 |
 |
|
Stefano Rosso (a cura di)
|
|
Un fascino osceno
|
Guerra e violenza nella letteratura e nel cinema
|
|
++ Altre Modernità - n. 3, 2010
Stefano Rosso (a cura di), Un fascino osceno. Guerra e violenza nella letteratura e nel cinema (Verona, Ombre Corte, 2006, pp. 189
di Nicoletta Vallorani
Questo collettaneo è una composizione simmetrica, dipanata tra due elementi di cornice. L'apertura stabilisce le regole del gioco, spiegando le ragioni del titolo e consolidandole attraverso una ricognizione critica estremamente articolata ed efficace. La chiusura raccoglie le fila dei discorsi introdotti dai singoli saggi aprendo una nuova finestra bibliografica, "ragionata", ovvero scandita in aree tematiche con titoli suggestivi e affiancamenti insoliti.
Nell'apertura, Stefano Rosso avvia il suo discorso partendo da tre riferimenti bibliografici fondamentali e molto diversi (J. Hillerman, S. Sontag e C. Hedges) per sostenere un assunto che tutti e tre gli autori citati condividono: sebbene si possano solo fare ipotesi sul motivo per cui questo accada, è indubbio che atti di esibita efferatezza risultino affascinanti nella rappresentazione letteraria e in quella cinematografica, ma anche nella quotidiana esperienza bellica di militari, giornalisti e civili. Secondo il modello consueto in Rosso, il testo è estremamente denso, ricco di riferimenti bibliografici, e di precisione e serietà esemplari: non ci sono sbavature, né indulgenze a letture facili, e l'apparato critico ci appare indiscutibile. Ugualmente interessante appare il modo in cui il volume si congeda dal lettore. Nella chiusura, Antonio Scurati si sottrae alla maglia rigida di una bibliografia tradizionale scegliendo, parrebbe quasi da scrittore prima che da studioso, di soffermarsi su voci dense di suggestioni insolite: "generalia", "violenza e natura umana", "violenza sacra e rituale", "violenza e modernità", e via dicendo. Ogni etichetta definisce una scatola dal contenuto tutt'altro che ovvio. Le indicazioni sono in effetti originali e interessanti, e molto utili ad acquisire una prospettiva desueta sui discorsi della guerra, che tuttavia dà per scontati alcuni presupposti fondamentali, avamposti di un viaggio al quale evidentemente questo volume si lega. Essi vengono dichiarati da Rosso stesso nell'introduzione al volume, che dichiara il suo debito al del volume di Joanna Burke (An Intimate History of Killing - 1999, tradotto in italiano come Le seduzioni della guerra, 2001), soprattutto per ciò che concerne l'assunto primario, ovvero la concezione della guerra come evento che incoraggia il piacere di uccidere. Altre esperienze importanti e dichiarate sono il volume che Rosso ha curato con Ghislotti (Vietnam e ritorno, Marcos y Marcos, 1999), il coevo studio di Mariani (Le parole e le armi), il saggio di Scurati (Guerra, 2003) e infine la monografia di S. Rosso, Musi gialli e berretti verdi (2003). Infine, per Rosso e Scurati, questa tematica si lega a un'esperienza precisa, quella del Gruppo di ricerca sui linguaggi della guerra e della violenza, che entrambi hanno contribuito a creare a Bergamo e che è tuttora molto attivo, soprattutto nell'ambito dell'americanistica e della contemporaneistica, ma con incursioni frequenti per così dire oltre confine.
Come il Gruppo di ricerca, anche questo volume si costruisce su una trama lasca condivisa - ed è primariamente centrato su questioni di americanistica - ma include anche saggi che si muovono in ambiti diversi, allargando la prospettiva a un contesto che americano e contemporaneo non è.
E' questo il caso del bell'intervento di Scurati, che prende in considerazione le guerre come paradigma culturale della classicità; il saggio è articolato e complesso, animato da uno sguardo in qualche modo meno coinvolto e più esterno - per ovvie ragioni tematiche, rispetto a quello che definisce gli altri interventi. Più storicizzato è il contributo di Luisa Villa, che affronta la conquista inglese del Sudan per perlustrare in realtà e in una prospettiva diacronica, la costruzione del profilo imperialista. Umberto Rossi, invece, si sposta cronologicamente e tematicamente, e ci racconta della Grande Guerra leggendo nell'hemigwayano A Farewell to Arms eco disseminate della sconfitta di Caporetto. Sempre più vicini alla contemporaneità, gettiamo uno sguardo d'insieme alle "guerre americane" (Indocina, Corea, Vietnam, Afghanistan, Iraq) attraverso gli occhi di M. B. Young, che ci offre un lavoro molto ampio, molto efficace e molto lucido, partendo da un film del '49 (il celeberrimo Iwo Jima deserto di fuoco con un inedito John Wayne) per ricostruire la catena di anelli che nella storia e nella mitografia cinematografica si inseguono a costruire l'immaginario bellico nella cultura americana dagli anni '50 a oggi: dopo i film su Iwo Jima, la Corea; dopo i film sulla Corea, il Vietnam; e dopo i film sul Vietnam, l'Iraq. I nuovi soldati si formano sui miti sanguinari delle guerre già rappresentate dal cinema (con tutti i suoi film).
Rosso restringe il campo e torna al Vietnam, concentrandosi - con la consueta efficacia - su un solo autore (P. Caputo) e su una prospettiva primaria: la narrazione bellica come genere fortemente condizionato da una tensione realistico-mimetica, che prende corpo e consistenza nella consuetudine del "Soldier's account" come strategia di autorizzazione della voce di chi narra.
Infine, i due saggi conclusivi, pur molto interessanti, sembrano percorrere un territorio di frontiera, il cui legame col resto del volume è parso un po' rarefatto e forse cervellotico. E tuttavia, anche il ricco affascinante discorso di Mariani sulla rilettura del mito della frontiera nella letteratura e nel cinema e la dettagliata analisi di Ghislotti del film A History of Violence contribuiscono alla costruzione di un quadro che è indubbiamente affascinante, come il titolo promette.
|

|
|
 |
 |
Tutti i diritti riservati. Copyright © 2005 ombre corte edizioni
Via Alessandro Poerio, 9
- 37124 Verona
- Tel. e Fax 045 8301735
|
|  |
 |