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Il sapere e la storia
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Sull'archeologia delle scienze e altri scritti
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il manifesto - 9 agosto 2007
L'impossibile archeologia di una «scienza delle scienze»
Genealogie «Il Sapere e la storia. Sull'archeologia delle scienze e altri scritti» di Michel Foucault Tasselli di un puzzle Una raccolta di testi scritti degli anni Sessanta sulla ricerca scientifica e la crisi della «politica progressista»
di Massimiliano Guareschi
Nella seconda metà degli anni Sessanta, in Francia imperversa il dibattito sullo strutturalismo. Dopo che i primi lustri del dopoguerra erano stati egemonizzati dall'esistenzialismo e dalle filosofie del soggetto una nuova temperie intellettuale porta in primo piano approcci e stili di pensiero incentrati sul decentramento del soggetto e una rinnovata attenzione alle grammatiche e alle sintassi dei concetti. Al tempo, un termine, quello appunto di «strutturalismo», sarà chiamato a etichettare un insieme di prospettive assai eterogenee che vanno dalla psicoanalisi lacaniana al marxismo althusseriano fino a comprendere le ricerche di Michel Foucault sulla follia e lo sguardo clinico. Sullo sfondo, come cifra unificante, emerge il riferimento privilegiato a una specifica gamma di precedenti che comprende l'antropologia strutturale di Claude Levi-Strauss, la storia della scienza di Gaston Bachelard e Georges Canguilhem, la filosofia del concetto di Jean Cavaillès.
Se oggi, specie sul versante anglosassone, è di uso comune rubricare Michel Foucault fra i postmoderni, negli anni Sessanta il dibattito non poteva che riguardare il suo posizionamento all'interno della presunta galassia strutturalista. È a tale congiuntura che ci riportano i testi foucaultiani risalenti agli anni che vanno dal 1968 al 1970 raccolti da Antonella Cutro in Il Sapere e la storia. Sull'archeologia delle scienze e altri scritti (ombre corte, pp. 173, euro 15). I primi due scritti ci mostrano Foucault intento a chiarire i termini della sua intrapresa intellettuale, da Storia della follia ad Archeologia del sapere, rispetto alle sollecitazioni provenienti da interlocutori collocati su posizioni teoriche e politiche assai differenti. Il testo Sull'archeologia delle scienze raccoglie le risposte fornite da Foucault alle domande che gli erano state poste dal Cercle d'épistémologie, un collettivo di ispirazione althusserino-lacaniana (nel quale figuravano fra gli altri, Alain Badiou, Jacques Bouveresse, Jacques-Alain Miller, Jean-Claude Milner) a cui faceva capo la rivista «Cahiers pour l'analyse». Interrogato sullo statuto epistemologico del suo progetto genealogico e archeologico, Foucault risponde ponendo l'accento sull'esigenza di liberarsi delle unità irriflesse, delle connessioni implicite e di concetti equivoci come influenza, tradizione, sviluppo, mentalità.
Scettico circa la prospettiva di una scienza delle scienze, a cui era legato il progetto del «Cercle d'épistémologie», Foucault precisa come la sua ricerca si orientasse verso «una descrizione pura dei fatti del discorso», degli enunciati, chiaramente distinta da una prospettiva incentrata sull'analisi della lingua. Mentre questa si propone di individuare le regole che presiedono alla generazione di un enunicato e, di conseguenza, alla produzione di enunciati simili, la «descrizione del discorso» corrisponde a una diversa domanda: «Com'è possibile che tale enunciato sia apparso e nessun altro al suo posto?». A essere oggetto di interrogazione è dunque non la logica sottostante a un enunciato ma le sue condizioni di emergenza e di esistenza.
Il secondo contributo mostra Foucault alle prese con un'interlocuzione assai diversa. A porre le domande o, meglio, la domanda è infatti «Esprit», rivista di riferimento del mondo cattolico progressista. Il dibattito si sposta sui portati politici della proposta teorica foucaultiana: come conciliare la sottolineatura degli effetti costrittivi del «sistema» sul soggetto e della «discontinuità nella storia dello spirito» con un «intervento politico progressista». Foucault si rivolge agli interlocutori di «Esprit» mettendo in dubbio l'assunto secondo cui una politica «progressista» dovrebbe necessariamente correlarsi a un soggetto costituente, a un'origine, a un destino, a una processualità immanente alla storia. Non è forse proprio a partire dalla destituzione di un simile orizzonte concettuale che si apre un nuovo spazio per pensare il cambiamento? A ciò Foucault aggiunge la rivendicazione del contenuto politico di un'interrogazione circa lo statuto dei saperi, «delle condizioni di esercizio, del funzionamento e dell'istituzionalizzazione dei discorsi scientifici». Negli anni seguenti, sul registro della politica, la ricerca foucaultiana si riorienterà verso nuovi territori, con un itinerario che dall'analitica del potere conduce alla biopolitica e alle questioni della soggettivizzione. Ma si tratta di questioni legate a un'altra stagione.
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