Alain Badiou
Oltre l'uno e il molteplice
Pensare (con) Gilles Deleuze
 
il manifesto - 13 settembre 2007

Il potere costituente della contingenza
"Oltre il molteplice" di Alain Badiou per Ombre Corte. Sette scritti sul mancato incontro con Gilles Deleuze. Un dialogo che l'autore di "Mille Piani" ha sempre rifiutato e che ha come sfondo diverse concezioni della filosofia. E dunque diverse teorie dell'agire politico
di AUGUSTO ILLUMINATI

Strana, sgradevole quanto istruttiva la storia del non-rapporto fra Gilles Deleuze e Alain Badiou, che il secondo ha costruito retroattivamente (a parte la splendida recensione di Le Pli nel 1989) nel Clamore dell'Essere e in un gruppo di articoli e precisazioni ora raccolti per Ombre Corte con il titolo Oltre l'uno e il molteplice. Pensare (con) Gilles Deleuze (pp. 118, euro 10, a cura di Tommaso Arienna e Luca Cremonesi). Una volta sgombrato il campo dalle astiose polemiche scatenate dagli allievi di Deleuze soprattutto nel numero della rivista "Futur Antérieur" dell'aprile 1998 (i due attacchi di Arnaud Villani e José Gil e la più sobria introduzione di Eric Alliez) e dopo aver tenuto nel giusto conto le responsabilità dello stile polemico-espositivo di Badiou, resta il grande interesse dei temi posti in discussione. Certo, l'impostazione della controversia (univocità dell'Essere, presunto platonismo, mistica immanente della vita, ecc.) sono scelti arbitrariamente da Badiou, ciò nonostante si toccano nodi essenziali della filosofia afferrando il capo del filo secondo le preferenze del critico - tradizione che risale per lo meno ad Aristotele e Hegel.
Non a caso infatti il confronto fra Deleuze e Badiou è stato riproposto come replica moderna di quello fra Aristotele (Deleuze) e Platone (Badiou), anche se le critiche di Badiou a Deleuze ci sembrano piuttosto riprendere le obiezioni hegeliane di acosmismo a Spinoza. Ma il discorso verrebbe qui troppo lungo e soprattutto non lo si potrebbe corredare con una sufficiente informazione sui testi. È dunque preferibile andare direttamente allo sfondo politico dello scontro, come risulta da un intervento di Badiou (purtroppo non compreso nella presente raccolta) del 25 settembre 2003 all'Università popolare delle Madri di Plaza de Mayo, Buenos Aires.

La rarità della politica

In quell'occasione il filosofo francese vuole tenere insieme una politica del molteplice e una definizione della rarità e significanza in senso forte della medesima. Alla domanda, proveniente dal pubblico, sul carattere "deleuziano" del movimento zapatista, risponde che certamente qualcosa c'è e che lui lo condivide (la creatività, l'affermatività senza opposizione dialettica al nemico), ma che l'elemento che lo lascia perplesso è la mancanza di una rottura presupposta all'affermazione, l'eccesso di continuità fra vita e politica. Manca una messa in rilievo dell'evento che introduce discontinuità.
Alla successiva domanda, che riguarda Impero di Negri-Hardt, giustamente inteso a livello di massa come esplicitazione di un possibile deleuzismo politico, Badiou risponde con una riflessione innanzi tutto sul potere costituente e sulla concezione unitaria che ne ha Negri e da cui discende la solidale fondazione in essa della moltitudine e dell'impero. Il dissenso su ciò rimanda a quello con l'unitarietà assoluta della sostanza spinoziana, alla cui ontologia Negri fa evidente riferimento. Quella sostanza si attualizzerebbe storicamente in dominio e resistenza, capitalismo e comunismo, manifestazioni pur sempre di un potere costituente. Per Badiou, al contrario, la politica è fatto di rotture e soggettività eterogenee. L'Uno di divide in Due, come nella dialettica maoista.
Tuttavia, costretti ora ad abbandonare la dialettica, dobbiamo scegliere se tornare a una concezione unitaria, al potere dell'Uno (soluzione Deleuze-Negri), o mantenere il Due (della separazione, dell'eterogeneità) in forma differente da quella classica della contraddizione di classe. Il che produce pratiche politiche sensibilmente differenti, sebbene del pari post-socialiste. Fin qui il testo, che consente di leggere meglio quanto nella suddetta discussione era avviluppato in una problematica metafisica suggestiva ma impervia. Naturalmente anche a questo livello restano equivoci e alternative interpretative, dato che l'oggetto del contendere - una singolarità "illegale", che cioè non obbedisce a leggi trascendenti (della dialettica, della storia), ma si dà leggi specifiche nella propria contingente immanenza - è preteso da entrambi gli autori secondo un profilo diverso.

Il fascino del decisionismo

Semplificando, Badiou pone l'accento più sull'irruzione del nuovo, sul carattere fuori sesto della soggettività rivoluzionaria emergente (out-of-jointness, per usare un'espressione di Slavoj Zizek, molto affine a Badiou anche nella contrapposizione a Deleuze), Deleuze rimarca maggiormente il momento del neutro della vita, della rivoluzione quotidiana indefinita. Badiou ricerca un principio di spiegazione valido per tutte le rivoluzioni (da Paolo di Tarso a Mao) e sottolinea la rarità dell'esperienza propriamente politica (quella che Jacques Rancière chiama politique opponendola a police, la gestione amministrativa della vita), Deleuze è stato identificato con certe pratiche dell'"autonomia" e, più forzosamente, con lo zapatismo. In entrambi la singolarità, per vie diverse vuol dire un universale non dialettico e affermativo, da entrambi l'oscura prassi politica contemporanea ha molto da imparare. Più che domandarsi chi dei due sia più platonico è interessante ripercorrerne le fonti filosofiche. Spinoza è per entrambi oggetto di accaparramento e forzatura. Badiou sta più sul lato di Heidegger, Deleuze su quello di Nietzsche. Tutti però sanno quanto sia difficile contrapporli (lo fece Heidegger, ma spudoratamente pro domo sua). Il decisionismo schmittiano suggestiona di certo Badiou per quel presagio di fedeltà all'Uno che nel filosofo francese è la versione politica della lacaniana fedeltà al proprio desiderio.
Le accuse di polpottismo a Badiou valgono quanto quelle per le giovanili simpatie di Deleuze e Blanchot per l'Action française. Il retaggio vitalistico bergsoniano di Deleuze lo rende, nella coscienza comune, un alfiere della biopolitica (che esplicitamente non fu, ma avrebbe potuto essere), mentre nei suoi scritti più recenti sulla questione ebraica Badiou ha difeso la costituzione contingente del nome dell'Uno indipendente da radici etniche e religiose, un universalismo espansivo e non reattivo, alternativo a ogni fondamentalismo identitario.



Quelle dispute attorno al divenire della critica al capitalismo
Percorsi di ricerca che si intersecano per poi divaricarsi all'interno di quella "crisi del marxismo" tratteggiata da Louis Althusser. Da una parte una teoria sulla "contigenza", dall'altra la continuità tra vita e politica
di ROBERTO CICCARELLI

Ci sono dispute intellettuali che non sono mai cominciate. Quella che Alain Badiou, filosofo, drammaturgo e matematico, professore emerito alla Normale di Parigi avrebbe desiderato avere con Gilles Deleuze è una di queste. Questa strana categoria dell'incontro mancato, lo scrivere con qualcuno senza che questo qualcuno abbia mai manifestato un desiderio in tal senso, è diventata teoria, e rivendicazione di un rapporto esclusivo da parte di Badiou, ne Il clamore dell'Essere (tradotto da Einaudi nel 2004), un libro tanto smilzo, quanto provocatorio, pubblicato nel 1997. In quelle pagine Badiou ha rivelato che Deleuze, con il quale aveva intrattenuto un epistolario, arrivò nel 1994 a distruggere tutte le lettere che gli aveva scritto, proibendogli ogni pubblicazione (promessa solo in parte mantenuta). Quel forte gesto simbolico riassumeva molte cose: un taglio netto con chi nei primi anni Settanta lo aveva definito "fascista" per la sua filosofia "anarco-desiderante" (che oggi Badiou ammette, per sua e nostra fortuna, che non rappresenta affatto Deleuze). Un'accusa infantile che Deleuze a sua volta tacciò di "suicidio intellettuale".

Un corsivo di commiato

Alla fine degli anni Ottanta Badiou si rese conto che la sua ricerca convergeva con quella di Deleuze. Entrambe rifiutavano le retoriche sulla "fine della filosofia"; si battevano contro i golpisti viennesi che avevano preso il potere nelle università americane introducendovi il credo della filosofia analitica; entrambe erano "fedeli" al marxismo. Timide, al limite della freddezza, furono le risposte di Deleuze: prima un biglietto per un volume di Badiou nel 1982 (Théorie du Sujet) al quale Badiou rispose con una lunga recensione al libro di Deleuze su Leibniz nel 1989. Poi un segnale più deciso nell'ultimo libro scritto nel 1991 con Félix Guattari Che cos'è la filosofia?. In un corsivo si legge che nel pensiero di Badiou c'è un tentativo di restaurare l'anacronistico primato della filosofia sulla scienza, di restaurare la partizione dell'"Essere" secondo l'"Uno" e il "Molteplice", quando invece l'"Essere" si dice in un solo e medesimo senso, quello delle molteplicità e delle singolarità.

La ricerca delle fonti

Instancabile, anche se con moderata sensibilità auto-critica, Badiou ha continuato a coltivare negli anni successivi un confronto che il suo interlocutore gli ha negato in vita, in particolare sulla teoria delle molteplicità e sull'interpretazione del pensiero matematico. Lo testimonia questa antologia di scritti edita da Ombre Corte.
Tutto parte dalla critica che Badiou muove agli "allievi" di Deleuze, accusandoli di non avere mai preso sul serio, e indagato a fondo, le sue fonti: Spinoza, Nietzsche, Bergson, e Whitehead. Curioso, poi, constatare che l'unico che dice di averlo fatto sia lo stesso Badiou il quale, dopo un'analisi sommaria e liquidatoria, ha concluso che in realtà tutti questi autori non hanno fatto altro che rafforzare il platonismo di Deleuze. È questa la tesi che non tardò a suo tempo a sollevare l'indignazione generale. Colui che ha attribuito alla filosofia il compito di "rovesciare il platonismo", un platonico? Per Badiou, Deleuze era proprio un platonico inconsapevole.
Il tono polemico con cui Badiou ha risposto alla critiche della sue tesi sul platonismo di Deleuze non è dettato solo dal fastidio di non avere rispettato la filologia dei tesiti deleuziani. Nel suo caso, infatti, non si tratta solo di una vanità ferita. Il merito della contesa è il giudizio sulla politica di Deleuze.
Oggi si può dire che Deleuze sia stato l'unico teorico novecentesco a pensare la politica al di là del binomio rappresentanza-rappresentazione, quel vincolo teologico-politico che ha incatenato la modernità davanti all'alternativa Schmitt o Kelsen: da una parte il decisionismo, dall'altra parte il normativismo. Badiou ha abbracciato il paradigma decisionista, declinando Schmitt con Lenin per arrivare ad una teoria della "contingenza" politica. Quando Badiou sostiene che in Deleuze manca una "teoria" della politica che vada oltre la mera analisi del capitalismo ha ragione e torto insieme. Ragione perché l'analisi del capitalismo non genera automaticamente una teoria della politica, casomai una critica dell'economia politica, che è altra cosa, anche se certo non estranea ad essa. Torto perché, se teoria della politica deve esistere, non è detto che sia improntata sempre al decisionismo.
A Badiou sfugge infatti il fatto che Deleuze abbia tentato la decostruzione di tutti i presupposti teologici, occasionalistici e generalmente metafisici sui quali si è retta una parte cospicua della teoria politica novecentesca. E va detto che la critica del potere e l'analisi del "divenire minoritario" delle lotte rappresentano quanto di meglio tra gli anni Settanta e gli anni Novanta è stato prodotto in sede di teoria della politica dopo la crisi del marxismo (quella per intendersi descritta da Louis Althusser) e, più in generale, dell'idea di "soggetto" politico antagonista.

Il presente inafferrabile

Sebbene la tesi del Plato Redivivus resista caparbia nel corso dei sette articoli raccolti in questa antologia, non è detto che Badiou non abbia tuttavia avvertito l'esigenza di una nuova interrogazione del pensiero deleuziano alla luce della necessità di coniugare la singolarità politica con una nuova definizione dell'universale rispettoso delle differenze. Su questo punto Badiou centra il bersaglio e raccoglie in tre massime ciò che Deleuze dice al nostro presente: eludere il controllo (massima negativa), credere nel mondo (massima soggettiva), partecipare agli eventi (massima creativa). Che significa: il nuovo non ha il sapore dell'antico, ma si produce nella vita, nei concetti, negli affetti. Quale migliore viatico etico-politico per una politica immobile. Basterebbe poco a fare un gioco diverso da quello dominante, piuttosto che continuare ad ingrossare i Pantheon di partito ed evocare "culture politiche" che non ci sono. Ogni epoca ha il suo gusto. La nostra, quello necrofilo.





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