravi, poi, risultano le responsabilità del "Tribunale straordinario arbitrario" (istituito dal governatore della Dalmazia), talvolta sbrigativo nel comminare le condanne a morte. Devastanti anche le nostre rappresaglie (otto civili per ogni militare uccciso), spesso concluse con incendi di villaggi o esecuzioni sommarie. Nella documentazione jugoslava molto risalto veniva dato anche all'internamento di migliaia di civili nel campo di Arbe, capace di ospitare fino a 10.500 persone e il cui tasso di mortalità era stimato intorno al 19 per cento : qualche generale italiano amava descriverlo come "luogo di villeggiatura".
Il "contromemoriale" italiano puntò naturalmente sulla necessità di difendersi dalla "barbarie" e dal "banditismo" dei partigiani jugoslavi, approntando anche una vasta ed efficace documentazione fotografica. Quel che seguirà nel lungo dopoguerra sarà il ripetuto tentativo da parte del nostro governo di sottrarre i militari incriminati dal giudizio internazionale: prima con la istituzione nel maggio del 1946 di una commissione d'inchiesta che, assicurando lo svolgimento di una severa giustizia in Italia, di fatto negò l'estradizione; poi con un sapiente lavoro di tessitura diplomatica, sintetizzato dal cosiddetto "memoriale Zoppi", un documento del gennaio 1948 che - citato anche da Di Sante - solo di recente è stato declassiflcato (un breve passo è riportato in fondo). In sostanza, rispetto alla richiesta jugoslava di processare i responsabili, prevalse una linea di temporeggiamento. Con risultati soddisfacenti: dopo la rottura tra Tito e Stalin, nel giugno del 1948, la Jugoslavia avrebbe perso l'appoggio dell'unica potenza che sino a quel momento l'aveva sostenuta nelle sue recriminazioni.
La vicenda si chiuse definitivamente nel 1951, con l'archiviazione di tutti i procedimenti a carico dei presunti criminali. Non senza alcuni episodi paradossali. Nel dicembre del 1947 è nominato segretario generale del ministro della Difesa proprio uno dei generali che figurava nella lista degli accusati (approvata dalla commissione interalleata). Un anno dopo, alla presenza del presidente Luigi Einaudi, vengono decorate alcune divisioni: "per meriti acquisiti ai tempi dell'occupazione fascista del Montenegro e della Croazia". Per il generale Mario Roatta, "l'esponente più importante della politica militaristica di Mussolini" (così la stampa antifascista), assoluzione piena: esito esemplare d'una vicenda ancora irrisolta.
il manifesto - 06 Maggio 2005
Balcani, la storia negata dei crimini italiani
Intervista a Costantino Di Sante che nella ricerca "Italiani senza onore" documenta tutti i "nostri" misfatti nella Jugoslavia occupata della Seconda guerra mondiale, e come i governi italiani insabbiarono tutto
di TOMMASO DI FRANCESCO
Era ora. E' uscito in questi giorni un libro davvero unico, "Italiani senza onore, i crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)" (Ombre Corte, pp. 270, euro 18), completo di ogni documentazione inedita sui crimini di guerra commessi dalle truppe italiane in Jugoslavia durante la Seconda guerra mondiale, ed esaustivo della vicenda "diplomatica" che portò i governi italiani a guerra non conclusa e nell'immediato dopoguerra a cancellare quei misfatti. Su questo abbiamo intervistato l'autore della ricerca, il giovane storico Costantino Di Sante.
Lei paragona i crimini delle truppe e dei fascisti italiani nella Jugoslavia occupata a quelli del nazismo...?
Sicuramente l'occupazione dei territori dell'ex Jugoslavia è stata portata avanti con efferata durezza e i crimini commessi furono tutti al di fuori delle leggi internazionali, con incendi di villaggi, deportazioni, torture, rappresaglie, esecuzioni sommarie, stupri e violenze indiscriminate sui civili. Noi ci comportammo come paese occupante che tra le altre cose, non solo occupava quei territori e tentava di sfruttarli economicamente e come spazio vitale, ma anche con l'intenzione in più dell'annessione, in particolare della Dalmazia e della provincia di Lubiana. Insieme ad un tentativo di sbalcanizzazione che già 20 anni di fascismo di frontiera con un feroce razzismo antislavo aveva creato le condizioni per una effettiva durezza nei comportamenti sulla popolazione civile. E in molti atti ci siamo comportanti in maniera molto dura e simile ai luoghi dove hanno operato le truppe tedesche. Parliamo di centinaia e centinai di villaggi incendiati, parliamo di migliaia e migliaia di civili uccisi, deportati, internati nei campi di concentramento italiani, sia quelli realizzati lì sul posto - uno dei più famosi, Arbe in Dalmazia, oppure quelli nella nostra penisola. Persone cancellate già nelle liste d'internamento: venivano chiamate ex jugoslavi o "italiani per annessione". Questo la dice lunga sul tentativo di annettere e di cancellare la memoria di queste popolazioni. Nella ricerca mi hanno molto colpito i "tribunali volanti" che si recavano sui posti dopo un processo, se così si può chiamare, di pochi minuti, e si passava subito alla fucilazione. Quel che riassume la durezza di questa occupazione è ben rappresentato dalla "Circolare 3C" del generale Roatta del 1942 nella quale era previsto espressamente che il comportamento dei militari italiani doveva essere "testa per dente": per un italiano ucciso tot jugoslavi da passare per le armi. Una logica d'occupazione per una guerra quasi coloniale, applicata in pieno in Africa. Ed è inoltre testimoniato dalla pratica diffusa di deportazioni e campi di concentramento per i civili. Primo fra tutti il campo di Arbe, in Dalmazia, la cui mortalità nell'inverno 1942-1943 non ha nulla da invidiare ai lager nazisti.
Come è potuto accadere che anche per i crimini di guerra italiani nei Balcani l'"armadio" sia stato sepolto?
I fattori sono tre. Il primo, che io documento in modo ampio, è proprio il modo con il quale lo stato maggiore dell'esercito, il ministero degli esteri e il governo dal 1944 in poi riuscirono a realizzare contro-documentazioni nei confronti delle richieste jugoslave alla commissione per i crimini di guerra di Londra. Ci fu un'azione "diplomatica" di riscrittura e travisamenti su come erano andate le cose. Il tentativo, riuscito, di far apparire, di fronte anche all'opinione internazionale, gli italiani come "umanitari", l'occupazione jugoslava come "tentativo di pacificare una guerra già in corso", gli occupanti quasi come vittime della guerra interetnica. i partigiani di Tito come "barbari".
Eppure, nonostante queste falsificazioni, anche quella reticente documentazione riconosceva che c'erano stati dei criminali di guerra italiani...
Infatti, anche se la commissione jugoslava ne indicava 750 (180 quella greca, 140 quella albanese) e invece la controdocumentazione ministeriale italiano dell'epoca ne riconosceva solo 40. Così, nonostante il dichiarato tentativo di dipingere gli italiani come "brava gente", differente anche quando compiva efferatezze, si riconoscevano colpe e responsabilità ben precise. Ma c'è un altro fattore da considerare, quello degli alleati angloamericani che avevano vinto la guerra. Fino al 1947, cioè fino alla firma del trattato di pace, sono anche loro decisi a far sì che si svolgano i processi contro i criminali italiani. Poi tra il 1947-1948 c'è la questione internazionale del confine orientale che diventa "il confine" tra i due blocchi, con l'Italia ormai frontiera della nuova guerra fredda. Dall'altra c'è la pressione che si esercita sul governo di Tito, mentre ancora non sono sedati i focolai di guerra in Jugoslavia intorno al 1947, tanto è vero che si pensa ad intervento militare alleato, che non avverrà anche per l'appoggio dato dall'Urss a Tito. Ma nel `48 si rompono i rapporti tra Tito e Stalin e, nonostante Tito continuerà a chiedere più di ogni altro paese occupato dagli italiani, la consegna dei criminali di guerra - fatto decisivo per la pacificazione interna jugoslava - non ci sarà nessuna consegna o riconoscimento dei crimini.
Perché non c'è mai stata una Norimberga italiana?
Uno dei motivi è che l'Italia si è trovata nella doppia condizione di paese sconfitto ma co-belligerante. Grazie all'azione dei partigiani in primo luogo ma anche del governo del sud e dei rapporti con gli alleati che riprendono dopo l'armistizio. Nonostante che, inizialmente, il trattato di pace che viene firmato preveda che l'Italia debba pagare non solo i danni di guerra ma anche dar corso ai processi con l'estradizione dei propri criminali, prevedendo quindi di fatto una Norimberga anche per l'Italia. Ma su questa esigenza ineludibile, prenderà il sopravvento la logica geopolitica di comodo di un'Italia primo baluardo verso la cortina di ferro. E poi, come processare l'Italia per i crimini italiani proprio mentre molti ex responsabili di crimini di guerra hanno trovato una nuova collocazione nell'Italia che si sta avviando verso la democrazia? Un altro effetto che peserà sarà l'amnistia interna, la mancata epurazione che farà sì che anche dal punto di vista internazionale diventerà difficile estradare criminali dall'Italia rispetto a quello che accadrà per altri paesi belligeranti durante il periodo dell'Asse, come Germania nazista e Giappone imperiale. Un altro elemento ancora, non secondario, è quello che l'Italia subito dopo la guerra diventa un paese crocevia di rifugiati e di ex criminali di guerra, in particolare ustascia e cetnici ma non solo, anche di criminali nazisti che trovano immediato rifugio per poi riuscire a raggiungere l'America latina in particolare. Un crocevia apertamento protetto, o quanto meno tollerato, se non proprio aiutato dagli alleati e dalle stesse autorità italiane. Tanto è vero che Tito richiede non solo i criminali di guerra italiani ma anche i propri connazionali che in Italia hanno trovato rifugio. Per dire la complessità, l'Italia sarà poi il paese che riceverà i rifugiati dall'est che durante la guerra fredda riparano in Italia. Questo fenomeno inizia allora. L'intelligence alleata capisce il suo ruolo decisivo - c'è il problema di quello che sta accadendo anche in Grecia con la guerra civile che continua nel dopoguerra, si teme che in Italia accada la stessa cosa. E ci sono state le elezioni amministrative nel `46 con al vittoria del Fronte popolare. Tutte condizioni che fanno sì che fino al 1947 sono gli alleati a decidere le sorti dell'Italia.
Nel tempo in cui vengono istituzionalizzate le falsificazioni sulla vicenda delle foibe, c'è spazio per una storia consapevole che denunci ogni rimozione?
Siamo circondati da programmi tv di storia, talk show ecc, ma c'è poca conoscenza storica. Oppure la consapevolezza non ha lasciato veri sedimenti. Tutto viene semplificato da slogan per la battaglia politica quotidiana. Per evitare una storia distorta è necessario - oltre che illuminare la zona d'ombra del confine orientale - offrire ricerche esaustive, fatte su fonti accertabili e documentabili. Perché la storia è complessità e contestualizzazione.
Aprile - 126 aprile 2005
Il luogo del delitto. Italiani senza onore
di NICOLA TRANFAGLI
Brutta malattia, quella del nazionalismo, che ha portato molti paesi europei dopo la prima guerra mondiale ad accettare regimi autoritari e dittatori come Mussolini in Italia, Franco in Spagna, Salazar in Portogallo.
Sconfitto nella seconda guerra mondiale grazie al movimento antifascista e alla Resistenza, il nazionalismo riemerge quando si scrive la storia del nostro passato. Gli eredi del fascismo mussoliniano presentano disegni di legge come il numero 2244, tuttora incardinato nei lavori parlamentari, che vuole equiparare i reduci della Repubblica sociale italiana ai partigiani e a tutti i militari combattenti in Europa che lottarono contro i paesi dell’Asse nazifascista.
Ma ci sono anche quelli - e non sono pochi - che, senza arrivare al rovesciamento della storia e allo più sfacciato revisionismo, vogliono tuttavia, ad ogni costo, difendere il mito del bravo italiano e negare che nella seconda guerra mondiale ci sono pagine terribili che riguardano il comportamento delle truppe italiane di occupazione in Europa. Questo problema è sempre esistito ma si è accentuato negli anni Novanta di fronte alla ripresa dell’offensiva revisionista.
Segnalo ai lettori su questo aspetto due saggi usciti negli anni Novanta che parlano proprio di ciò: Il mito del bravo italiano di David Bidussa, pubblicato dal Saggiatore nel 1994 e Italiani. Stereotipi di casa nostra di Loredana Sciolla, apparso presso il Mulino tre anni dopo (1997). Sono l’uno e l’altro letture assai istruttive su una pubblicistica assai larga che ripropone una visione infondata del comportamento degli italiani nella seconda guerra mondiale: tedeschi tutti cattivi, italiani tutti buoni. Uno stereotipo che dimentica che gli uni e gli altri erano preda di un’ideologia fascista inquinata da germi razzisti ed erano convinti di fare una guerra per la vittoria totalitaria del Terzo Reich e dei suoi alleati.
Purtroppo nel nostro paese, per ragioni politiche, attribuibili alla “guerra fredda” e all’atteggiamento dei partiti di centro e di destra che hanno tenuto il potere nel primo quarantennio, i processi contro i criminali di guerra italiani e tedeschi sono stati insabbiati e di fatto annullati (come ha dimostrato di recente Franco Giustolisi nel suo bel libro L’armadio della vergogna). Gli italiani sanno assai poco di questa storia.
Da questo punto di vista, un libro come Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951) a cura di Costantino Sante pubblicato dal piccolo editore Ombre Corte (pagine 270, euro 18,00) merita una grande attenzione. Grazie a questa pubblicazione abbiamo finalmente un quadro abbastanza preciso di quello che le truppe fasciste hanno fatto negli anni della guerra in tutta la Jugoslavia con l’indicazione degli atti di barbarie, delle massicce fucilazioni, delle stragi compiute e l’indicazione dei comandanti che avrebbero dovuto essere giudicati per crimini di guerra e che invece tornarono tranquillamente nelle loro case e spesso alle loro cariche militari e civili. L’autore pubblica integralmente la richiesta del governo jugoslavo e la risposta difensiva dello stato maggiore del nostro esercito.
Chissà perché di questa pagina oscura e vergognosa non hanno parlato né le trasmissioni televisive né i grandi giornali, se si esclude un breve articolo sul Corriere della Sera. Vince ancora una volta lo stereotipo nazionalista.
|
|
|
|
|
Tutti i diritti riservati. Copyright © 2005 ombre corte edizioni
Via Alessandro Poerio, 9
- 37124 Verona
- Tel. e Fax 045 8301735
|
| |
|