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Michele Trotter Pietro Luzzati
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L'occupazione
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Vivere in Palestina
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il manifesto - 10 luglio 2007
Click, vita quotidiana a Hebron
di Arianna di Genova
In un graffito con puppets su uno sfondo che ha i colori della bandiera palestinese e un frammento di kefia a ricordare la resistenza di un popolo c'è Babbo Natale, rosso vestito, che abbraccia un bimbo piangente. Siamo a Hebron, territorio simbolo, luogo dove è nata la prima colonia israeliana in Cisgiordania, Kyriat Arba. Qui, l'occupazione detta le sue leggi: con il muro che separa e viola il paesaggio urbano, con autostrade soltanto per israeliani che assicurano collegamenti veloci mentre i palestinesi impiegano più di due ore per arrivare fino a Ramallah e con cieli tersi «spinati», avvolti in recinzioni. Il libro fotografico, edito da Ombre Corte, dal titolo L'occupazione, vivere in Palestina, a cura del Comitato di solidarietà con il popolo palestinese di Torino e della Rete Eco (Ebrei contro l'occupazione) nasce dall'incontro fecondo di Michele Trotter, reporter trentino e Pietro Luzzati, videomaker. I due hanno vissuto la stessa, indelebile, «avventura»: hanno condiviso la folle quotidianità degli abitanti di Hebron nel settembre 2006 quando sono arrivati in città per lavorare a un progetto di cooperazione internazionale. Poi, il ritorno in Italia. Come testimoniare, raffigurare, tramandare le immagini che avevano visto, le tensioni, la poesia, il coprifuoco, le camionette militari, le selve di filo spinato? L'idea è stata quella di un volume in forma di album (in apertura, la dedica è tutta per Stefano Chiarini) che narrasse con brevi didascalie, quasi haiku, frammenti di storia palestinese. Evitando però la cronaca nera, quella che finisce sulle pagine dei giornali di tutto il mondo ogni giorno. Niente sangue da elettroshock in pagina ma piuttosto i volti dei bambini, i beduini che cercano strade alternative nel deserto, i «resistenti» disegnati dagli artisti sui muri sbrecciati di Hebron, donne che intrecciano fili colorati per vendere meravigliosi tappeti, check point, perquisizioni e quella scritta terribile, posta a conclusione del percorso di foto: «gas the Arabs...» a raccontare l'angoscia di un conflitto irrisolto che si è trasformato in un horror dell'everyday.
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